Il 1° agosto del Partito Comunista. “Siamo patrioti perché difendiamo il servizio pubblico”!

Lo scorso 1° agosto, in occasione della Festa Nazionale della Confederazione Svizzera, si sono svolti incontri ovunque nel Paese. Dai brunch in fattoria, alle feste dal sapore patriottardo in centro a Lugano, dalle feste multi-culturali a quelle nazionaliste. Anche il Partito Comunista ha voluto organizzare un proprio evento, sullo sfondo di Casa Gabi, la storica sede locarnese dei comunisti ticinesi. Già in passato l’ex-Partito del Lavoro (che nel 2007 cambiò nome in Partito Comunista) aveva festeggiato a modo suo il cosiddetto “Natale della Patria”: nel 2013, ad esempio, invitando due attivisti NO TAV da Torino per un dibattito sulle grandi opere che deturpano l’ambiente, mentre quest’anno è stato il deputato Massimiliano Ay, segretario politico del Partito a tenere un’allocuzione sull’Unione Europea e sul ruolo dei comunisti nel Paese, spiegando come il suo Partito si presenterà alle elezioni federali con uno spirito costruttivo, spiegando come i comunisti si siano dimostrati spesso più patrioti degli ultra-nazionalisti che prevalgono in questo momento. Di seguito pubblichiamo integralmente il discorso del segretario del Partito Comunista.

Contro l’UE, ma senza ripiegare sul nazionalismo!

Nell’ambito della festa nazionale vorrei parlare di un tema d’attualità come quello delle relazioni con l’Unione Europea (UE). Noi comunisti abbiamo detto che dopo il voto del 9 febbraio bisognava approfittarne per intavolare relazioni di cooperazione con i paesi dei BRICS, ma non perché vogliamo rompere tout court con l’UE, ma per diversificare la nostra economia, i nostri rapporti commerciali, e quindi non essere dipendenti da una potenza piuttosto che da un’altra. Le uscite di alcuni compagni socialisti che fino a ieri erano ultra-europeisti e ora sono diventati, per racimolare qualche voto facile, degli anti-europeisti, sono perlopiù posizioni rozze e assurde, che non solo denotano opportunismo, ma aiuta solo e soltanto l’anti-europeismo semplicistico di stampo leghista, e non la nostra idea di anti-imperialismo e di cooperazione multilaterale. Ecco perché abbiamo deciso di non far aderire il nostro Partito al comitato anti-UE finanziato da Christoph Blocher a cui eravamo stati invitati, ed ecco perché non ho personalmente firmato la proposta di Boris Bignasca di vietare l’esposizione della bandiera europea sul nostro territorio.

Non neghiamo il sentimento nazionale!

Ma nel contempo ricordiamoci anche del compagno Dimitrov, storico leader dell’Internazionale Comunista, che tanti anni fa ricordava come “il cosmopolitismo che nega il sentimento nazionale, non ha nulla da spartire con l’internazionalismo proletario” e allora anche qui alcuni gesti, come quello di non alzarsi per l’inno nazionale, un “partito di governo che non è al governo” come ci siamo definiti a congresso non lo fa! Perché non siamo un’élite di intellettuali cosmopoliti staccata dal popolo, noi siamo un partito d’avanguardia con vocazione di massa e per parlare a questa massa non si possono erigere muri simbolici su questioni che non sono di fondo. L’inno nazionale non è necessariamente nazionalismo, così come europeismo non significa internazionalismo. Anche qui, noi il marxismo lo dobbiamo sempre più coniugare come “teoria della prassi” in senso gramsciano, in modo dialettico.

I nazionalisti svendono l’economia del Paese

Siamo in realtà più patrioti noi di tanti altri, ma non sbandiereremo questo sentimento solo per tirar su qualche voto, perché per noi prima viene la classe sociale e la coerenza del nostro discorso. Siamo patrioti perché difendiamo il servizio pubblico di questo Paese che invece i nazionalisti per primi hanno voluto svendere ai privati legati al capitale estero. Nel 1997 solo il Partito Comunista aveva tentato invano di opporsi con un referendum alle liberalizzazione delle telecomunicazioni e alla privatizzazioni di Swisscom: non solo i nazionalisti sedicenti patrioti, ma pure i sindacati e il PSS hanno mandato al macero un settore strategico della nazione. Siamo patrioti, perché siamo quelli che difendono la neutralità della Svizzera e non vogliamo che i nostri soldati siano impiegati in missioni guerrafondaie con la NATO. Siamo patrioti perché non vogliamo svendere l’oro della Banca Nazionale agli americani: e qui anche i nazionalisti concordavano, ma dove erano questi signori quando si trattava di impedire la riforme della Banca dello Stato del Canton Ticino nel 2003 e mantenere un servizio alla collettività. A difendere quel simbolo “patrio” e “liberale” come la Banca dello Stato erano solo i troskisti e i comunisti, e se l’erano scordato anche i leghisti e i nazionalisti di professione, come peraltro anche tanti socialisti. Siamo patrioti perché rispettiamo la Costituzione federale che riconosce il diritto all’obiezione di coscienza, quando in troppe caserme lo stato di diritto viene dimenticato e quando anche certi presunti socialisti luganesi, infatuati dalla divisa, si scordano i valori fondanti della nostra cultura progressista comune. Siamo patrioti perché vogliamo difendere l’economia nazionale da quei presunti nazionalisti svizzeri che invece vogliono imporre le sanzioni alla Russia contribuendo non solo a perdere posti di lavoro qui da noi, ma anche a rendere il nostro Paese subalterno ai diktat commerciali del Premio Nobel per la Guerra Barak Obama. Siamo patrioti perché il diritto umanitario è scritto nella tradizione del nostro Paese, anche se i nazionalisti razzisti vorrebbero cancellarlo.

Siamo il Partito del Lavoro e del Progresso

Il Partito Comunista è il Partito del Lavoro, è il Partito del Progresso, è un partito inserito nella storia nazionale di questo Paese, che vuole trasformare la classe lavoratrice, quella classe sociale che produce la ricchezza, in una classe nazionale capace cioè di determinare le sorti della Svizzera. Ma se ci chiedono se anche noi allora siamo nazionalisti, noi rispondiamo parafrasando don Lorenzo Milani che se la classe dirigente ha diritto di dividere il mondo in svizzeri e stranieri, allora diremo che noi non abbiamo patria nel loro senso di nazionalisti borghesi, e reclamiamo anzi il diritto di dividere il mondo in diseredati e oppressi da un lato, privilegiati, oppressori e imperialisti dall’altro. Gli uni sono la nostra patria, gli altri sono i nostri stranieri. Compagne e compagni, in conclusione: Marx diceva che il comunismo è la libera confederazione dei produttori associati. Togliatti diceva che la classe operaia, appunto i produttori, deve diventare classe nazionale. E per farlo c’è bisogno anzitutto di organizzazione, di disciplina e di studio. Questo può offrirlo solo un serio Partito Comunista che si ponga il problema del governo e non del folklore e delle boutades estremiste, ed è con questo spirito che ci candidiamo alle prossime elezioni federali, come Partito Comunista che sia il Partito dell’anti-imperialismo, che sia il Partito del Lavoro, che sia il Partito del Progresso! Grazie.

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