Prendere parte ed inasprire sanzioni UE (l’Unione che stanzia 500 milioni di euro in supporto bellico), chiudere unilateralmente spazi aerei e disinformare omettendo sistematicamente una lunga serie di cause, porta solamente al peggioramento della già tragica situazione a discapito del ben più edificante ruolo di mediazione che la Svizzera potrebbe assumere.
Una stampa elvetica, bellicosa e volutamente di parte, contribuisce irresponsabilmente al clima di tensione che sul piano culturale legittima le intenzioni profondamente contraddittorie di chi pensa di promuovere pace a suon di giri di vite.
Da settimane si assiste a strafalcioni di giornalisti come Melchionda che affermano come le fonti di un video non siano rilevanti, tio.ch che diffonde ignaro la bandiera degli (apertamente) nazifascisti e criminali umanitari Pravyj Sektor, la RSI che glorifica “mamme civili” che si arruolano, caricando fucili nei loro salotti, Le Matin che strumentalizza disumanamente il suicidio di un ragazzo elvetico attribuendolo all’attualità ucraina, il Tg2 che trasmette immagini di videogiochi spacciandole per bombardamenti russi, laRegione che accusa il Partito Comunista di “schierarsi con il nemico” quando questo si era pronunciato per il cessate il fuoco e l’apertura di negoziati di pace (leggi qui), ecc. La lista di flop elvetici ed esteri è vergognosamente lunga.
Questi episodi rappresentano pericolose derive che istigano una russofobia dilagante, già emersa con il blocco di concerti alle settimane musicali di Lucerna per una cantante russa, il licenziamento del direttore della Wiener Philarmoniker perché russo, il rifiuto di libri alla fiera di Bologna perché russi, la sospensione di corsi su Dostoevskij alla Bicocca perché russo, i divieti di film a Cannes perché russi, l’improvvisa caccia agli oligarchi purché russi (coloro che ugualmente scroccano ricchezza da chi gliela crea invece, se non russi, rimangano pure indisturbati), ecc.
Una goffa e indifferenziata rappresaglia, dall’esclusione di atleti dalle paralimpiadi alla censura della televisione di Stato da parte di paesi europei. Quest’ultima inoltre in barba alla tanto declamata libertà di stampa e pluralismo mediatico.
La paradossale mutazione della sensibilità umanitaria in xenofobia risulta pericolosamente velata. In questo clima di astio occorre opporsi ai segnali irresponsabili provocati dai paladini di una Svizzera pseudo-democratica ed ormai spregevolmente – e questo è il dato granitico – guerrafondaia.
Si cessi immediatamente il fuoco, si revochino le sanzioni, si riapra una negoziazione per trovare una soluzione politica al conflitto in corso e si inizi il disarmo del paese su base di reciprocità. Il governo svizzero metta a disposizione i propri buoni uffici per favorire uno scambio senza ulteriori vittime e ricostruire il dialogo fra le parti, a tutto vantaggio della sicurezza su tutti i livelli.
La declamata “pace” venga promossa sulla base del rispetto reciproco di legittimi interessi senza prevaricazioni di una parte sull’altra. Il raggiungimento di tale equilibrio non traspare come obiettivo dalle maggiori proposte politiche elvetiche: né quelle della diplomazia federale, né quelle di una larga fetta di Svizzera cosiddetta umanitaria che non cessa di soffiare sulla brace dell’odio, precludendo i motivi della controparte, a discapito di un’iniziativa realmente democratica. E soprattutto a discapito di una pace duratura nel tempo.
I decenni di brutalità economiche, sociali e militari verso popoli terzi da parte del cosiddetto occidente – proprio come l’Ucraina di Janukovyč, in seguito alla cui destituzione violenta nessuno ha inflitto sanzioni oppure come le 14’000 vittime del Donbass (arrecate dalle milizie ucraine) per le cui nessuno ha considerato supporti bellici o per lo meno umanitari nonostante i rapporti dell’OSCE – si delineano come segnale di inesorabile crisi, tristemente manifestata in ulteriore ferocia ma col suo declino come inevitabile conseguenza.