Con grande gioia ho accolto l’assegnazione del pardo per la migliore interpretazione a Kim Min-hee, per il ruolo di Jeonim nell’ultima pellicola di Hong Sang-soo. E con soddisfazione ancora maggiore ho potuto godermi il film al festival subito dopo aver appreso la notizia. Da fan instancabile del prolifico regista coreano, entrando in sala sapevo che cosa aspettarmi. Ero preparata alle estese conversazioni di personaggi seduti l’uno di fronte all’altro ad un tavolo, intenti a godersi lo scambio di riflessioni e del buon cibo, immancabilmente accompagnato da una generosa dose di alcolici; mi aspettavo calmi momenti contemplativi nei brevi sprazzi che mostrano gli ambienti esterni ed interni dove si svolgono gli incontri tra i personaggi, o i solitari spostamenti dei protagonisti; ed ero anche preparata a una riduzione ai minimi termini della colonna sonora, applicata come Hong Sang-soo ama fare di consueto, in sezioni molto brevi del film selezionate con scrupolosa cura. I film di Hong Sang-soo si strutturano seguendo sequenze di lunghe conversazioni di un realismo estremo, rese incredibilmente interessanti dal talento straordinario degli attori. Sono soprattutto i dialoghi ad arricchire questo cinema, basato su un’estrema economia dei mezzi.
Nella recensione di oggi non cederò alla tentazione di descrivere come tutti questi elementi ricorrenti siano stati magistralmente espressi in questo nuovo film, mi limiterò soltanto a dire che ancora una volta Hong Sang-soo mi ha positivamente sorpresa. Suyoocheon è un film che esprime numerose sensibilità, le quali meriterebbero un’analisi più approfondita, ma in questo caso vorrei portare l’attenzione su un aspetto che per il cinema di questo regista mi è sembrato decisamente inconsueto. In diversi dei suoi passaggi il film ha sfiorato in maniera estremamente leggera la politica, o più precisamente, in alcune conversazioni tra i personaggi è emersa una problematicità legata ad essa, mai espressa in maniera esplicita, non trattandosi affatto di un film politico.
La storia segue alcune giornate vissute da Jeonim, insegnante in un’università artistica, e suo zio Chu Sieon, un celebre attore e regista teatrale, il quale da tempo non lavora più nel settore, ma che è stato chiamato da Jeonim per aiutare quattro sue allieve a preparare uno skit teatrale che dovrà essere presentato alla 39esima edizione del Sukyoo Skit festival entro 10 giorni. Chu Sieon è stato chiamato per sostituire lo studente che si stava occupando del progetto, ma che dopo uno scandalo ha dovuto abbandonare il lavoro, lasciando il gruppo senza una sceneggiatura a ridosso della data dello spettacolo.
Poco dopo avere svolto la prima lezione introduttiva con le studentesse Chu Sieon viene accompagnato dalla nipote a conoscere la professoressa Jeong Eunyeul, che si rivela essere una grande ammiratrice dell’attore-regista. Da questo momento seguiranno molte conversazioni tra questi tre personaggi e saranno queste a fare emergere alcuni elementi legati al tema che ci interessa. Innanzitutto, sin dal primo incontro con la professoressa Jeong, che manifesta un’affettuosa compassione per il suo interlocutore, scopriamo che Chu Sieon è un personaggio celebre e di talento ma ormai caduto in disgrazia e con una carriera distrutta. E per buona parte del film sapremo solo questo. Il punto di svolta arriverà dopo la messa in scena dello spettacolo, lo skit interpretato dalle quattro studentesse, che merita una descrizione più accurata. Si osserva una scena teatrale al cui centro è collocato un tavolino basso, tipicamente coreano, sul quale sono appoggiate quattro ciotole con bacchette e come sottofondo sonoro si sentono una serie di ronzii e boati che richiamano uno scenario di epoca bellica. Vediamo avvicinarsi le quattro ragazze che si siedono ognuna a un lato del tavolo, il sottofondo sonoro si spegne e loro iniziano a mangiare. Durante la loro conversazione discutono di provviste di viveri e acqua e capiamo che interpretano donne della stessa famiglia: una di loro menziona con tristezza e compassione l’assenza del padre e del fratello, poi riprendono a mangiare. Ripartono i suoni da scenario bellico e nell’inquadratura successiva vediamo il volto concentrato di Jeonim che osserva lo spettacolo. L’inquadratura seguente mostrerà invece le ragazze, insieme a Jeonim e al maestro, già fuori dal teatro pronti per dirigersi al ristorante per festeggiare con soddisfazione la realizzazione della messa in scena. Veniamo a sapere che la professoressa Jeong non ha potuto aggregarsi alla compagnia poiché è appena stata chiamata dal rettore dell’università per una questione urgente, che durante la cena si scoprirà essere collegata allo spettacolo appena messo in scena da Chu Sieon. Anche Jeonim viene convocata dal rettore, venuto a sapere che è stata lei a invitare l’attore. A quanto pare, lo spettacolo a qualcuno non è piaciuto, ma soprattutto, si intuisce che il malcontento del rettore sia causato dall’identità dell’autore dello spettacolo. Gli scambi di frasi che avvengono mentre Jeonim si appresta ad abbandonare la cena per dirigersi al rettorato fanno presumere che lo spettacolo è stato interpretato come politico e che ci sono di mezzo anche delle problematiche di genere poiché si tratta di un’università femminile.
È in questo momento che nello spettatore inizia a farsi strada la supposizione che il tracollo della carriera del regista e attore teatrale possa essere avvenuto proprio a causa di motivi politici. Consapevolezza che sembra trovare conferma durante l’ultima conversazione del film che vede partecipi ancora una volta Jeonim, Chu Sieon e la professoressa Jeong. Chu Sieon svelerà alla nipote di avere rotto i rapporti con la sorella, madre di Jeonim, dopo essere stato spregiativamente e pubblicamente definito un comunista. Le reazioni amareggiate che seguiranno da parte di entrambe le donne non faranno altro che confermare la gravità dell’episodio per la mentalità dei sudcoreani, evidenziando quello che oggi in Corea del Sud sembra ancora essere un tabù. La concatenazione di allusioni legate alla carriera spezzata di Chu Sieon, il malcontento del rettore dopo aver scoperto che fu lui a inscenare lo spettacolo, il contenuto stesso dello spettacolo con allusioni a un periodo bellico (che presumibilmente rimanda alla guerra civile) ed infine il suo ricordo dell’accusa di essere comunista da parte della sorella non sono affatto elementi centrali del film. Sono però continue allusioni inserite in maniera sottile e che possono essere lette tra le righe. Sintomatiche, si può supporre, di problematiche e conflitti identitari che, forse, sono consuetudine per chi vive in Corea del Sud.
Questo è un film in cui il regista è riuscito a raccontarci qualcosa di nuovo, e ciò non riguarda soltanto le allusioni politiche. Sono molti i temi di cui riesce a trattare, senza essere mai un manifesto. Rimanendo immancabilmente fedele al proprio stile, Hong Sang-soo è riuscito a ricordarmi come mai io ami così tanto il suo modo di fare cinema. Anche se girato in soli cinque giorni, il film riesce a parlarci di tante cose importanti, facendolo in modo sensibile e semplice. La straordinaria recitazione di Kim Min-hee ha raggiunto livelli magistrali in questo film, affiancata dagli insostituibili e talentuosi Kwon Hae-hyo e Cho Yunhee, tra gli attori prediletti da Hong Sang-soo. E merita sicuramente di essere lodato anche il resto del cast, composto da attori bravissimi che ognuno a suo modo sono riusciti a donarci momenti di inattesa intensità. Suyoocheon è un film toccante e sincero, a mio avviso, un capolavoro di poesia della vita sulla linea di “The Day After” (2017), “Hotel by the River” (2018) e “The Woman Who Ran” (2020).