Lo scorso 1 dicembre il popolo messicano eleggeva alla presidenza della repubblica il candidato progressista Andres Manuel Lopez Obrador (AMLO), candidato con il suo Movimento di rigenerazione nazionale (Morena). La socialdemocrazia, che lo aveva ostacolato, ora prova a saltare sul carro del vincitore, mentre purtroppo non manca una sinistra massimalista che lo denigra e rifiuta di sostenerne le riforme nel nome di un purismo ideologico anti-capitalista alquanto discutibile.
Obrador proviene da un’esperienza moderata, quella del Partito Rivoluzionario Istituzionale (PRI) che ha governato il Messico per decenni. La corrente del PRI da cui proviene l’attuale presidente non era certo quella più rivoluzionaria, tuttavia era caratterizzata da un forte sentimento patriottico e antimperialista, oggi quanto mai importante di fronte alle ingerenze di Washington nella sovranità dei paesi latinoamericani.
Non sono mancati, a onore del vero, nei precedenti governi del PRI anche momenti interessanti come quando – sotto la guida del presidente Lazaro Cardenas e del leader sindacale Vicente Toledano – venne ancorato nella Costituzione del paese un programma educativo di tipo esplicitamente socialista (art. 3). Senza dubbio, però, il governo attuale di Obrador appare decisamente più avanzato, basti vedere il coraggio con cui il Messico non ha ceduto ai diktat della Casa Bianca sulla crisi venezuelana.
E il resto della sinistra messicana che fa? Mentre il Partito del Lavoro (PT), formazione politica di origine maoista, è del tutto integrato nella coalizione di centro-sinistra capeggiata da Morena che ha appunto eletto Obrador alla presidenza, altri partiti comunisti assumono posizioni diverse. Il Partito Popolare Socialista (PPSM) di orientamento marxista sostiene ad esempio esternamente Obrador, ma lo fa solo tatticamente, ritenendo che egli non abbia alcuna intenzione di trasformare in senso socialista il Paese, ma di uscire solamente dal neoliberismo a favore di un ritorno al “capitalismo paternalista”. Tuttavia ciò sarebbe – secondo il PPSM – già positivo nella misura in cui destruttura l’egemonia della destra economica e rompe il velo di omertà e di demonizzazione cui era vittima la sinistra combattiva nel paese.
Il PT – che a differenza del PPSM dispone di una presenza parlamentare – preferisce insomma un atteggiamento più pragmatico per incidere direttamente nelle scelte del governo. Una linea che alle nostre latitudini gode della simpatia del Partito Comunista Svizzero presieduto da Massimiliano Ay, notoriamente attento al processo di integrazione latinoamericana, che al PT e a Morena aveva inviato un nota di felicitazioni al momento del voto (leggi).
Del tutto opposta invece la linea assunta dal minuscolo Partito Comunista del Messico (PCM) guidato dal segretario generale Pável Blanco Cabrera che in Europa è notoriamente vicino al Partito Comunista di Grecia (KKE). Sigla piuttosto settaria, il PCM adotta una linea dogmatica accompagnata da una retorica massimalista,che non riconosce le tappe nel processo di trasformazione del Paese. Per loro Obrador è insomma semplicemente un nemico di classe in quanto non rivoluzionario. In un suo recente documento il PCM è arrivato a spiegare che …i mezzi di produzione restano in mano alla borghesia anche con Obrador e che i nuovi posti di lavoro creati sono problematici poiché favoriscono lo sfruttamento capitalistico.