Sedie sui banchi, quaderni e classeur negli zaini, pagella in mano e sorriso sulle labbra: la chiusura delle scuole di questo mercoledì non sembra essere stata molto diversa da quella degli ultimi anni. Eppure, questo anno scolastico è stato caratterizzato da una mobilitazione inedita per la scuola ticinese: quella dei docenti neoabilitati, giovani insegnanti formati ma lasciati ai margini del sistema scolastico. A fronte di una disoccupazione crescente e di condizioni lavorative precarie, negli ultimi mesi questi professionisti dell’educazione hanno deciso di alzare la voce. La protesta, sostenuta da sindacati e forze politiche della sinistra, ha messo in discussione non solo le politiche occupazionali nel settore scolastico, ma anche l’intero impianto dell’abilitazione all’insegnamento. Dopo mesi di mobilitazione, è ora senz’altro utile stilare un bilancio e rivolgere lo sguardo al futuro di questa lotta, sostenuta anche dai banchi del parlamento.

Il grido d’allarme dei docenti senza cattedra: “siamo destinati al precariato”
La miccia si accende alla fine di marzo 2025, quando un gruppo di docenti neoabilitati per l’insegnamento dell’italiano al liceo denuncia pubblicamente la chiusura del concorso per questa materia, che preclude loro l’ottenimento di un posto di lavoro dopo un anno di formazione. Questi tredici insegnanti vengono subito seguiti da una sessantina di altri docenti di vari ordini scolastici, che rendono pubblica la propria frustrazione attraverso una lettera al Dipartimento dell’educazione, della cultura e dello sport (DECS) e al Dipartimento Formazione e Apprendimento (DFA) della SUPSI, ossia l’ente preposto all’abilitazione dei nuovi docenti. “Il caso dei tredici docenti di italiano – si legge nella presa di posizione – non è affatto un unicum: da anni, diversi docenti già abilitati sono in attesa di un posto di lavoro – un dato che DECS e DFA hanno convenientemente scelto di passare sotto silenzio”. Errori di calcolo, misure di risparmio che impediscono una stabilizzazione degli impieghi, assegnazione di incarichi a docenti non abilitati e scarsa trasparenza nelle procedure di assunzione: le accuse formulate sono gravi e circostanziate, facendo emergere un malessere a lungo tenuto nascosto. “Per molti di noi – dichiara un docente intervistato da Ticinonews – l’abilitazione è diventata un biglietto d’accesso al precariato, non a un impiego stabile”.
Il sindacato VPOD convoca un’assemblea: “un successo che dimostra la gravità del problema”
A questa prima denuncia segue un’azione organizzata: il 26 marzo, su iniziativa del sindacato VPOD, si tiene a Bellinzona una partecipatissima assemblea dei docenti neoabilitati. L’incontro, definito dalla VPOD un “grande successo”, si conclude con l’approvazione all’unanimità di una risoluzione che denuncia come siano state “disattese e frustrate le legittime aspettative riposte nell’ottenimento di un impiego di tali aspiranti docenti, peraltro già formatisi presso il DFA in condizioni economicamente difficili e pedagogicamente insoddisfacenti”. Attraverso la creazione di una delegazione incaricata di incontrare le autorità e la definizione di una lista di rivendicazioni puntuali e concrete per affrontare il problema, l’assemblea si prefigge dei traguardi specifici e si dà gli strumenti per raggiungerli. La risoluzione è infatti accompagnata dal lancio di una petizione popolare, rivolta al Governo e al DECS, con tre richieste chiare: più trasparenza, revisione dei criteri di abilitazione e assunzioni stabili. “Non siamo semplici numeri – dichiara un docente presente all’assemblea – siamo persone formate con passione, e meritiamo prospettive concrete”.

Oltre 2.200 firme in pochi giorni: quella dei docenti neoabilitati è una causa condivisa
La risposta della cittadinanza è rapida e significativa: in meno di due settimane, la petizione raccoglie oltre 2.200 firme, tra cui quelle di numerosi genitori, docenti in servizio e rappresentanti del mondo politico e culturale. “Abbiamo sentito una solidarietà forte e diffusa – spiega il sindacalista VPOD Edoardo Cappelletti – perché le famiglie capiscono che la qualità dell’insegnamento passa anche dalla stabilità del corpo docente”. La raccolta firme si rivela un momento di legittimazione collettiva del disagio: non si tratta più di un’iniziativa di categoria, ma di una questione pubblica. A fronte del successo dell’iniziativa, la VPOD chiede un incontro ufficiale con la direttrice del DECS, Marina Carobbio, e con il Consiglio di Stato, con l’obiettivo di rompere il silenzio istituzionale e avviare una discussione seria ed approfondita sulle condizioni di impiego nella scuola e sulle prospettive dei docenti neoabilitati.
L’incontro con il DECS: primi spiragli, ma la mobilitazione prosegue
Il 13 maggio 2025, una delegazione della VPOD e del gruppo dei docenti neoabilitati è ricevuta dalla direttrice del DECS Marina Carobbio. Secondo il sindacato, “dall’incontro sono emersi alcuni segnali positivi”, in particolare l’apertura a un confronto strutturato e l’impegno a istituire un tavolo di lavoro per analizzare “le incongruenze tra numero di abilitazioni rilasciate e i reali bisogni del sistema scolastico ticinese”. Tuttavia, i rappresentanti della mobilitazione mantengono i piedi per terra: “Abbiamo ottenuto ascolto, ma non ancora delle risposte soddisfacenti – afferma una docente – e per questo la lotta continua”. La VPOD infatti convoca una nuova assemblea, tenutasi a Bellinzona due giorni dopo l’incontro con la direttrice del DECS, in cui gli impegni da lei assunti vengono definiti “un primo frutto concreto del lavoro sindacale per garantire ascolto e sostegno alla categoria. Ora, a partire da ciò, occorre tenere alta la pressione per fornire soluzioni più avanzate alle problematiche sollevate”. Per questa ragione, l’assemblea decide di portare le rivendicazioni della petizione anche davanti al governo, di verificare l’avanzamento dei cantieri avviati dal DECS e di valutare una presa di contatto con il DFA, ad oggi ancora silente a fronte delle richieste avanzate mesi fa.

“Va rivoluzionato il sistema di abilitazione”: il Partito Comunista presenta una mozione
Il 14 maggio 2025, il Partito Comunista (PC) fa un ulteriore passo politico a sostegno della mobilitazione, depositando una mozione che chiede una revisione strutturale dell’attuale percorso di abilitazione. “È uno scandalo che lo Stato promuova corsi abilitanti senza garantire alcuna pianificazione seria – ha dichiarato il deputato comunista Massimiliano Ay –. La scuola non può essere gestita come un’azienda che assume a chiamata”. Le modifiche proposte configurano una vera e propria rivoluzione del sistema attuale: il PC richiede la denuncia dell’accordo intercantonale sui diplomi scolastici per ottenere maggiore autonomia in questo campo, la rescissione del mandato di prestazione di cui gode il DFA e la reinternalizzazione dell’alta scuola pedagogica all’interno del DECS, nonché il ritorno ad un sistema di abilitazione “en emploi” che favorisca la stabilità economica dei docenti e garantisca la possibilità di formarsi contemporaneamente per più ordini scolastici. A differenza delle generiche interpellanze di denuncia presentate dal resto del parlamento nei mesi precedenti, la mozione comunista rappresenta il primo atto parlamentare che fornisce una concreta risposta legislativa alle rivendicazioni emerse con la mobilitazione dei docenti neoabilitati.
Una vertenza che riguarda tutti
Quella dei docenti neoabilitati è una vertenza emblematica: parla di lavoro giovanile, di formazione pubblica e di una visione della scuola che rifiuta la precarizzazione come modello. In gioco c’è il futuro della scuola ticinese e la credibilità delle istituzioni che la governano. La mobilitazione ha dimostrato che esiste una generazione di insegnanti pronta a battersi non solo per sé, ma per un sistema educativo più equo, stabile e di qualità. E ora la palla passa alla politica: ascoltare non basta più, è venuto il tempo di agire.