Agenti di Putin, giustificazionisti, fiancheggiatori, complici del nemico, “Putin-Versteher”. Gli appellativi attribuiti dalla stampa e dagli “intellettuali” occidentali a chi esce dal coro del mainstream atlantista in merito al conflitto in Ucraina sono numerosi e vengono distribuiti ad ampie mani in questi giorni. Ma chi sono, cosa dicono quelli che vengono additati come “agenti del nemico”? Sono davvero persone al soldo di una potenza straniera (come si sarebbe detto negli anni ’50) o trattasi più semplicemente di osservatori indipendenti che propongono una diversa lettura degli eventi? Dopo aver analizzato la posizione di diversi partiti comunisti in merito alla vicenda ucraina (leggi qui), proponiamo qui un’indagine sui pareri non allineati alla propaganda guerrafondaia fomentata da Washington e Bruxelles, la cui appartenenza politica e ideologica è però spesso incontestabilmente – e forse per alcuni sorprendentemente – di matrice europeista e (social)liberale.
La stampa occidentale fomenta la “caccia alle streghe” filo-russe
Sulle nostre colonne abbiamo già parlato della campagna filo-atlantica avviata dal quotidiano LaRegione (leggi qui), il cui vice-direttore Lorenzo Erroi ha ad esempio accusato il Partito Comunista di “schierarsi con il nemico” per aver ricordato (pur pronunciandosi per il cessate il fuoco e l’apertura di negoziati di pace) le responsabilità della NATO nell’escalation in Est Europa. In modo simile, anche il noto giornalista della Radiotelevisione della Svizzera italiana (RSI) Roberto Antonini ha condiviso le parole dello storico italiano Marcello Flores, secondo cui “i giustificazionisti (che) battono sul fatto che la Nato, l’Occidente o Biden individualmente, avrebbero le loro colpe (…) si comporta(no) come agent(i) di Putin all’interno dell’opinione pubblica europea”.
In Italia il clima da “caccia alle streghe” sembra essere ancora peggiore: sul quotidiano italiano Repubblica, il giornalista Gianni Riotta ha di recente pubblicato un “identikit dei putiniani d’Italia”, proponendo un’analisi del “fenomeno dei Putin-Versteher” che sa molto di lista di proscrizione (giornalisti, politici ed accademici vengono infatti messi all’indice anche solo per essersi opposti all’invio di armi in Ucraina). Una campagna, quella contro ogni parere anche solo leggermente divergente dal dogma atlantista, che ha già mietuto numerose vittime, nel mondo della cultura e dello sport (di cui ha parlato Niki Paltenghi in questo suo articolo), ma anche in quello dell’informazione e dell’università.
Giornalisti e accademici alla gogna per aver ricordato il ruolo della NATO
Una delle prime vittime della “caccia alle streghe” è infatti stato il corrispondente della RAI da Mosca Marc Innaro, che il 25 febbraio aveva osato affermare in un telegiornale una semplice verità storica, ossia che “basta guardare la cartina geografica per capire che, negli ultimi 30 anni, chi si è allargato non è stata la Russia, ma la Nato”. Apriti cielo: il deputato PD Andrea Romano, membro peraltro della commissione parlamentare di vigilanza sulla RAI, aveva definito questo avvenimento come “vergognoso per il servizio pubblico”, affermando che “quanto detto nell’intervista è di una falsità gravissima”. Da allora, il capo-sede di Mosca è apparso solo in trasmissioni minori e mai più al Tg1: si sussurra che le pressioni esercitate dal PD per un suo allontanamento siano all’origine di questa scelta “editoriale” (dal carattere decisamente politico).
Innaro non è però il solo giornalista italiano a mettere in evidenza le responsabilità occidentali nell’escalation del conflitto in Ucraina: anche Sara Reginella, documentarista che ha narrato le vicende avvenute in Donbass negli ultimi anni, è stata vittima di pesanti attacchi da parte della stampa e della politica per le sue dichiarazioni rilasciate a RaiNews24, in cui ha ricordato che quello del 2014 è stato “un golpe realizzato con della manovalanza nazista”.
In un editoriale apparso sul Fatto Quotidiano del 26 febbraio, è stata Barbara Spinelli (già deputata europea per la Sinistra Europea) a rilevare come “il disastro poteva forse essere evitato, se Stati Uniti e Ue non avessero dato costantemente prova di cecità, sordità, e di una immensa incapacità di autocritica e di memoria”. La sua conclusione è fortemente autocritica nei confronti dell’Occidente:
Nel 2014, facilitando un putsch anti-russo e pro-Usa a Kiev, abbiamo fantasticato una rivoluzione solo per metà democratica. Riarmando il fronte Est dell’Ue foraggiamo le industrie degli armamenti ed evitiamo alla Nato la morte cerebrale che alcuni hanno giustamente diagnosticato. Ammettere i nostri errori sarebbe un contributo non irrilevante alla pace che diciamo di volere.
Barbara Spinelli, già eurodeputata per la Sinistra Europea
Per questa sua posizione, anche Spinelli è stata in seguito additata come filo-putiniana (e non a caso figura nell’indice dei “Putin-Versteher” stilato da Gianni Riotta, che la descrive come una “ex analista filo Nato”).
Pochi giorni fa, in seguito alla trasmissione Piazza Pulita (programma di La7 diretto da Corrado Formigli) è andato in scena un nuovo triste episodio che in salsa di “polizia del pensiero”. Per aver ricordato che “la legge ferrea della politica internazionale che prevede le grandi potenze proibiscono categoricamente ai paesi confinanti di avere una linea di politica estera che rappresenti una minaccia per la sicurezza nazionale” e che “quello che Putin sta facendo in Ucraina è esattamente la stessa identica cosa che Kennedy ha fatto a Castro nel 1962”, il professor Alessandro Orsini si è visto accusare dalla propria università – la Luiss – di “non attenersi al rigore scientifico e all’evidenza storica”. Non è bastato ad Orsini dichiarare di “amare gli Stati Uniti”, di “schierarsi con l’Occidente” e di “condannare con tutte le proprie forze l’invasione russa”: anche lui è finito nel girone dei “putiniani”, con la grave – ed infondata – accusa di dire il falso.
Lo scambio avuto con il pluridecorato giornalista filo-USA Federico Fubini è d’altra parte indicativo del doppiopesismo di cui è vittima il dibattito pubblico: le evidenti falsità da lui pronunciate non sono infatti state confutate da nessuna università o “fact-checker”. E diviene quindi vero che “gli Stati Uniti non hanno mai attaccato Cuba”, la Baia dei porci se l’è inventata Fidel per la sua propaganda; che “nessuno sta pensando di mettere delle testate nucleari in Ucraina” a parte il suo presidente (vedi qui), ma quello non conta; che “la NATO è un’alleanza difensiva che non ha mai fatto la guerra a nessuno”, tranne all’ex-Jugoslavia, all’Afghanistan, alla Libia (oltre agli altri innumerevoli paesi bombardati ed occupati dai suoi membri, dall’Iraq alla Siria), ma quelli in fondo se lo meritavano.
Dalla furia russofoba non è stato risparmiato neppure il presidente dell’ANPI Gianfranco Pagliarulo, colpevole di aver osservato che “l’allargamento della Nato a Est è stato vissuto legittimamente da Mosca come una crescente minaccia”. Anche il presidente dell’associazione partigiani, da sempre impegnata in difesa della pace e contro il fascismo, è dunque finito nel tritacarne mediatico: il quotidiano romano Il Tempo ha ad esempio titolato “I partigiani dell’ANPI abbracciano Vladimir Putin” (vedi qui), mentre Matteo Renzi ha definito “vergognose” le parole di Pagliarulo.
Gli ex-capi di Stato concordano: “isolare la Russia è un stato un errore”
Non è però solo la cosiddetta “società civile” ad avanzare qualche riflessione (auto)critica: anche alcuni ex-capi di Stato e diplomatici italiani hanno infatti ricordato come la Russia di Putin avesse messo in chiaro da tempo quali fossero le proprie condizioni per garantire la sicurezza in Europa.
Il 23 febbraio scorso, Romano Prodi – intervistato dal Foglio – ricordava ad esempio che “quando, ai miei tempi, lavorai all’allargamento dell’unione europea, da presidente della Commissione, Putin mi disse che per lui l’avvicinamento dell’Ucraina all’unione europea, dal punto di vista economico, non era un problema. La sua ossessione era la Nato. Lo ripeteva sempre. Ci diceva e mi diceva: io non farò mai affari con la Cina, la Nato però non deve mettere un piede né in Georgia né in Ucraina” (leggi qui). D’altra parte già nel 2015, sempre in un’intervista rilasciata al Foglio, egli aveva (quasi profeticamente) dichiarato che
Isolare la Russia è un danno. Il problema è avere chiara l’idea di dove devi arrivare. Se vuoi che l’Ucraina non sia membro della NATO e dell’UE, ma sia un paese amico dell’Europa e un ponte con la Russia, devi avere una politica coerente con questo obiettivo. Se l’obiettivo è portare l’Ucraina nella NATO, allora crei tensioni irreversibili.
Romani Prodi, già presidente del Consiglio e presidente della Commissione UE
L’ex-presidente del Consiglio Massimo D’Alema, intervistato dalla Stampa il 27 febbraio, ha affermato che “in prospettiva, se si vuole costruire una soluzione stabile e sostenibile, non si può non tener conto, malgrado Putin, che ci sono anche le ragioni della Russia” (leggi qui). Pur considerando l’intervento militare russo un “crimine” e un “errore”, D’Alema ha osservato che “la politica dell’Occidente verso la Russia è stata una politica sbagliata che ha favorito Putin (…) non abbiamo fatto nulla per inserire la Russia in un contesto di post-guerra fredda. Soprattutto gli americani hanno continuato a guardare alla Russia con i sentimenti di quell’epoca”. L’ex primo ministro italiano tiene a ricordare quali sono le “ragioni della Russia” che occorre tenere in considerazione per concludere una pace stabile e duratura, in primo luogo il rispetto delle minoranze russe: “in tutti questi Paesi ex sovietici ci sono delle minoranze russe, anche molto consistenti e noi non ci siamo occupati quasi per nulla della tutela dei diritti di queste minoranze (…) Il nazionalismo ucraino, che è stato responsabile di prevaricazioni nei confronti della minoranza russa, doveva essere scoraggiato non incoraggiato da una parte del mondo occidentale. Il nazionalismo ucraino ha rinnegato gli accordi di Minsk che prevedevano una riforma costituzionale dell’Ucraina che consentisse l’autonomia delle regioni”. In secondo luogo, D’Alema precisa la necessità di una diversa concezione della sicurezza in Europa:
Il tema della sicurezza della Russia non è stato mai affrontato in modo serio. C’erano e ci sono due possibilità. I russi non hanno mai escluso di una loro inclusione in una NATO che cambi natura. Altrimenti occorre realizzare una struttura comune della sicurezza europea, un accordo che i russi a un certo punto hanno chiesto ed è stato negato. Una nuova Conferenza di Helsinki. Un’architettura della sicurezza in Europa in grado di garantire noi e garantire loro. Rinunciando all’idea che la garanzia è data dal fatto che noi circondiamo la Russia.
Massimo D’Alema, già presidente del Consiglio italiano
Voci dalla Farnesina: “ignorate le fondate preoccupazioni russe”
Ancor più netta la posizione di Lamberto Dini, già presidente del Consiglio ed in seguito ministro degli esteri alla fine degli anni ’90, secondo cui “la guerra in Ucraina nasce dall’azione americana”. Intervistato da Milano Finanza il 1° marzo (leggi qui), l’ex-ministro ha dichiarato:
Gli Stati Uniti non hanno mai dato spiegazioni sul perché considerassero inaccettabile un’Ucraina neutrale. Si sono limitati a dire che la questione non era all’ordine del giorno ma per anni hanno continuato ad armare l’Ucraina. Ora si è scatenato un conflitto assurdo ma mi domando se Stati Uniti ed Europa non ne siano collettivamente responsabili insieme alla Russia (…) Come ministro degli Esteri ho partecipato a numerosi incontri con i ministri Primakov e Ivanov, e il segretario di Stato americano, Madeleine Albright, e posso affermare che il pensiero dei russi non è mai cambiato. Avere delle basi Nato lungo i 1.500 km del confine ucraino, per la Russia è sempre stato inaccettabile. Da qui nascono le richieste di Putin, che invece sono state ritenute irricevibili dagli Usa.
Lamberto Dini, già presidente del Consiglio e ministro degli esteri
Di parere simile anche Sergio Romano, già ambasciatore d’Italia presso la NATO e a Mosca negli anni ’80, secondo cui “in Occidente si è fatto finta di non sapere quali fossero gli obiettivi di Putin ed erano anche, in un’ottica russa, abbastanza comprensibili”. In un’intervista rilasciata a Il Riformista il 23 febbraio (leggi qui), l’ex-diplomatico affermava quanto segue:
Io credo che se avessimo in qualche modo aiutato Putin, per esempio senza insistere per l’allargamento della Nato fino ai confini della Russia e lasciare che l’Ucraina chiedesse di far parte della Nato, mettendola, per così dire, in una lunga sala d’aspetto piuttosto che lasciarla sperare, beh tutto sarebbe stato probabilmente diverso e meno imbrogliato. Le ripeto oggi quanto ho avuto modo di affermare in tempi non sospetti: che la collocazione che intravedevo come desiderabile per l’Ucraina era quella della neutralità, il Paese doveva diventare neutrale. È stato completamente irragionevole prospettare la possibilità dell’ingresso dell’Ucraina nella Nato. Perché la Nato è un’organizzazione politico-militare congegnata per fare la guerra. Farla quando in gioco sono gli interessi del dominus dell’Alleanza atlantica: gli Stati Uniti. Ora, se Washington punta all’ingresso dell’Ucraina nella Nato vuol dire che la guerra può essere portata alle frontiere della Russia. Questa è comunque la percezione di Mosca di cui non si può non tener conto. Ritengono che si tratti di una preoccupazione in qualche modo fondata e non l’“ossessione” di Putin.
Sergio Romano, già ambasciatore d’Italia alla NATO e a Mosca
In Francia, ex-ministri socialisti e gollisti contro la guerra alla Russia
Non solo in Italia, ma anche in Francia si sono levate alcune autorevoli voci contro l’escalation fomentata da Washington. Segolène Royal, più volte ministra nei governi socialisti degli ultimi 30 anni, il 21 febbraio aveva ad esempio twittato “Ci vorrebbe un nuovo generale De Gaulle che si facesse rispettare dai nostri amici americani dicendo loro di ritirare le proprie truppe. La Russia non ha diritto al rispetto degli accordi sulla sicurezza alle sue frontiere? Le sanzioni economiche penalizzano ben più l’Europa” che la Russia. Negli ultimi giorni si sono moltiplicate le sue prese di posizione in favore del cessate il fuoco e dell’apertura di un processo negoziale, opponendosi all’invio di armi in Ucraina, rifiutando l’entrata in guerra contro la Russia (ha più volte ricordato il rifiuto francese di partecipare al conflitto in Iraq) e facendo appello ad una ridefinizione del ruolo della NATO. La sua critica agli USA è serrata: gli Stati Uniti sono accusati di aver organizzato la debolezza dell’Europa, dislocando le proprie truppe sul vecchio continente al fine di svolgere delle operazioni di spionaggio e di aumentare la pressione contro la Russia.
In termini simili si è anche espresso Dominique de Villepin, ministro degli esteri e primo ministro di Jacques Chirac al tempo della guerra in Iraq, che si è scontrato duramente con Bernard-Henry Lévy durante un dibattito televisivo: distanziandosi dalle posizioni guerrafondaie di quest’ultimo, De Villepin si è schierato contro un intervento militare occidentale in Ucraina. “Una risposta militare aggraverebbe le sofferenze dei civili ucraini – ha affermato – conducendo Vladimir Putin in una escalation militare in cui la sua determinazione sarà sempre maggiore rispetto alla nostra” (leggi qui). Non è mancata una sonora bacchettata allo showman sionista, che in passato ha sostenuto praticamente tutti i colpi di Stato e gli interventi militari imperialisti in ogni angolo del mondo (Nicaragua, Libia, Siria, Ucraina, ecc.): “non dimentichiamo le sofferenze che abbiamo inflitto attraverso degli interventi militari senza via d’uscita (…) abbiamo altri mezzi per raggiungere Vladimir Putin e non credo che questa postura sui programmi televisivi sia la miglior risposta”. Come dire: invece di andare a promuovere la guerra nei salotti mediatici e nelle passerelle TV, si lasci spazio alla diplomazia e si interrompa la propaganda russofoba che non fa altro che alimentare il conflitto. Un suggerimento, quello di De Villepin, che dovrebbe far riflettere anche qualche zelante commentatore delle nostre latitudini.
Gli stessi ideatori dell’egemonia USA avevano predetto lo scontro
Se torniamo indietro nel passato, addirittura fra gli stessi diplomatici statunitensi emergono alcune riflessioni premonitrici di questo genere. Nel 1998, in occasione dell’entrata di Polonia, Ungheria e Repubblica Ceca nella NATO, fu George Kennan (ambasciatore a Mosca negli anni ’40, considerato l’ideatore della politica di contenimento dell’URSS) a rilasciare le seguenti considerazioni al New York Times (leggi qui):
Penso che sia l’inizio di una nuova guerra fredda. Penso che i russi reagiranno gradualmente in modo piuttosto negativo e ciò influenzerà le loro politiche. Penso che sia un tragico errore. Non c’era alcun motivo per questo. Nessuno stava minacciando nessun altro. Questa espansione farebbe rivoltare nelle loro tombe i Padri Fondatori di questo paese (…) Sono stato particolarmente infastidito dai riferimenti alla Russia come un paese che muore dalla voglia di attaccare l’Europa occidentale. (…) Si tratta di una decisione che mostra una mancanza totale di comprensione della storia russa e della storia sovietica. Ovviamente ci sarà una brutta reazione da parte della Russia, e a quel punto [gli espansionisti della NATO] diranno “Vedete, ve l’abbiamo sempre detto che i russi sono cattivi” – ma questo è semplicemente sbagliato.
George Kennan, ex-ambasciatore USA a Mosca
Ancora nel 2014, immediatamente dopo il colpo di Stato del Maidan, fu lo stesso Henry Kissinger (colui che, per intenderci, ha pianificato il golpe fascista in Cile del 1973) a dichiarare al Washington Post (leggi qui) che:
Qualsiasi tentativo dell’Ucraina cattolica e di lingua ucraina di dominare l’altra Ucraina ortodossa e russofona condurrà necessariamente alla guerra civile e alla fine dell’unità nazionale. Considerare l’Ucraina come parte del confronto Est-Ovest, spingerla a far parte della NATO, equivarrebbe ad affossare per decenni ogni prospettiva di integrare la Russia e l’Occidente – e in particolare la Russia e l’Europa – in un sistema di cooperazione internazionale. Una saggia politica statunitense verso l’Ucraina avrebbe dovuto cercare il modo di favorire l’intesa tra le due parti del Paese. L’America avrebbe dovuto favorire la riconciliazione e non, come ha fatto, il dominio e la sopraffazione di una fazione sull’altra.
Henry Kissinger, ex-Segretario di Stato USA
Finiamola con la caccia alle streghe, consideriamo questo conflitto per quello che è: la logica conseguenza dell’espansione occidentale
A meno di voler considerare Henri Kissinger o Romano Prodi dei “Putin-Versteher” – come implicitamente ci suggerisce il mantra atlantista dominante – va accettato il fatto che i segni premonitori di questo conflitto erano ben chiari (benché in molti speravamo e credevamo che non sarebbe scoppiato, almeno non così presto), che le richieste russe di una diversa configurazione dell’assetto militare europeo erano (e sono) del tutto legittime e che è stata proprio la decisione di ignorarle per decenni ad aver condotto alla situazione attuale. Invece di gioire della decisione del Consiglio federale di congedare definitivamente quel poco di neutralità che ancora ci rimaneva per schierarci a fianco della NATO, invece di applaudire all’invio di armi in Ucraina deciso dai governi europei e dalle autorità dell’UE, invece di demonizzare Putin come un folle invasato con manie di grandezza e di dominio mondiale, sarebbe ora di prendere atto di questa realtà storica e di finirla con la mistificazione propagandistica. Tutto questo non facilita i negoziati (da cui in ogni caso il nostro Paese ha deciso – colpevolmente – di autoescludersi) né la conclusione di una pace stabile e duratura. Che resta (qualora non fosse ancora chiaro) l’unica possibile per evitare il ripetersi di simili eventi.