Il Concorso Internazionale della 72 edizione del Locarno Film Festival è stato meritoriamente vinto da “Vitalina Varela” di Pedro Costa, dramma poetico con una fotografia tutta in chiaroscuro che racconta il dolore di una donna capoverdina che arriva a Lisbona troppo tardi, quando ormai il marito è morto, vincitore anche del Pardo per la migliore interpretazione femminile per la stessa Vitalina Varela.
Pardo per la migliore interpretazione maschile a Regis Myrupu, l’indio amazzonico di “La febbre” di Maya Da-Rin, menzione speciale per “La scienza delle finzioni” di Yosep Anggi Noen, che racconta sotto forma visionaria e poetica il dramma della repressione contro i comunisti indonesiani alla fine degli anni sessanta. Pardo d’oro dei Cineasti del presente al miglior film e Premio per la migliore opera prima ugualmente meritatissimi per “Il padre di Nafi” del senegalese Mamadou Dia, storia del contrasto tra un fratello imam pieno di umanità e di comprensione per le tradizioni della sua comunità e un fratello che ha fatto aridamente proprie le tesi dell’integralismo violento e prevaricatore. Premio per il miglior regista emergente all’algerino “143 via del deserto” di Hassen Ferhani, interessante documentario su un punto di ristoro gestito da una anziana donna sola in mezzo al deserto. Premio speciale della giuria Cineasti del presente a “Ivana la terribile”, riuscita e intelligente commedia di e con Ivana Mladenović, che ironizza sulle proprie nevrosi e sul difficile rapporto di amicizia tra rumeni e serbi in una cittadina di confine. Premio per la pace a “La colomba e il lupo”, volonterosa quanto non totalmente riuscita opera del messicano Carlos Lenin.
Del tutto immeritata la menzione speciale per “Durante la rivoluzione”, di Maya Khoury, pessimo documentario che sponsorizza i gruppi armati siriani antigovernativi, quelli egemonizzati dai terroristi. Purtroppo i giurati si sono dimenticati, nel concorso ufficiale, i glaciali silenzi nordici che, facendo tesoro dei rari frammenti di luce dicembrina, tra i vulcani e l’immenso mare che avvolge l’Islanda, sono stati raccontati da Rúnar Rúnarsson in “Eco”, questo il titolo del film, una eco di luci, colori e sentimenti che dovrebbero rappresentare la festività natalizia, invece si trasformano solo nel rimbombo di un tonfo, quello che precipita e fa cadere l’esile e fragile compromesso borghese occidentale, frantumato nell’inaridirsi delle relazioni, nell’esaurirsi di una umanità decadente che assiste satolla alla propria scomparsa.
Altrettanto dimenticati, ma non dall’ISPEC, l’Istituto di Storia e Filosofia del Pensiero Contemporaneo della Svizzera Italiana che ha attributo loro una menzione speciale, i cani Belka e Strelka, protagonisti della missione Sputnik 5, che il 19 agosto 1960 passano una giornata nello spazio, tornando sani e salvi sulla terra. Strelka darà vita a molti cuccioli, chiamati “Cani spaziali”, che è il titolo del documentario dell’austriaca Elsa Kremser e del tedesco nato nella DDR Levin Peter. Si vedono solo cani, i randagi di Mosca, eredi ideali della lunga serie di cani cosmici sovietici e questi ultimi.
Due gruppi di animali che rompono gli stereotipi del cane domestico occidentale, offrendoci da un lato la forza della libertà, dall’altro una contribuzione fondamentale al mondo della scienza e al progresso dell’umanità. Due visioni entrambe urticanti per coloro che fanno dell’animalismo il loro orizzonte, ma che risultano invece due prospettive notevoli e inedite. A raccontare la storia della quotidianità degli odierni randagi moscoviti e l’eroica vita dei cani cosmici antesignani del mitico volo del 12 aprile 1961 di Juri Gagarin, al quale un anno prima Belka e Strelka hanno aperto la strada con il loro ritorno sulla terra, brevi e concisi fuori campo affidati alla voce profonda e coinvolgente di Aleksej Serebrjakov.