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La sinistra britannica unita a favore del Brexit: solo Corbyn si distanzia!

Il prossimo 23 giugno i cittadini britannici voteranno sulla proposta di uscire dall’Unione Europea (UE), il cosiddetto Brexit. La vulgata dei media egemoni, compresi quelli della sinistra liberal di casa nostra (come il portale GAS in quota socialista), sta facendo passare l’idea che chi vota contro la permanenza della Gran Bretagna nell’UE sia uno xenofobo e un fascistissimo sostenitore dell’UKIP, il partito della destra nazionalista di Nigle Farage e – chissà?! – magari pure assimilabile alla follia assassina del criminale che ha ucciso la deputata laburista (ed europeista) Jo Cox nei giorni scorsi.

Corbin contro il Brexit

La campagna laburista filo-europeista

Niente di più sbagliato e fazioso, perché ad essere unita contro l’UE è la sinistra britannica! Anche se con un’eccezione: ampia parte del Partito Laburista del tanto mitizzato Jeremy Corbyn si schiera con il premier conservatore David Cameron per il Remain! Dunque, nella sostanza, di fronte a una opportunità storica per rifiutare l’imperialismo bellicista dell’UE e l’austerity che distrugge i diritti sociali, Corbyn si appiattisce in prima persona alle solite posizioni di fondo del Labour Party ormai divenuto neo-liberale. Ma per un Corbyn che ubbidisce alla BCE, c’è uno Scargill che resta con i lavoratori.

Il dissenso degli ex-laburisti

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George Galloway

La scissione di sinistra dei laburisti, il Socialist Labour Party (SLP), guidato proprio dello storico leader sindacale Arthur Scargill che fece tremare la Lady di ferro negli anni ’80 (vedi qui), in effetti pone in anteprima non solo il gap di democrazia nelle istituzioni dell’UE ma pure il fatto che esse servono solo a togliere ogni vincolo alle multinazionali ai danni dei lavoratori. Scargill spiega inoltre che nessun governo britannico potrebbe ad esempio rifiutare l’austerity, poiché aderendo all’UE non esiste più alcuna indipendenza. Anche l’altro grande fuoriuscito dal Labour Party, l’ex-deputato George Galloway, oggi esponente del movimento rosso-verde RESPECT, non ha dubbi: l’uscita del Paese dall’UE è una buona opportunità per i progressisti, poiché la Gran Bretagna potrà riconquistare dei poteri democratici.

L’anti-europeismo maoista

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Volantino del CPGB-ML

A sinistra i più patriottici risultano i maoisti del Communist Party of Britain Marxist-Leninist (CPBML) che rivendicano apertamente come priorità per la classe operaia la riconquista della sovranità nazionale britannica contro il cosmopolitismo europeo e chiedono di frenare la libera circolazione della manodopera che sta solo favorendo la guerra fra poveri. “Gli Stati Uniti d’Europa in regime capitalistico possono essere solo reazionari”: a citare Lenin è il quasi omonimo Communist Party of Great Britain (marxist-leninist) – CPGB (ML) – diretto dal professore di diritto Harpal Brar e il suo movimento giovanile Red Youth, che confutano la tesi di chi sostiene che i diritti dei lavoratori siano arrivati grazie all’UE: in realtà i maggiori traguardi sociali sono giunti fra la fine della seconda guerra mondiale e prima dell’adesione del Regno Unito all’UE. Inoltre stando a Brar, il Brexit indebolirebbe il ruolo imperialistico e il legame con gli USA sia di Londra sia di Bruxelles.

Lexit, il Brexit di sinistra

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www.leftleave.org

Il Communist Party of Britain (CPB) e i trozkisti del Socialist Workers’ Party (SWP), assieme all’Associazione dei Lavoratori Indiani in Gran Bretagna e ad alcune organizzazioni sindacali hanno lanciato una campagna alternativa a favore dell’uscita dall’UE, ma indipendente dalla campagna di stampo nazionalista: “Lexit” è la loro sigla, che sta appunto per un Brexit di sinistra. Ad esso ha aderito anche il già citato Galloway. Il punto forte del Lexit è l’opposizione al TTIP, il trattato di libero scambio fra UE e USA che promuove le privatizzazioni dei servizi pubblici e riduce i “corporate standards”. I fautori del Lexit insistono poi sull’impossibilità di ri-nazionalizzare le ferrovie o di sostenere l’occupazione e l’industria nazionale restando ancorati a Bruxelles, citando fra gli altri, la situazione della Grecia dove, ad esempio, i finanziamenti per la sanità sono caduti di un quarto e quelli per l’educazione di un terzo.

Se vince il Sì crolla tutto?

In caso di Brexit “la piazza finanziaria inglese subirebbe gli effetti di un tornado che si ripercuoterebbero pesantemente su tutte le piazze finanziarie europee prima, mondiali dopo” affermano perentori gli amici ticinesi di Corbyn sul portale socialista GAS. Ma a confutare questa tesi è l’economista Alfonso Tuor che in un suo articolo su Ticinonews commenta: “l’uscita di Londra dall’UE non avrà alcuna conseguenza economica rilevante né per la Gran Bretagna né per i Paesi europei. Non è infatti immaginabile che Bruxelles sarà in grado di adottare misure punitive contro il Regno Unito. I motivi sono evidenti. In primo luogo, non vi è alcun interesse economico per un’Unione Europea, che vanta un ampio avanzo commerciale con la Gran Bretagna. In secondo luogo, l’accesso al mercato europeo è garantito dagli accordi dell’Organizzazione mondiale del Commercio che non decadono con la Brexit (e cio’ vale anche per la Svizzera se cadessero gli accordi bilaterali con l’Unione)”.