Fare il saluto romano o mostrare una svastica non sarà punibile in Svizzera. Lo ha deciso di recente il Consiglio federale. Mentre in tutto l’Occidente i fenomeni neo-fascisti stanno tornando in auge mascherati in parte dall’aggettivo “democratico” e mentre la “guerra fra poveri” che vede contrapposti – per la felicità del padronato – lavoratori indigeni a lavoratori immigrati cresce, il nostro governo banalizza la simbologia criminale che veicola messaggi molto preoccupanti anche fra i giovanissimi. Ma in Svizzera la norma anti-razzismo si preferisce utilizzarla contro ricercatori storici (per quanto le loro tesi possano essere discutibili), piuttosto che contro chi esplicitamente loda Hitler o milita a favore di un clima d’odio e di intolleranza.
Non c’è peraltro da stupirsi: nei paesi dell’Est, i governi amici dell’UE e della Svizzera, non solo stanno erigendo statue in memoria degli occupanti nazisti, ma addirittura vietano “democraticamente” i partiti comunisti e operai (che sono spesso realtà di massa con risultati elettorali non indifferenti). Senza dimenticare la vicina Italia, dove Berlusconi (che ha riportato in governo gli eredi dichiarati del Ventennio) non solo equipara repubblichini e partigiani, non solo inserisce negli esami di maturità argomenti politicamente faziosi, ma snatura addirittura la Costituzione sorta dalla Resistenza svuotando di contenuto il potere legislativo e giudiziario.
Il vento della crisi dell’Occidente è un vento pericoloso, fatto di nazionalismo, razzismo e militarismo, metodi per tenere a bada il disagio sociale e indirizzare il malcontento verso obiettivi che non mettano in discussione lo status quo capitalista. In questo contesto sono la scuola, gli insegnanti e i movimenti studenteschi a dover ritrovare quel ruolo di coscienza collettiva incisiva, tipica dell’ “‘intellettuale organico”, che negli ultimi anni è andato perso con la scusa della “neutralità”. Anche la scuola, infatti, è finita nella logica del consumismo (cioè dal nozionismo a crocette e della “compravendita” di crediti) che – per dirla con Pasolini – a tutto rende indifferenti, incapaci di indignazione, incapaci di passione. Elementi che sono il sale della vera democrazia e della vera libertà.
Gramsci diceva: “odio gli indifferenti. Credo che vivere voglia dire essere partigiani. L’indifferenza è abulia, è parassitismo, è vigliaccheria, non è vita”. Bisogna dunque ritrovare il coraggio di dire che il il fascismo non è un’opinione, ma è un crimine: e un crimine va perseguito! E allo stesso modo va rifiutato il tentativo di mettere sullo stesso piano il nazifascismo con il socialismo. Del primo rifiutiamo tutto: il culto dalla guerra, la teoria della razza e del darwinismo sociale (già ben presenti nel “Mein Kampf”); che – al di là delle storture verificatosi in determinati paesi – sono invece assenti dall’ideale profondamente umanista del secondo: le battaglie per i diritti dei lavoratori, per l’uguaglianza sociale, per la parità uomo-donna, per il diritto allo studio e alla sanità gratuiti, ecc. sono infatti presenti sia nel socialismo teorico, sia in quello “reale”.