È impossibile analizzare l’area latinoamericana senza tenere in considerazione il ruolo e gli sviluppi della potenza imperialista nordamericana che strenuamente si oppone all’emancipazione del conglomerato dell’America meridionale.
Recentemente – in stretto collegamento ad una crisi economica di carattere sistemico che non è confinata esclusivamente all’area statunitense, ma che si espande a livello mondiale – assistiamo a un indebolimento degli USA in un contesto internazionale in fase di stravolgimento caratterizzato da un cambiamento dei rapporti di forza tra i vari stati nazionali e, in particolare, tra i vari imperialismi e i paesi antimperialisti.
L’indebolimento del dollaro unitamente alla compartecipazione basilare degli USA nella creazione di un debito mondiale (si stima approssimativamente che lo stato nordamericano è responsabile della metà del debito estero mondiale) pone legittimi dubbi circa lo stato di salute del paese, che lo rendono più incline a subire ricatti da quelle nazioni che ne possiedono in maniera importante la valuta.
Lo scenario che appare è dunque completamente diverso rispetto ai decenni addietro e la novità centrale sta nel constatare la perdita di capacità d’imporre la propria egemonia politica ed economica da parte degli USA, i quali si trovano di fronte ad aree emergenti e non certo propense alla subordinazione. Osserviamo in questo senso un importante ascesa di parte dell’area asiatica, dove il Giappone e la Cina in particolare hanno marcato un buono sviluppo a livello internazionale in termini di affermazione e capacità economica.
Gli stessi nordamericani ammettono questa realtà e di certo non mancheranno d’ingegno per trovare una soluzione che porti ad un aggiustamento. Tuttavia sul carattere e sulla tipologia di queste misure si prospettano scenari non certo rassicuranti, legati direttamente ad un’ipotesi di conflitto che viene confermata dalle autorità stesse, le quali arrivano a dichiarare che “l’unica maniera in cui possiamo preservare una parte della capacità che avevamo di difendere i nostri interessi nella sfera internazionale, è di essere disposti a lottare e combattere, magari per i prossimi 30 o 40 anni”.
Da ciò si evince con chiarezza quanto la potenza nordamericana non abbia alcuna intenzione di favorire un confronto internazionale che esuli dal bellicismo. Peraltro le missioni militari portate avanti sia dai repubblicani che dai democratici, nei vari punti dello scacchiere internazionale, stanno a dimostrare quanto gli USA pur di assicurarsi un’egemonia geopolitica internazionale, portino avanti un’azione guerrafondaia per estirpare ogni volontà autonomista.
In questo particolare frangente è significativo il ciclo di rapporti che gli USA hanno intrattenuto con gli Stati latinoamericani. Lo stesso Monroe, presidente statunitense nel lontano 1823, inserì nella prima dottrina di politica estera (che ebbe una durata di due secoli) nientemeno che il concetto di totale sottomissione del Sud America. Un’area fondamentale per l’accaparramento delle risorse naturali, energetiche ed industriali; un paradiso per la biodiversità.
Conseguentemente, le nazioni che nell’area latinoamericana non hanno alcuna intenzione di intrattenere rapporti di subordinazione con gli USA sono oggetto di una sistematica campagna di denigrazione a livello mediatico, unitamente ad una pressione economica, politica e a volte militare nei loro confronti.
Il caso della Cuba socialista, in questo senso, è significativo e, in base a quanto detto in precedenza, comprendiamo con maggiore chiarezza, circostanze quali l’embargo economico e commerciale imposto dagli USA nei confronti dell’isola, il continuo bombardamento comunicativo con il quale si veicolano esclusivamente informazioni negative su questa nazione ed anche i vari attentati perpetrati in territorio cubano da parte di agenti dei servizi segreti statunitensi.
Di nazioni latinoamericane soggette a queste ed altre pressioni se ne possono citare molte altre: il Venezuela di Chavez; la Bolivia di Morales; l’Honduras di Zelaya, deposto manu militari da una destra sostenuta attivamente da Obama a favore del fantoccio Micheletti; l’Ecuador travolto anch’esso da un tentativo di golpe contro il governo di Correa. Le basi militari stelle e strisce sono ormai sparse in tutte le zone limitrofe, arrivando a circondare l’intera area. L’asso nella manica della governance statunitense sembra essere quindi fortemente incentrato su una sopraffazione di tipo bellico e gli investimenti annuali effettuati nel settore militare ne sono una chiara dimostrazione.
Recentemente – in stretto collegamento ad una crisi economica di carattere sistemico che non è confinata esclusivamente all’area statunitense, ma che si espande a livello mondiale – assistiamo a un indebolimento degli USA in un contesto internazionale in fase di stravolgimento caratterizzato da un cambiamento dei rapporti di forza tra i vari stati nazionali e, in particolare, tra i vari imperialismi e i paesi antimperialisti.
L’indebolimento del dollaro unitamente alla compartecipazione basilare degli USA nella creazione di un debito mondiale (si stima approssimativamente che lo stato nordamericano è responsabile della metà del debito estero mondiale) pone legittimi dubbi circa lo stato di salute del paese, che lo rendono più incline a subire ricatti da quelle nazioni che ne possiedono in maniera importante la valuta.
Lo scenario che appare è dunque completamente diverso rispetto ai decenni addietro e la novità centrale sta nel constatare la perdita di capacità d’imporre la propria egemonia politica ed economica da parte degli USA, i quali si trovano di fronte ad aree emergenti e non certo propense alla subordinazione. Osserviamo in questo senso un importante ascesa di parte dell’area asiatica, dove il Giappone e la Cina in particolare hanno marcato un buono sviluppo a livello internazionale in termini di affermazione e capacità economica.
Gli stessi nordamericani ammettono questa realtà e di certo non mancheranno d’ingegno per trovare una soluzione che porti ad un aggiustamento. Tuttavia sul carattere e sulla tipologia di queste misure si prospettano scenari non certo rassicuranti, legati direttamente ad un’ipotesi di conflitto che viene confermata dalle autorità stesse, le quali arrivano a dichiarare che “l’unica maniera in cui possiamo preservare una parte della capacità che avevamo di difendere i nostri interessi nella sfera internazionale, è di essere disposti a lottare e combattere, magari per i prossimi 30 o 40 anni”.
Da ciò si evince con chiarezza quanto la potenza nordamericana non abbia alcuna intenzione di favorire un confronto internazionale che esuli dal bellicismo. Peraltro le missioni militari portate avanti sia dai repubblicani che dai democratici, nei vari punti dello scacchiere internazionale, stanno a dimostrare quanto gli USA pur di assicurarsi un’egemonia geopolitica internazionale, portino avanti un’azione guerrafondaia per estirpare ogni volontà autonomista.
In questo particolare frangente è significativo il ciclo di rapporti che gli USA hanno intrattenuto con gli Stati latinoamericani. Lo stesso Monroe, presidente statunitense nel lontano 1823, inserì nella prima dottrina di politica estera (che ebbe una durata di due secoli) nientemeno che il concetto di totale sottomissione del Sud America. Un’area fondamentale per l’accaparramento delle risorse naturali, energetiche ed industriali; un paradiso per la biodiversità.
Conseguentemente, le nazioni che nell’area latinoamericana non hanno alcuna intenzione di intrattenere rapporti di subordinazione con gli USA sono oggetto di una sistematica campagna di denigrazione a livello mediatico, unitamente ad una pressione economica, politica e a volte militare nei loro confronti.
Il caso della Cuba socialista, in questo senso, è significativo e, in base a quanto detto in precedenza, comprendiamo con maggiore chiarezza, circostanze quali l’embargo economico e commerciale imposto dagli USA nei confronti dell’isola, il continuo bombardamento comunicativo con il quale si veicolano esclusivamente informazioni negative su questa nazione ed anche i vari attentati perpetrati in territorio cubano da parte di agenti dei servizi segreti statunitensi.
Di nazioni latinoamericane soggette a queste ed altre pressioni se ne possono citare molte altre: il Venezuela di Chavez; la Bolivia di Morales; l’Honduras di Zelaya, deposto manu militari da una destra sostenuta attivamente da Obama a favore del fantoccio Micheletti; l’Ecuador travolto anch’esso da un tentativo di golpe contro il governo di Correa. Le basi militari stelle e strisce sono ormai sparse in tutte le zone limitrofe, arrivando a circondare l’intera area. L’asso nella manica della governance statunitense sembra essere quindi fortemente incentrato su una sopraffazione di tipo bellico e gli investimenti annuali effettuati nel settore militare ne sono una chiara dimostrazione.
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Aris Della Fontana, coordinatore della Gioventù Comunista (GC)