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Black Myth: Wukong – La Cina conquista i videogiocatori

Non vince ma brilla ugualmente il gioco-rivelazione di Game Science, il team di Shenzhen che ha portato sul palcoscenico dei “The Game Awards 2024” il Re delle Scimmie della tradizione cinese. Nonostante il premio di “Gioco dell’anno” non sia toccato a lui, Black Myth: Wukong ha ugualmente ottenuto tante soddisfazioni all’ultima edizione dell’attesa cerimonia di premiazione. Mai prima d’ora un videogioco cinese aveva ottenuto un tale riconoscimento mondiale.

Nascita di un capolavoro

Come un fulmine a ciel sereno Black Myth: Wukong si presenta al pubblico videogiocatore nell’agosto del 2020, con un trailer che svela immediatamente una produzione ad altissimo budget e una direzione artistica ispirata.

L’annuncio desta però numerosi interrogativi: in primis, nessuno ha mai sentito parlare di Game Science, lo studio di sviluppatori con sede a Shenzhen che sta dietro allo sviluppo di Wukong. Nel mercato dei videogiochi vi è sempre grande diffidenza verso i progetti ambiziosi che provengono da team sconosciuti: è raro infatti che degli sviluppatori alle prime armi riescano a gestire con successo un progetto multimilionario. Tantopiù che il mercato cinese non aveva mai prodotto nulla di lontanamente paragonabile a ciò che promette Game Science.

Prima dell’annuncio di Wukong nessuno aveva mai sentito parlare degli sviluppatori di Game Science.

Con il passare degli anni crescono anche le aspettative: alle porte del 2024 è già uno dei giochi più attesi dell’anno e compete per l’attenzione del pubblico con i titoli in uscita delle grandi compagnie videoludiche occidentali.

Infine giunge la data del lancio, il 20 agosto 2024. Il successo è strepitoso: 10 milioni di copie vendute nei primi tre giorni (cifra che raddoppia entro ottobre) e voti della critica che vanno dal molto buono all’eccellente. In Cina, va da sé, l’uscita di Wukong è un fenomeno culturale senza precedenti, ma anche il pubblico internazionale stravede per il Re delle Scimmie.

Così arriviamo ai “The Game Awards 2024”, tenutisi a Los Angeles il 13 dicembre. Black Myth: Wukong è nominato in diverse categorie: “Migliore regia”, “Migliore direzione artistica”, “Miglior gioco d’azione” e persino “Miglior gioco dell’anno”. Quest’ultimo premio, il più prestigioso, va però ad Astrobot di Team Asobi, con grande delusione di Feng Ji, l’amministratore delegato di Game Science. Wukong vince però come “Miglior gioco d’azione”, ma anche il premio “Players’ Voice” che esprime le preferenze del pubblico, non di rado in contrasto con quelle della critica.

Nessun videogioco cinese era mai giunto a questi livelli.

Un nuovo inizio per il gaming cinese?

Ma alla fine dei conti, perché Wukong è così importante per il mondo dei videogiochi?
La Cina non è certo un’esordiente nel mercato: già da molti anni le sue produzioni videoludiche generano incassi miliardari sia sul mercato interno che su quello internazionale. Titoli come Genshin Impact (2020), PUBG Mobile (2018) e Honor of Kings (2015) erano già stati dei successi mondiali. Ma ciò che accomuna questi tre titoli è l’essere dei giochi mobile (ossia per smartphone), caratterizzati da un comparto grafico-artistico generico e ovviamente poco esigente, vista la necessità di funzionare sui cellulari. Siamo molto lontani insomma da un videogioco che vuole essere considerato “opera d’arte” e rivendicare la stessa dignità artistica che si concede a un’opera cinematografica o letteraria.

È quello che invece vuole e ottiene Black Myth: Wukong, elevandosi al di sopra dei “giochini per telefono”, rivendicando il suo posto tra i grandi capolavori videoludici del Giappone e dell’Occidente.
Non solo: al contrario di molti altri bestseller cinesi, Wukong non ricerca a tutti costi l’appeal del pubblico occidentale, ma è prima di tutto un’ode alla cultura e alla tradizione cinese.

L’eroe Sun Wukong, come appare nel videogioco di Game Science.

Sun Wukong, eroe della tradizione cinese

Il videogioco di Game Science si ispira infatti a un testo di importanza fondamentale per la letteratura del Regno di Mezzo: stiamo parlando del Viaggio in Occidente, edito nel 1590 ed entrato a far parte dei “Quattro grandi romanzi classici”, ossia le quattro opere fondamentali del genere letterario del romanzo cinese.

Il Viaggio in Occidente narra delle avventure del monaco Sanzang, inviato in India dall’imperatore cinese con l’incarico di riportare in patria i testi del canone buddista, necessari alla diffusione della nuova religione nel Celeste Impero. Mentre Sanzang è una figura realmente esistita, e pure il suo viaggio in India è davvero avvenuto nel VI secolo d.C, lo stesso non si può dire degli altri protagonisti del romanzo: il maiale antropomorfo Zhu Bajie, pigro, goloso e scorbutico; il demone fluviale Sha Wujing, spaventoso ma segretamente gentile; e infine la scimmia Sun Wukong, re della sua specie, furbo e dispettoso ma anche saggio e forte in combattimento; tutti e tre vengono incaricati di proteggere Sanzang e aiutarlo a compiere la sua missione.

Anche il maiale Zhu Bajie fa la sua comparsa in Black Myth: Wukong.

In realtà è proprio Sun Wukong il vero protagonista della storia, visto che i primi capitoli dell’opera sono dedicati al racconto delle sue origini magiche. È grazie al suo ingegno che, sulla strada verso l’India, i viaggiatori riescono a sconfiggere i numerosi nemici che cercano di ostacolare il loro cammino.

Sun Wukong è tra i personaggi fantastici più amati della tradizione cinese, e non è un caso che in Cina abbia ricevuto numerosi adattamenti su piccolo e grande schermo, prima della trasposizione videoludica di Game Science che lo ha reso celebre in tutto il mondo.

La trama di Black Myth: Wukong inevitabilmente si discosta da quella del romanzo, con il quale mantiene però un fortissimo legame tematico e spirituale. Persino la struttura del gameplay, che prevede duelli progressivamente sempre più difficili contro i cosiddetti “boss”, ricalca i costanti scontri che il Re delle Scimmie affronta insieme ai suoi amici nel Viaggio in Occidente.

Sun Wukong e il Coniglio Lunare in una rappresentazione dell’artista giapponese Yoshitoshi (1889).

Videogiochi e multipolarismo

Interpretare il successo di Black Myth: Wukong in chiave dell’ascesa della Cina e del mondo multipolare può apparire pretestuoso. Sarebbe però da ingenui credere che il media videoludico, che nel 2024 ha generato un fatturato di circa 188 miliardi di dollari e che interessa 300 milioni di giocatori ogni anno, non sia anch’esso un campo di battaglia per l’egemonia culturale delle masse.

È ben noto che i più popolari franchise di sparatutto come Call of Duty e Battlefield vengano utilizzati dagli Stati Uniti sia per le campagne di reclutamento nell’esercito, sia per diffondere la propaganda atlantista, glorificando i militari della NATO e individuando i “nemici probabili”. Soldati russi e terroristi islamici sono i nemici principali di quattro su cinque tra gli ultimi titoli della serie di Call of Duty. Non manca nemmeno il revisionismo storico: in Call of Duty: WWII (2017) e Battlefield V (2018), giochi ambientati nella Seconda Guerra Mondiale, non si trova alcun riferimento all’Unione Sovietica.

Call of Duty: Modern Warfare 2: un gruppo di terroristi russi (ovviamente) sta per compiere un massacro in un aeroporto.

I videogiochi non sono diversi dunque da tutti gli altri prodotti della cultura di massa: nella maggioranza dei casi sono il riflesso dell’ideologia dominante. Ciò si deve anche al fatto che la produzione di videogiochi per console è rimasta fino ad oggi concentrata nel “primo mondo”, con USA e Giappone a fare la parte da leone.

La Cina ha sin dal 2015 superato il fatturato statunitense nel mercato dei videogiochi, ma ciò è dovuto al mercato dei giochi mobile, i cui ricavi sono schizzati alle stelle con il boom degli smartphone. Si tratta però in assoluta prevalenza di giochi da un valore artistico del tutto trascurabile, il cui impatto sulla cultura di massa appare piuttosto insignificante. Nessun gioco mobile ha mai vinto i The Game Awards, per intenderci.

Black Myth: Wukong è dunque sorprendente non tanto per il suo successo economico quanto per il suo impatto culturale. Molti si domandano se non sia l’inizio della fine del monopolio occidentale sul media videoludico. Altri team cinesi sono infatti pronti a seguire l’esempio di Game Science: è il caso del team Hoothanes, che in seguito all’uscita di Wukong ha pubblicato il trailer del suo La resistenza, uno sparatutto ambientato in Cina sotto l’occupazione giapponese dei primi anni ‘40, dove vestiremo i panni di un partigiano cinese. È simbolico che questo progetto sia già stato ribattezzato il “Call of Duty cinese” dalla stampa di settore.

L’impatto di questo cambiamento non è da sottovalutare: il multipolarismo passa anche per l’emancipazione dalla cultura del nucleo imperialista. Sarebbe infatti difficile immaginare un rifiuto dell’egemonia americana da parte di chi è completamente succube della sua cultura: ciò vale per la musica, i film, le serie TV e persino i videogiochi.

Di certo negli USA traspare già parecchia inquietudine per l’inedita capacità della cultura cinese di esercitare il suo soft power sul pubblico occidentale. Un articolo uscito sulla piattaforma di news e analitica The Conversation non riesce a nascondere la propria preoccupazione pe la fine dell’egemonia culturale americana:

“Sebbene possa sembrare strano collegare i videogiochi alla geopolitica, Black Myth: Wukong è molto più di un semplice intrattenimento. È uno strumento nell’arsenale del soft power cinese. Il soft power consiste nella capacità delle nazioni di influenzarsi a vicenda attraverso le esportazioni culturali. Per decenni, l’Occidente, in particolare gli Stati Uniti, ha dominato la cultura globale attraverso Hollywood, la musica e i videogiochi.

Ora la Cina sta mostrando i suoi muscoli culturali. Il successo di Black Myth: Wukong all’estero, dove è stato acclamato come un titolo rivoluzionario, fa parte della strategia di Pechino per esportare la propria cultura e la propria abilità tecnologica. Milioni di giocatori in tutto il mondo sono ora esposti alla mitologia, all’arte e alla narrazione cinese attraverso un mezzo digitale altamente sofisticato.”

I paesaggi mozzafiato di Black Myth: Wukong immergono il videogiocatore nell’atmosfera cinese.

La capacità della Cina di esercitare soft power sulle masse occidentali sta ricevendo dimostrazioni sempre più plateali e ormai non si può sottovalutare. È quello che si è visto nelle ultime settimane negli USA con l’improvvisa popolarità dell’app social RedNote, alternativa cinese di TikTok che gli americani hanno scaricato in massa dopo il temporaneo bando di quest’ultimo. Il pubblico americano, che prima conosceva la Cina unicamente attraverso i telegiornali propagandistici della TV di stato, si sta ora confrontato (spesso per la prima volta) con la cultura cinese contemporanea e ha avuto la possibilità di interagire con l’utenza cinese, sfatando molti miti e pregiudizi sul Celeste Impero. L’improvvisa esplosione di interesse per la Cina da parte del pubblico americano ha ormai assunto dimensioni virali.

Chissà, forse tra qualche anno ringrazieremo Sun Wukong e il suo videogioco come uno di quei rari pezzi di cultura capaci di abbattere le barriere tra i continenti e diventare patrimonio dell’intera umanità, precursore di una rinascita culturale all’insegna del multipolarismo.

Nil Malyguine

Nil Malyguine, classe 1997, è laureato in storia all'Università di Padova. Si occupa in particolare di storia della Russia e dell'Unione Sovietica. È membro del Comitato Centrale del Partito Comunista.