Svolta storica per il Brasile durante quest’ultimo fine settimana, il popolo del colosso sudamericano ha infatti eletto con il 56% delle preferenze la 62enne Dilma Rousseff, prima donna presidente del paese nonchè membro del Partido dos Trabalhadores.
A concorrere per la presidenza vi era Josè Serra, leader socialdemocratico, il quale non ha però superato la soglia del 44% delle preferenze.
La Rousseff ha dichiarato dopo la sua elezione che sarà “il presidente di tutti i brasiliani e di tutte le brasiliane, rispettando le differenze di opinione, di religione e di fede politica”, continuando le grandi lotte che Lula ha condotto e continuerà a condurre fino al 31 dicembre. Infatti, in rapporto ad una serie di diritti chiave, quali quello all’alimentazione e quello all’abitazione, il Presidente uscente ha fatto dei grandi passi in avanti, ponendo le basi per la realizzazione di una concreta pace sociale – come si direbbe in Europa – la quale si potrebbe più giustamente definire “emancipazione dei bassi ceti”, offrendo a milioni di lavoratori sfruttati la possibilità di uscire dal circolo di sfruttamento a cui erano meramente sottomessi, riprendendosi la dignità che ogni essere umano dovrebbe meritare e – più concretamente – riuscendo ad offrire a queste persone nuovi lavori e nuove opportunità per vivere dignitosamente. Le politiche di Lula sono sempre state chiare anche ai partiti borghesi come lo saranno anche quelle di Dilma Rousseff, non per niente Lula é stato fin da subito il primo sostenitore dell’ormai neopresidente, convinto delle sue capacità politiche, negoziative ed amministrative.
Le voci su una sua facile vittoria al ballottaggio dopo la sorpresa della candidata verde Marina Silva agli inizi di ottobre si sono rivelate veritiere. Resta pero’ da chiedersi in che modo sia stato possibile che la candidata verde sia riuscita a raggiungere il 20% dei consensi. Con molta probabilità si tratta di consensi provenienti dall’area PT scontenta delle politiche ambientali di Lula, v’è infatti da prendere in considerazione il progetto di costruzione della diga del Belo Monte – che sarebbe la terza piu’ grande del mondo – con altre quattro centrali nucleari sparse per il paese.
Ci sarebbe comunque da ricordarsi che non si puo’ pretendere l’approvvigionamento energetico a breve termine per 180 milioni di persone unicamente attraverso energie rinnovabili, per lo piu’ in un paese del Terzo Mondo.
Risulta dunque difficile leggere attentamente i verdetti elettorali di inizio ottobre, ora tocca ai compagni del PT pensare ad un proprio miglioramento per quel che riguarda le politiche ambientali – e soprattutto energetiche – riflettendo sui risultati elettorali ottenuti da Marina Silva.
Volendo tracciare un breve ritratto della Rousseff è doveroso citare la sua esperienza nella guerriglia negli anni ’60, ’70 ed ’80 durante il regime militare, periodo nel quale venne rinchiusa in prigione e torturata per quasi un mese. Di fondamentale importanza sono inoltre gli anni di militanza all’interno del sindacato dei metalmeccanici, unitamente al lavoro governativo nel dipartimento brasiliano dell’energia come nella “Casa Civil”, uno pseudo ministero degli interni.
Alle sue spalle due matrimoni finiti in divorzi ed una figlia. Dinanzi a lei l’obbiettivo di proseguire sul modello politico avviato da Lula, lottando in primis sul fronte economico, sociale ed ambientale.
Sono dunque attesi altri quattro anni di progresso in un Brasile che sotto la presidenza di Lula ha potuto crescere e migliorare, ne sono la prova i risultati ottenuti a livello economico e sociale. Il Partido dos Trabalhadores sarà sicuramente in grado di continuare a seguire la strada del progresso e del diritto ad una vita dignitosa, diritti negati troppe volte in passato ai brasiliani. Ma i tempi sono cambiati, il fronte progressista brasiliano – come quello latinoamericano in generale – sta crescendo e Dilma Rousseff sarà certamente la persona adatta a sviluppare ulteriormente i rapporti tra Brasile ed i paesi progressisti dell’America Latina, in primo luogo quelli con l’Alternativa Bolivariana per le Americhe, con la quale il colosso sudamericano intrattiene già buoni rapporti commerciali e culturali.
Insomma, quelle di questo fine settimana non sono state delle semplice elezioni: il popolo brasiliano ha fatto una scelta che condizionerà non soltanto il Brasile, bensì l’intero continente sudamericano: una scelta saggia. Una scelta che ha visto il sostegno di buona parte dei partiti di sinistra brasiliani, in particolare il Partido Comunista do Brasil, il quale ha guadagnato una quindicina di seggi e sostiene organicamente la politica del Partido dos Trabalhadores come via per la liberazione nazionale, prima tappa nella costruzione del Socialismo.
Per i paesi socialisti di tutto il mondo e la sinistra in generale, l’elezione di Dilma Rousseff non può che essere presa positivamente: si tratta dell’ennesimo tentativo di portare sempre più a sinistra un continente – quello sudamericano – che con il passare del tempo segue la propria via d’emancipazione attraverso quei movimenti progressisti legati principalmente al Bolivarismo ed al Socialismo del XXI secolo.
Il blocco progressista latino americano si appresta quindi a proseguire con il proprio consolidamento, a favore dei popoli sudamericani in primis, ma anche a favore di tutti quei paesi che basano le proprie economie su principi socialisti come ad esempio il Vietnam, la Corea del Nord, la Cina e cosi via, senza dimenticare anche i paesi anti-imperialisti come l’Iran che tra l’altro è confrontato da mesi con degli embarghi commerciali da parte dell’Occidente.