Democrazia sospesa per il WEF. Dimostranti pacifici accusati di “sommossa” ed esercito schierato!

Come ogni anno anche questa volta il World Economic Forum (WEF), ossia il Forum Economico Mondiale ha riunito nella cittadina grigionese di Davos i grandi dell’economia globale per discutere di quelli che i fautori del modello di sviluppo neo-liberista ritengono i problemi prioritari del pianeta. E come sempre unitamente ai potenti della terra, si mobilita anche il popolo degli oppositori, soprattutto giovani arrabbiati per le ingiustizie della globalizzazione capitalista.

Giovani anti-WEF ticinesi

In Ticino due sono state negli ultimi anni le realtà più attive nella critica al WEF. Anzitutto non si può non citare lo storico Centro Sociale Autogestito “Il Molino” di Lugano, con le sue pittoresche manifestazioni di piazza, le quali esprimevano il disagio nei confronti di uomini d’affari talmente potenti da decidere le sorti del mercato mondiale, per quanto nessuno li avesse mai eletti a tale missione. Nell’ottica invece della sensibilizzazione all’interno delle scuole è stato il SISA, il sindacato degli studenti e apprendisti, a muoversi: “le aziende che sono rappresentante dal WEF cercano sempre nuovi campi da poter sfruttare al fine di aumentare i loro profitti e guadagni. Uno di questi nuovi mercati è la scuola. Negli ultimi anni sono state prese sempre più decisioni su scala internazionale per rendere indipendente la scuola dallo Stato a favore degli interessi economici privati. In questo modo viene favorita un’educazione acritica e improntata su premesse economiche neoliberali, legate ai bisogni del mercato e priva della benché minima dimensione culturale e umana di quanto si insegna e si apprende” si legge in una dichiarazione pubblica (leggi) del sindacato giovanile oggi diretto da Janosch Schnider e Mattia Tagliaferri. Non è poi mai mancato l’impegno dei partiti di sinistra: vari esponenti del Partito Comunista e del Movimento per il Socialismo hanno spesso preso parte sia ai momenti di protesta, sia alla costruzione di “contro-forum” (fin dai tempi de “L’altra Davos” promossi dall’associazione ATTAC) alternativi alla kermesse ufficiale.

Repressione poliziesca contro un corteo pacifico

Dopo anni di manifestazioni represse dalla polizia a Davos, vari collettivi critici verso la globalizzazione si sono spostati nella capitale federale Berna, sperando di poter esercitare lì nella calma il proprio diritto di esprimersi contro il neo-liberismo. Da qualche tempo, però, ormai le autorità di Berna impediscono gli assembramenti politici in piazza. Ma come sempre il diritto umano alla libera espressione dei pensieri se non viene concesso, va conquistato: il corteo di quest’anno è quindi partito alle ore 14.00 dal centro sociale “Reithalle” di Berna. E permetteteci una citazione rivoluzionaria: Lenin diceva che non si deve “limitarsi alle forme legali di lotta quando sopraggiunge una crisi e la borghesia stessa ha già eliminato la legalità che aveva creato”.  “Si è riusciti a camminare in corteo per circa 100-200 metri: subito siamo stati circondati dagli antisommossa” – spiega una delle partecipanti, esponente della Gioventù Comunista della Svizzera Romanda – “dopo un’ora la polizia ha iniziato delle false trattative con noi, le quali però sono state interrotte da una carica di spray al pepe da parte degli stessi poliziotti” continua la nostra interlocutrice. La polizia, a quel punto, fa credere ai dimostranti che dopo un semplice controllo delle carte d’identità avrebbero potuto ritenersi liberi di andare. Ma non è così: uno dopo l’altro il centinaio di giovani viene perquisito, ammanettato e trasportato con appositi furgoni in celle di circa 25 metri quadrati sembra appositamente predisposte, quasi si sapesse che qualcuno doveva essere arrestato, nelle quali vengono fotografati, numerati e poi denunciati. “Ognuno di noi ha subito un interrogatorio individuale – continua la nostra interlocutrice – a volte persino senza traduzione. Zurighesi e Neocastellani, una volta rimessi in libertà, hanno pure ricevuto il divieto di restare sul territorio della città di Berna”.

Arrestati anche dei dirigenti politici

Fra i fermati vi erano ben una decina di dirigenti del Comitato Centrale del Partito Svizzero del Lavoro (PSdL), l’organizzazione nazionale cui fa capo il Partito Comunista in Ticino. Interpellato sulla questione il segretario dei comunisti ticinesi Massimiliano Ay (anche lui membro del parlamentino del PSdL) e nel 2005 coinvolto in una situazione simile (leggi) è preoccupato: “i nostri compagni, benché siano stati liberati, ora rischiano di venir giudicati colpevoli di sommossa”, un reato che secondo il codice penale elvetico può comportare, in casi estremi, fino a 3 anni di detenzione. Continua Ay: “so che il nostro consigliere comunale di Berna, si sta muovendo affinché le istituzioni siano chiamate a rispondere di questo attentato alla libertà di manifestare!”. Il riferimento è a Rolf Zbinden, professore in una scuola professionale e esponente nel legislativo cittadino del Partito del Lavoro di Berna (PdA), che risulta pure fra i manifestanti coinvolti. E’ stata forse usata violenza dai dimostranti? “Non fa parte della nostra cultura politica manifestare usando violenza! Ho visto i filmati e conosco personalmente i compagni del Partito arrestati, conosco la loro serietà e il loro senso di responsabilità nell’evitare che situazioni di tensione possano degenerare” garantisce Ay, il quale, tuttavia, spiega come secondo lui vadano trovate forme di lotta che sappiano meglio coinvolgere la popolazione meno politicizzata e i lavoratori, evitando possibilmente azioni “gruppettare” fine a se stesse.

La WOZ esclusa dall’acredito stampa

Intanto la repressione non si limita alle piazze: per una presunta, e anche abbastanza improbabile, mancanza di spazio la WOZ, il noto giornale della sinistra alternativa della Svizzera tedesca che negli anni scorsi ha documentato in modo fortemente critico quanto veniva discusso all’interno del WEF dai grandi dell’economia mondiale, non ha ricevuto in questa occasione l’accredito per la stampa. Nessun giornalista di sinistra potrà quindi assistere alla kermesse di Davos. Una decisione che suona molto come una censura.

L’esercito a difesa del WEF

Ma non solo a livello sociale ed economico la sinistra e il movimento sindacale critica il WEF, anche dal punto di vista della sicurezza e dei suoi costi la polemica si ripresa costantemente ogni anno. Alcuni reparti delle forze armate svizzere sono infatti impiegati, tramite i corsi di ripetizione, a garantire la protezione dell’evento. Il Gruppo per una Svizzera senza Esercito (GSsE), una delle più strutturate organizzazioni pacifiste elvetiche, ha espresso chiaramente il proprio disappunto: “la protezione di queste manifestazioni sono di competenza della polizia” si legge in un comunicato diramato mercoledì scorso, anche perché “le unità dall’esercito impiegate, contrariamente alla polizia, non dispongono della formazione adeguata”. Insomma si tratterebbe di una sorta di “piano occupazionale” (pagato dalla collettività, verrebbe da aggiungere) per i cittadini-soldati chiamati ai regolari corsi di ripetizione dalla milizia. Il GSsE conclude: “l’esercito svizzero non ha né nemici né funzioni e tenta di legittimare la sua esistenza con questi impegni”. Ricordiamo che nel 2005 il GSsE aveva avviato un servizio di consulenza che invitava i soldati richiamati proprio a Davos a disertare (come si legge in questa nota stampa). “Noi favoriamo da tempo l’obiezione di coscienza e il rifiuto di prestare servizio militare in un esercito che oltre ad essere succube della NATO si trasforma anche in bodyguard di un club privé di parassiti dell’economia privata impedendo al nostro popolo di muoversi liberamente a Davos” è la dura risposta invece del segretario del Partito Comunista, unico partito ticinese e svizzero, peraltro, a scegliere i propri quadri politici anche attraverso il discrimine della renitenza alla leva obbligatoria.

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