La campagna elettorale, si sa, può essere ricca di sorprese. Ogni forza politica, ogni candidato e candidata si impegnano a fondo per accattivarsi le simpatie e il massimo di voti: una corsa a chi ha le idee più grandi e originali.
Così c’è chi non esita a riempire il Cantone di cartelloni dicendo a noi donne che, per loro, siamo importanti. E questa è la volta dell’UDC. Ma molte di noi hanno ben presente chi si è battuto – e in maniera più sofisticata e si batte ancora oggi – con accanimento contro i nostri diritti con motivazioni che dicono di proteggerci mentre sono nient’altro che l’espressione mascherata di un patriarcato che fatica a scomparire dalle loro coscienze.
E ci sono anche coloro che hanno idee molto progressiste e che, razionalmente al nostro fianco, interpretano e sostengono le nostre richieste, anche se talvolta in modo goffo o parziale. E’ una grande soddisfazione condividere ed esprimere le nostre esigenze con l’altra metà del mondo. Ma quello che più ci colpisce è che questo viene espresso come un bisogno della donna, senza implicazione personale da parte di loro-uomini, senza rendersi conto che non basta rivendicare gli asili-nido e le strutture extra-scolastiche per ragazze e ragazzi della scuola elementare e media. Non basta perché occorre che queste esigenze diventino anche le loro perché con noi essi condividono o dovrebbero condividere le scelte di vita.
Oggi non è possibile dire unicamente cosa hanno bisogno le donne. Oggi è indispensabile che si capisca che il modello patriarcale è il modello culturale che ha plasmato le nostre forme di convivenza e di gestione del reale. E’ un modello culturale, del quale siamo intrisi e che è basato sulla gerarchia, sulla burocratizzazione dei meccanismi di formazione e di esercizio del potere, dentro i partiti, le istituzioni, nel mondo del lavoro e, purtroppo, sovente anche nella famiglia. E’ un modello che sta sfumando ancora troppo lentamente dall’inconscio collettivo.
Il femminismo ha portato sul tavolo delle riflessioni il concetto di differenza di genere il quale dimostra come le donne, fedeli a se stesse, abbiano uno sguardo sul mondo diverso da quello dell’uomo. Ed è con questa filosofia che dobbiamo interagire. Non ci sarà cambiamento radicale per la donna fintanto che l’uomo, in quanto maschio, non avrà capito che il non ascolto del pensiero femminile porta a una gestione unicamente pragmatica della società. Non ci sarà una società nuova, diversa, se non verranno modificati i rapporti uomo-donna, a cominciare dal luogo di convivenza. Solo così, attraverso il confronto, l’ascolto e il dialogo continui riusciremo a creare un mondo dove donne e uomini hanno la stessa dignità, dove la società è gestita nel rispetto delle esigenze di tutte e tutti. Si tratta di una sfida, ma è l’unica che potrà cambiare nostre coscienze: una rivoluzione culturale.
Sonya Crivelli
Candidata al Granconsiglio sulla lista MPS-Partito Comunista