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Cuba e i suoi…”prigionieri”

Intervista a Federico Jauch (Associazione Svizzera Cuba) 

 

Negli ultimi tempi ha destato non poche attenzioni mediatiche, la liberazione e l’annuncio di future liberazioni, da parte del governo cubano, nei confronti di 52 detenuti.
In primo luogo, è secondo lei un atteggiamento fazioso definire questi individui con termini quali “dissidenti” o addirittura “prigionieri politici”?

Lo scrittore francese Salim Lamrani ha recentemente pubblicato “Cuba. Ce que les médias ne vous diront jamais”, Editions Estrella, una raccolta di articoli scritti negli ultimi cinque anni. Il libro esamina in modo sistematico tutti gli argomenti utilizzati dalla propaganda statunitense per giustificare a posteriori il blocco unilaterale contro Cuba imposto da Washington, in violazione del diritto internazionale. Questa panoramica fornisce una misura di quanto i critici (v. corporazioni mediatiche) del governo rivoluzionario siano irreali e irresponsabili.
L’opposizione cubana dispone di uno status speciale. Da un lato, è molto apprezzata e sostenuta dai padroni dei media (1). Infatti, nessun gruppo di dissidenti in America Latina, tranne forse l’opposizione venezuelana, gode di tale aura mediatica. Dall’altra parte, essa riceve finanziamenti enormi dagli Stati Uniti, di cui i media tacciono, e gode di una libertà d’azione che scandalizzerebbe i pubblici ministeri di tutto il mondo.
È cosa risaputa che i tristemente famosi 75 “dissidenti” (di cui una parte sono già stati liberati, mentre gli altri verranno liberati prossimamente) incarcerati nel 2003, quando il governo Bush tentò la spallata contro Cuba favorendo tre dirottamenti aerei e il sequestro del ferry-boat di Regla con a bordo turisti, sono stati condannati per aver preso soldi e regalie dal governo di Washington, elargiti dall’Ufficio di interesse degli Stati Uniti all’Avana. A parti invertite, negli Usa ciò procurerebbe processi per alto tradimento. Ma nelle cronache nostrane invece si parla spudoratamente di “giornalisti e intellettuali” incarcerati per presunti reati di opinione, eludendo il fatto che essi sono stati ingaggiati e retribuiti dal paese che tiene Cuba sotto embargo da mezzo secolo (2).
Se i media occidentali fossero intellettualmente liberi ed onesti, userebbero un unico termine per riferirsi alla maggior parte di coloro che si presentano come oppositori del governo cubano:
mercenari al soldo di una potenza straniera.

Dove si annida, in realtà, la vera colpevolezza di questi individui? Essi sono veramente degli emissari di libertà e di conseguenti diritti umani oppure sono le pedine di un subdolo e meschino progetto anti-cubano? Di cosa sono realmente colpevoli? Quali i loro progetti?

Come già detto sopra, nel 2003, la giustizia cubana aveva condannato 75 persone, stipendiate dagli Stati Uniti, suscitando la condanna dei media internazionali. In qualsiasi altro paese al mondo, persone come Léster González, Omar Ruiz, Antonio Villarreal, Julio César Gálvez, José Luis García Paneque, Pablo Pacheco, Ricardo González Alfonso, per citarne alcuni, oggi si troverebbero dietro le sbarre. Ricardo Alarcón, presidente dell’Assemblea Nazionale cubana (parlamento) ha sempre messo in guardia i membri della “dissidenza”, dicendo che coloro che cospirano con Washington e accettano i suoi emolumenti dovranno “pagarne le conseguenze”.
Persino Luis Ortega Sierra, notorio giornalista cubano, fiero oppositore del governo dell’Avana, amico dell’’ex dittatore cubano Fulgencio Batista che finanziava le sue attività, a proposito di “dissidenti” cubani ha ammesso: “I dissidenti a Cuba sono persone senza importanza politica. Sono dei burattini della mafia di Miami. Sono al servizio della Sezione d’Interessi degli Stati Uniti che li sballotta da un posto all’altro […]. Si tratta di persone che ricevono uno stipendio e l’orientamento ideologico dal governo americano. Non è un segreto per nessuno. È il governo degli Stati Uniti che concede il denaro per finanziare le attività di questi signori sull’isola. Pensare che questo elemento possa essere un potente movimento di opposizione al governo, è un errore” (3).
E’ ormai provato, da anni e oltre ogni ragionevole dubbio, che i “dissidenti” cubani sono pagati dagli Stati Uniti: non lo dice Cuba, ma lo stesso governo USA nei capitoli dei suoi bilanci annuali (140 milioni di dollari nel 2008, 55 milioni nel 2009, nel primo bilancio firmato Barack Obama, nonostante la crisi economica). In molti paesi, tra cui gli USA, chi riceve denaro da una potenza straniera per progetti di sovvertimento del proprio governo rischia non solo decenni di galera, ma la pena di morte.

Ci si è inoltre concentrati in maniera importante sul ruolo che la Chiesa avrebbe avuto all’interno di queste liberazioni. Lei come valuta questi fatti? Essi rappresentano una lecita azione da parte dell’Istituzione religiosa oppure delle tendenziose ingerenze che sottintendono obiettivi ulteriori?

Personalmente, e non è un gioco di parole, non credo nella buona fede della Chiesa, da sempre fomentatrice di restaurazioni reazionarie in tutto il continente latinoamericano. Basterebbe ripercorrere la storia della chiesa cattolica a Cuba per dedurre che i veri obiettivi dell’istituzione religiosa vanno oltre la liberazione di questi o altri personaggi privi di etica e di scrupoli. Il cardinale Jaime Ortega, arcivescovo dell’Avana conosce perfettamente le dinamiche intercorse nonché le leggi del suo paese, ma è accondiscendente nel seguire direttive ferree e mirate provenienti da Roma (v. anche Opus Dei), il cui fine, a medio termine, è la destabilizzazione e il “superamento” dell’attuale sistema politico, nonostante l’appoggio reiterato da parte della stragrande maggioranza del popolo cubano, compreso dei fedeli cattolici.
Ma in tutta questa faccenda, orchestrata dal potere mediatico ostile a Cuba, il ruolo di protagonista lo svolge indubbiamente il governo cubano che ha dimostrato ancora una volta di sapere dialogare e prendere decisioni -senza accettare pressioni, ricatti o condizioni previe- indipendentemente dall’interlocutore, con l’unica condizione che esso rispetti la sovranità del paese.
La Revolución, ancora una volta con la sua dignità rivoluzionaria, propone il dialogo nel rispetto delle parti. A questo punto si potrebbe ricordare la lunga lista di esempi di etica rivoluzionaria a favore del popolo, che hanno fatto storia: lo scambio contro medicinali di prigionieri catturati durante il tentativo d’invasione di Playa Girón (Baia dei Porci); il dialogo con l’emigrazione cubana nel 1978 e la successiva liberazione e partenza negli USA di centinaia di batistiani e controrivoluzionari, molti dei quali catturati a seguito di attività terroristiche; gli accordi migratori firmati con i differenti governi USA (dei Reagan o Bush, così come dei Clinton o Obama); gli scambi permanenti di criteri e punti di vista con le diverse confessioni e organizzazioni religiose, compresa quella cattolica (v. anche la visita di Giovanni Paolo II a Cuba nel 1998) ecc.. La lista insomma è lunghissima e comprende pure mediazioni internazionali d’importanza storica assoluta, come quella che sfociò nella pace in Angola e nel cono meridionale del Continente Africano. Insomma, se il governo di Raúl Castro oggi ha preso la decisione di liberare anzitempo questi mercenari è perché dei risultati concreti che ne deriveranno ne beneficerà il popolo cubano. Per Cuba si è trattato quindi di un’ennesima vittoria silenziosa.

Si parla inoltre di deportazioni forzate ed in questo senso, Laura Pollan, portavoce del gruppo delle Damas in Blanco, pretende “una libertà che sia vera. Se ci sono deportazioni forzate non si può certo parlare di passi avanti sul fronte dei diritti umani”. Cosa s’intende con “deportazioni forzate”?

Voglio premettere che le cosiddette “Damas de blanco” che a Cuba vengono chiamate “Damas de verde” (dal colore dei dollari statunitensi) sono, come riconosce persino l’anticubano El Paìs, solamente una dozzina. Il noto terrorista cubano Santiago Álvarez, collaboratore confesso della CIA, pochi mesi fa durante un processo in Florida che lo vedeva imputato per aver trasportato armi ed esplosivi, ha ammesso di sovvenzionarle e che, nel caso di una sua condanna, si era già accordato con l’ex responsabile dell’Ufficio di Interessi degli Stati Uniti all’Avana – Michael Parmly – perché le Damas continuassero a ricevere i sussidi. Detto ciò, possiamo dedurre facilmente che le false asserzioni della signora Laura Pollán, siano state imposte dall’incessante campagna denigratoria e di destabilizzazione. Né la Chiesa, né Moratinos né Raúl Castro non hanno mai accennato a “deportazioni forzate”, ciò che ci induce a non entrare in merito a tale affermazione fantasiosa e strumentale che rispecchia una politica mediatica d’effetto coniata dai datori di lavoro della signora Pollán.
E per concludere, non possiamo non accennare alla retorica dei “diritti umani a Cuba”. In Europa e negli USA, Cuba è inevitabilmente associata alla problematica dei diritti dell’Uomo. I media europei e statunitensi a priori stigmatizzano incessantemente l’Isola riguardo a questa questione. Nessun altro paese del continente americano -con l’eccezione del Venezuela, forse- dispone di una copertura mediatica così vasta, ma anche così denigratoria. Effettivamente fatti e accadimenti che in qualsiasi paese dell’America latina passerebbero inosservati, se si tratta di Cuba, assumono una rilevanza sproporzionata sulla stampa internazionale. Per esempio, il suicidio in carcere nel febbraio 2010 del prigioniero cubano Orlando Zapata Tamayo, condannato per gravi delitti comuni, è stato molto più mediatizzato che la scoperta nel gennaio 2010 di una fossa comune in Colombia con 2000 corpi di sindacalisti e militanti per i diritti umani assassinati dall’esercito colombiano. Lo stesso si può dire per le sparute manifestazioni di oppositori cubani (v. ancora Damas de blanco) nelle vie dell’Avana che la stampa occidentale ha regolarmente messo in risalto, ignorando invece le massicce manifestazioni del popolo honduregno nonché, fatto ancora più grave, i 500 assassinii e sparizioni da parte della giunta militare di Roberto Micheletti e di Porfirio Lobo che governa attualmente l’Honduras dopo il colpo di stato del 2009 contro il presidente democraticamente eletto José Manuel Zelaya.
Quanto all’Unione Europea, riteniamo a questo punto che sarebbe ora che eliminasse la discriminatoria e ingiustificata Posizione comune -voluta dall’anticubano e fascistoide Aznar- e che normalizzasse finalmente le relazioni con l’Avana.
Ma, ahinoi, ci viene da chiederci: Bruxelles ha abbastanza autorità per fare questo?

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(1) Dieci mega società posseggono o controllano i grandi mezzi di informazione degli Stati Uniti: stampa, radio e televisione. Questi dieci imperi controllano, inoltre, il vasto settore affaristico del divertimento e della cultura di massa, che abbraccia il mondo editoriale, la musica, il cinema, la produzione e la distribuzione di contenuti televisivi, sale teatrali, Internet e parchi di divertimento tipo Disneyworld, non solo in America del Nord ma anche in America Latina e nel resto del mondo. v. http://www.comedonchisciotte.org/site/m … e&sid=3496
(2) per approfondimenti, si leggano i libri di Calvo Ospina – K. Declercq, “Dissidenti o mercenari?” Obiettivo: liquidare la rivoluzione cubana e Rosa Miriam Elizalde – Luis Báez “Dissidenti a Cuba” Oppositori e giornalisti indipendenti si rivelano. Edizioni Achab, Verona
(3) Luis Ortega Sierra, «Fidel rebasó la historia», in Luis Báez, Los que se fueron (La Havana: Casa Editora Abril, 2008), p. 221.

Aris Della Fontana

Aris Della Fontana, di formazione storico, è stato coordinatore della Gioventù Comunista della Svizzera Italiana e dal 2012 è consigliere comunale a Pollegio (TI). Ha diretto la rivista marxista #PoliticaNuova.

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