Venerdì a Mosca si sono tenute le sontuose celebrazioni per l’80esimo anniversario della resa incondizionata del Terzo Reich, che pone fine alla Seconda Guerra Mondiale in Europa.
Accanto a Vladimir Putin sulla Piazza Rossa c’è un’imponente rappresentanza di leader dell’Africa, dell’America latina ma soprattutto dell’Asia, primo tra tutti il presidente della Repubblica Popolare Cinese Xi Jinping.
Non pervenuti invece gli ex alleati che pure contribuirono a quella vittoria di 80 anni fa: un’importante ricorrenza che però manda in crisi le élite europee.
Mezzo mondo a Mosca
In testa alla parata sfilano i soldati di Bielorussia, Kazakistan, Kirghizistan, Tagikistan, Turkmenistan, Uzbekistan, Vietnam, Laos, Birmania, Cina, Egitto e Mongolia. I militari di mezza Asia marciano dunque sulla Piazza Rossa, dove poco dopo passeranno anche i veterani dell’Operazione Militare Speciale, a ennesima dimostrazione che l’“isolamento della Russia” rimane un miraggio nonostante la scomunica della sedicente “comunità internazionale” (alias i paesi imperialisti e i loro più immediati vassalli).

Sulle tribune accanto al presidente Putin la rappresentanza internazionale è ancora più vasta: Aleksandr Vučič (Presidente della Serbia), Kasym-Žomart Tokaev, (Presidente del Kazakistan), Sadyr Žaparov (Presidente del Kirghizistan), Aleksandr Lukašenko (Presidente della Bielorussia), Emomali Rahmon (Presidente del Tagikistan), Serdar Berdymuhamedov (Presidente del Turkmenistan), Denis Sassou Nguesso, (Presidente della Repubblica del Congo), Nicolás Maduro (Presidente del Venezuela), To Lam, (Segretario Generale del Partito Comunista del Vietnam), Miguel Díaz-Canel, (Presidente di Cuba), Hussein Ibrahim Taha (Segretario Generale dell’Organizzazione per la Cooperazione Islamica), Luiz Inácio Lula da Silva (Presidente del Brasile), Umaru Sissoco Embaló (Presidente della Guinea-Bissau), Abdel Fattah al-Sisi (Presidente dell’Egitto), Emmerson Mnangagwa (Presidente dello Zimbabwe), Badra Gunba (Presidente dell’Abkhazia), Nikol Pašinyan (Primo Ministro dell’Armenia), Min Aung Hlaing (Primo Ministro del Myanmar), Mahmoud Abbas (Presidente della Palestina) e persino Milorad Dodik (Presidente della Repubblica Serba di Bosnia ed Erzegovina.
Menzione d’onore per Robert Fico, Primo Ministro della Slovacchia e unico leader dell’Unione Europea a sfidare le isteriche minacce della Commissione Europea; e per Ibrahim Traoré, Presidente del Burkina Faso, eroe dell’insurrezione contro la dominazione neocoloniale francese e degno erede di Thomas Sankara.
Putin ha poi stretto calorosamente la mano agli ufficiali della Repubblica Popolare Democratica di Corea che hanno comandato il distaccamento coreano nella liberazione della regione di Kursk dalle truppe ucraine e dai mercenari stranieri.
L’ospite più importante è stato comunque Xi Jinping, che è giunto a Mosca già il 7 maggio per discutere con il padrone di casa il rafforzamento della cooperazione economica e diplomatica tra le due potenze. Il presidente cinese si unisce a Putin, per la prima volta esplicitamente, nel sostenere che la risoluzione del conflitto ucraino passa attraverso la rimozione delle cause profonde del conflitto stesso. In altre parole, la soluzione alla guerra non si ottiene attraverso compromessi e concessioni che non risolvono nulla, come invece vorrebbe Trump, ma fermando l’espansionismo della NATO.

Il dato storico importante è che tutti questi leader hanno ritenuto fondamentale trovarsi a Mosca per onorare la memoria della grande Vittoria contro il nazifascismo e del sacrificio dei soldati di tutti i paesi che l’hanno resa possibile. Gli stessi leader non hanno trovato inopportuno recarsi nella capitale russa proprio mentre la Federazione combatte una sanguinosa guerra contro l’Ucraina, che l’Occidente vuole vittima innocente di un’aggressione ma che il resto del mondo sa essere responsabile del conflitto nonché ideologicamente erede di quello stesso mostro nazifascista sconfitto ottant’anni fa.
Un anniversario che si vuole dimenticare
Decisamente sottotono le celebrazioni in Europa e Nord America. Quasi ovunque le commemorazioni per gli 80 anni passano in sordina, senza eccessiva enfasi né promozione, nel palpabile imbarazzo di chi non può sconfessare una festa ma nemmeno vuole festeggiarla davvero. In Germania, a Berlino, si tiene qualche timido evento pubblico alla presenza di funzionari di terza categoria, si invitano i sopravvissuti dell’Olocausto (unico episodio della guerra che per l’establishment vale la pena di ricordare, spesso in funzione antipalestinese), ma si proibisce la simbologia sovietica dell’epoca: banditi i simboli dei Vincitori, cosa resta di questa Vittoria?

Nei paesi baltici non perdono tempo con ipocrite messinscene e bandiscono del tutto la commemorazione. Del resto, se ci si sente eredi dei collaborazionisti, l’8-9 maggio non è il giorno della liberazione ma della sconfitta…
A Londra il 5 maggio si tiene una modestissima parata militare alla presenza della famiglia reale. Sfila anche uno sparuto drappello di soldati ucraini, che non stanno al passo con la musica e sono costretti a calpestare lo sterco equino lasciato dalla cavalleria inglese passata prima di loro.
Ben altra cosa era stata l’orgogliosa marcia dei militari di Kiev sulla Piazza Rossa nell’ormai lontano 2013, l’ultimo anno in cui l’Ucraina aveva partecipato alle festività del 9 maggio, pochi mesi prima dei disordini di piazza Maidan che portarono al golpe neonazista.

Quest’anno a Kiev i pochi anziani pensionati che ancora avevano il coraggio di festeggiare pubblicamente la ricorrenza, sacra per ogni sovietico, sono stati maltrattati e arrestati dalla polizia.
In Svizzera i comunisti conservano la memoria
In Svizzera, il Consiglio di Stato di Basilea è arrivato invece a chiedere (invano) all’Ambasciata della Federazione Russa di rinunciare a festeggiare la Giornata della Vittoria al cimitero di Riehen, dove si trova una lapide in onore dei soldati sovietici. Una proposta in sé offensiva e indicativa di scarsa cultura diplomatica da parte del governo cantonale basilese. All’ovvio e legittimo rifiuto da parte russa di cedere a tali richieste, l’Ambasciatore di Mosca è stato costretto – scortato dalla Polizia – a svolgere una cerimonia religiosa dai tempi ridottissimi, con pochissimi funzionari e impedendogli di interagire con il folto pubblico, che ha dovuto attendere fuori dal cimitero, scandalosamente chiuso ai cittadini per alcune ore. La comunità russa, il Partito Comunista, il Partito del Lavoro e numerosi cittadini svizzeri antifascisti hanno solo in seguito potuto rendere omaggio alla tomba: i presenti simbolicamente sono quindi entrati con centinaia di riproduzioni del vessillo con falce e martello alzato sul Reichstag dai militari sovietici della 150a divisione russa di Idrica e del 79° corpo fucilieri del 1° fronte bielorusso.

L’Unione Europea non sa che farsene dell’80esimo
Nei mass media europei i riferimenti all’anniversario sono pochi, molto formali e senza entusiasmo, peraltro sepolti sotto le notizie del Conclave e dell’elezione di Leone XIV. Eppure per tanti sedicenti “antifascisti” di casa nostra l’80 anniversario della sconfitta del nazifascismo dovrebbe essere un evento certamente non secondario rispetto all’elezione di un nuovo papa.
Perché tutto questo malcelato disprezzo verso la festa antifascista per antonomasia? Forse perché l’”antifascismo” odierno non è più un atteggiamento figlio dell’esperienza novecentesca, ma un concetto astratto e ormai avulso da qualsiasi legame con il dato storico.
L’Unione Europea non sa che farsene della festa della Vittoria. Da un lato non può ignorarla, vista quanta energia viene profusa a diffondere tra la popolazione il terrore di una nuova ”onda nera”. Dall’altro lato è una festa scomoda, siccome la vittoria sul nazifascismo in Europa è stata garantita dall’Unione Sovietica e dal comunismo, fatto che alle attuali élite europee non piace ricordare. L’Unione Europea ha già da anni sancito per legge l’equiparazione tra comunismo e nazismo, e dunque non è granché coerente festeggiare la vittoria dell’uno sull’altro, oltre al fatto che diversi governi dell’est considerano la liberazione sovietica come un’occupazione peggiore di quella nazista.
Tirando le somme, la festa della Vittoria non piace a nessuno in Europa, né alla destra segretamente nostalgica, né alla sinistra liberal, che odia ricordare come il fascismo sia stato sconfitto dai soldati dell’Armata Rossa e non da giovani pirla con l’ecoansia. Ecco dunque come mai la fine della Seconda Guerra Mondiale in Europa viene degnamente festeggiata da tutti i continenti, tranne l’Europa stessa.