Si è da poco concluso il 76° Festival del film di Locarno. Un appuntamento inevitabile dell’estate ticinese, tanto per gli appassionati di cinema che per il mondo della politica. Oltre alle proiezioni, il festival costituisce infatti un palcoscenico per attivisti, politici e addetti ai lavori, che spesso ne approfittano per allargare il dibattito al di là del cinema. Malgrado le rassicurazioni del suo presidente uscente, l’ineffabile Marco Solari, secondo cui il Festival è “un luogo in cui libertà non è mai stato uno slogan”, non tutti sembrano però riuscire a beneficiare allo stesso modo di tale apertura e disponibilità.
“Il cinema occidentale non aiuta più a capire il mondo”
La programmazione ed il taglio del festival avevano fatto storcere fin da subito il naso ad alcuni osservatori e partecipanti di lungo corso. Già lo scorso anno sul nostro portale veniva registrata la progressiva chiusura e l’intolleranza della direzione, che invece di aprirsi al mondo e alla pluralità di visioni preferiva confortarsi nella supposta superiorità morale e culturale dell’Occidente capitalista. Quest’anno tale dinamica sembra essersi però accentuata, come ha rilevato Davide Rossi, direttore dell’Istituto di storia e filosofia del pensiero contemporaneo (ISPEC), intervistato da Mattia Sacchi per il Corriere del Ticino: “ormai i festival non aiutano più a capire il mondo; prima, erano un’occasione per imparare a conoscere culture e popoli, ma come possono farlo adesso che i film vengono diretti da registi che vivono tra Parigi, Londra e New York, e da lì, a migliaia di chilometri e senza nessun legame, magari criticano Cina e Russia in pellicole fatte apposta dai produttori che controllano il mercato occidentale?”.
Lo stesso palmarès di fine rassegna sembra confermare la validità di tale critica: se l’anno scorso a fare incetta di premi erano stati film come l’ucraino “The Hamlet Syndrome”, vera e propria pellicola di propaganda bellicista, quest’anno la giuria ha assegnato il Pardo d’Oro a “Critical Zone” di Ali Ahmadzadeh, film realizzato clandestinamente a Teheran ed immediatamente acclamato come “grido di libertà iraniano”. Insomma, a Locarno non mancano film stranieri, che possono anche ambire a collezionare premi e riconoscimenti, fintanto che si inseriscono nel coro mainstream occidentale e criticano i governi dei paesi da cui provengono. D’altronde, come rileva Rossi, “c’è un conflitto tra unipolarismo atlantico e mondo multipolare, che coinvolge la cultura e l’informazione e che appiattisce la proposta del cinema occidentale, da cui non si impara più nulla”.
Non solo cinema: le geometrie variabili del Festival
Come dicevamo, non c’è però solo cinema a Locarno, ma anche tanta politica. Ha fatto ad esempio molto scalpore l’azione di due attivisti per il clima, saliti sul palco di Piazza Grande e accolti sia dal direttore artistico Giona Nazzaro che dal presidente Marco Solari. Un’azione di protesta, tollerata ed anzi quasi incoraggiata dalla direzione del festival, che ha lasciato campo (e microfono) libero ai due militanti di Renovate Switzerland, poi prontamente rincorsi dalla stampa liberal che ne ha riportato il messaggio e le rivendicazioni (ancorché vaghe e addomesticabili, malgrado anni di lotta contro il cambiamento climatico e di discussioni sulla strategia da adottare per contrastarlo).
Il presidentissimo Solari era però stato chiaro: “che Locarno diventi luogo di manifestazioni prima, dopo o addirittura durante l’evento, non è assolutamente tollerabile. si può tollerare una volta, non due”. Insomma, fintanto che si propone un messaggio in linea con i valori e le parole d’ordine dominanti si può chiudere un occhio, ma guai a trasformare il festival in una tribuna politica. Scelta contestabile, ma legittima fintanto che riguarda la manifestazione cinematografica in sé.
Locarno però non è solo il festival e in agosto sorgono da anni svariate iniziative che arricchiscono e allargano l’orizzonte della kermesse sul Verbano. Tra queste, da anni è presente la consegna dei premi ISPEC, che vengono conferiti a personalità di tutto il mondo per le loro produzioni letterarie, cinematografiche ed artistiche. Quest’anno il premio è stato attribuito alla regista russa Elena Gladkova, per il suo Rachmaninov, in cui vengono raccontate la vita e le opere del grande compositore vissuto a cavallo tra Otto e Novecento. Come da tradizione, la consegna del premio era prevista al centro culturale Il Rivellino, dove doveva avere luogo anche la conferenza “No alla NATO e No all’UE: recuperare la neutralità svizzera, costruire un mondo multipolare”, promossa dallo stesso ISPEC e dal Movimento svizzero per la pace. Con grande sorpresa degli organizzatori e dei partecipanti, l’iniziativa politico-culturale è stata però privata all’ultimo momento dello spazio concordato con il centro culturale, che pare essere stato messo sotto pressione da parte della direzione del festival, infastidita da questa voce fuori dal coro unanime della kermesse ufficiale. Solo grazie a una partecipante all’evento, allibita dall’ostruzionismo subito, si è riusciti a trovare all’ultimo una sala alternativa messa a disposizione da un ristorante nei dintorni, dove conferenza e consegna dei premi hanno potuto avere luogo come previsto. Il Partito Comunista, rappresentato all’evento dal suo consigliere comunale luganese Edoardo Cappelletti, ha preso immediatamente posizione criticando duramente l’ostruzionismo che sembra avere avuto origine dal festival locarnese: “l’accaduto ha comportato un’inammissibile limitazione della libertà d’opinione ai danni di chi, volendo contribuire seriamente e con legittimità ad animare il dibattito politico locale, intende semplicemente presentare una visione non allineata al pensiero dominante e atlantista”. Una limitazione che appare alquanto bizzarra, considerando il trattamento riservato ai due eco-attivisti che sono saliti addirittura sul palco di Piazza Grande per un vero e proprio comizio!
Oltre ad aver dismesso qualunque apporto critico in campo artistico, il festival sembra dunque al lavoro per oscurare le voci dissenzienti anche al di fuori delle sale cinematografiche: una deriva sempre più intollerante, a tratti quasi autoritaria, che lascia decisamente mal sperare per il futuro…