Essere rivoluzionari, ieri e oggi: Mexico 86

Guatamela, 1976. Alcuni rivoluzionari combattono contro il governo della dittatura militare, che negli anni ’70 uccise e fece scomparire più di 20’000 persone fra attivisti e civili. Una delle tante feroci dittature dell’America Latina di quegli anni, appoggiate dal governo degli Stati Uniti per paura dei movimenti antimperialisti di sinistra che avrebbero potuto prendere il potere rovinando i loro affari. In questo contesto troviamo la protagonista del film, Maria, il cui compagno è anch’egli un militante attivo contro il governo guatemalteco e con cui ha un figlio di pochi mesi. Il film inizia crudelmente, con Maria che assiste all’uccisione del suo amato per mano della polizia guatemalteca, cosa che la costringe alla fuga in Messico insieme al pargolo.

Dieci anni dopo, Maria lavora sotto falso nome per un giornale messicano di orientamento progressista. Riceve informazioni dall’organizzazione in cui milita (l’esercito di liberazione guatemalteco) e cerca di farle pubblicare al fine di smascherare pubblicamente la situazione dittatoriale del suo paese. Questo si rende ancora più necessario nel 1986, quando l’attenzione internazionale è sul Messico per via dei mondiali di calcio, dando a queste pubblicazioni molta più visibilità. L’obiettivo è quello di far escludere il Guatemala dalla competizione e obbligare tutti i governi esteri a prendere posizione contro la dittatura.

Maria però è anche madre di Marco – il quale vive con la nonna poco distante – che vede appena può, esponendosi a dei forti rischi: se i servizi segreti del suo paese d’origine la scoprissero e trovassero suo figlio, lo userebbero contro di lei e contro i suoi compagni. È su questo punto che il film si dispiega, intrecciando l’amore per la famiglia e l’amore per la patria e la giustizia in un’unica persona che non riesce a rinunciare a nessuna delle due, mettendoli a repentaglio entrambi.

Mexico ’86 parla della difficile conciliazione tra maternità e lotta politica.

Essere rivoluzionari in lotta clandestina è estremamente pericoloso. Molte sono le conversazioni significative durante la pellicola fra lei e i suoi capi, svoltesi sempre in posti appartati (per esempio auto posteggiate in parcheggi isolati). Una scena in particolare è centrale per l’opera: la nonna non può più tenere Marco e quindi, secondo le indicazioni dei suoi compagni militanti, Maria dovrebbe mandarlo a Cuba (paese socialista ed ostile alle dittature latine di quegli anni) dove potrebbe crescere al sicuro. Maria però si rifiuta, dicendo di voler tenere il figlio con sé e disobbedendo agli ordini. La sua irremovibile decisione complica ulteriormente la sua vita clandestina e quella di tutti i suoi compagni di lotta in Messico.

Questo è quello che molti hanno dovuto passare in gran parte dei paesi dell’America Latina di quegli anni, dal Cile, dopo il mostruoso golpe militare di Pinochet finanziato e diretto dalla CIA, all’Argentina e così via. Ed è un rischio ancora attuale, poiché gli Stati Uniti hanno sempre considerato il Centro-Sud America il loro parco giochi, dove possono ribaltare governi a piacimento e schiacciare le popolazioni per qualche materia prima, annientando tutti. Per questo motivo Cuba, l’isola ribelle, ha dato tanto fastidio negli anni della Guerra Fredda, ed è per questo che il Venezuela di Maduro lo dà altrettanto oggi. Chiunque non capisca che quella lotta contro le dittature degli anni ‘70 è stata vinta nel 1999 con Chavez sta sbagliando completamente analisi. Il Venezuela di Maduro, che a volte viene condannato anche a sinistra – e pure da una fazione massimalista del Partito Comunista venezuelano – è un baluardo dell’antimperialismo e viene attaccato ferocemente da quella borghesia interna, strettamente legata al governo di Washington, che vorrebbe vedere quel paese tornare suo vassallo, non importa se come dittatura militare o paese liberal-democratico, basta che non si opponga al dominio del dollaro sul suo petrolio, che l’attuale governo vende a prezzo stracciato alla propria popolazione.

Essere rivoluzionari nell’America del “Estamos Unidos” e non degli “Estados Unidos” è ancora oggi più che mai necessario e attuale, per difendere i governi, come quelli cubano e venezuelano, che hanno resistito e resistono a queste ingerenze, muniti di ferventi militanti e rivoluzionari che sempre lottano per l’uguaglianza e un mondo di pace.

Samuel Iembo

Samuel Iembo è stato dal 2015 al 2020 coordinatore della Gioventù Comunista Svizzera. Dopo la maturità presso la Scuola Cantonale di Commercio di Bellinzona, ha iniziato un percorso accademico.