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Paradiso – Cinema ed emancipazione femminile in Iran

Dorna Dibaj
Dorna Dibaj

Il regista Sina Ataeian Dena, senza alcuna collaborazione o autorizzazione del governo iraniano, ha realizzato il film “Paradiso”, con attrice principale la bella e brava Dorna Dibaj, nella parte di una maestra che chiede il trasferimento da una scuola della periferia popolare di Teheran a un quartiere settentrionale della città, dove abitano le persone più abbienti e lei stessa.

Il film ha un evidente e voluto scopo: mostrare, attraverso un sapiente utilizzo degli stereotipi cari all’Occidente, la “violenza” della società iraniana contro le donne. Il film si gioca tutto sui soliti pregiudizi, il velo, la religione e, per quanto ridicolo, il fumo, o meglio il diritto delle donne a fumare in pubblico. Spiace davvero che il festival di Locarno si sia prestato a un’operazione così miserevole, ma l’intento di dimostrare che l’Iran sia un inferno e non un paradiso alla fine, nonostante sia esplicitamente dichiarato fotogramma dopo fotogramma nell’orizzontalità immobile della depressione della maestra, naufraga malamente. Anzi il risultato, anche per la bellezza tecnica e formale della pellicola, impreziosita dalla pregevole e ricercata fotografia di Payam Sadegh, è esattamente l’opposto, almeno per chi voglia capire e non crogiolarsi in comodi pregiudizi.

La noiosa ripetitività delle raccomandazioni della preside della scuola non sono altro che le stesse parole ripetute da qualunque dirigente scolastico sotto ogni latitudine. Le parole della preside hanno invece infinito valore laddove sottolineano con evidenza come a ciascun bambino e bambina iraniano sia garantito l’accesso all’educazione, comprensivo del diritto allo sport, come la mensa scolastica sia gratuita e garantita a tutte e tutti, come le pene corporali siano state abolite nella scuola grazie all’avvento della Rivoluzione.

L’intento ferocemente malevolo della pellicola ottiene così il suo scopo solo per spettatori ignoranti e superficiali. Forse in Occidente sono la maggioranza, tuttavia credo che molti abbiano capito e capiranno bene la realtà iraniana anche grazie a questo film, il quale, avendo offerto degli stereotipi, ma senza forzarli, alla fine si è trovato ad ammettere la realtà, ovvero, che in Iran l’istruzione è un diritto assicurato a ogni bambina e a ogni bambino, che le donne lavorano, non solo nella scuola, ma anche in tutti gli altri campi, se ne vedono nel film molte della pubblica amministrazione e comunque rappresentano la metà dei medici, un terzo dei dirigenti delle aziende pubbliche e private del paese e il 60% dei laureati. Il film mostra come le donne escano anche la sera da sole e salgano su taxi collettivi insieme a uomini che non conoscono, come la politica internazionale dell’Iran sia dichiaratamente antimperialista, scorrono verso la conclusione del film immagini di Hugo Chavez e di Bashar Assad insieme al presidente iraniano Mahmud Ahmadinejad. L’Iran e la sua Rivoluzione sono un baluardo contro ogni integralismo, ogni fanatismo e in particolare contro l’estremismo del sedicente stato islamico insediatosi con evidenti complicità internazionali in parte della Siria e dell’Iraq, uno stato in cui lo sgozzamento degli oppositori, la repressione delle donne dentro casa con in più il divieto del lavoro fuori dalle mura domestiche e la barbarie giuridico-amministrativa sono la quotidianità.

L’Iran certamente non è un paradiso, come nessuna nazione al mondo, ma è uno spazio di civiltà e di rispetto degli esseri umani in un contesto, quello mediorientale, in cui la brutalità e la bestialità sono purtroppo una pratica ordinaria. In Iran le donne, grazie alla Rivoluzione, hanno percorso e stanno percorrendo un cammino di emancipazione di enormi proporzioni, un cammino che anche questo film, nonostante i suoi intenti, è costretto ad ammettere.

Davide Rossi

Davide Rossi, di formazione storico, è insegnante e giornalista. A Milano dirige il Centro Studi “Anna Seghers” ed è membro della Foreign Press Association Milan.

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