/

L’ONU critica il Venezuela con documenti falsi. Dura reazione dei comunisti.

Il Partito Comunista del Venezuela (PCV) ha convocato i giornalisti a Caracas per un’analisi del rapporto redatto dall’Alto Commissario delle Nazioni Unite per i Diritti Umani, l’ex-presidente cilena Michelle Bachelet, sulla situazione interna al Venezuela.

Il giudizio dei comunisti venezuelani è netto: Pedro Eusse, membro dell’Ufficio politico del PCV ha infatti dichiarato che il rapporto “è pieno di falsità, di manipolazioni e imprecisioni e affermazioni che non hanno fondamento“, accusando la politica di ingerenza negli affari interni al paese latinoamericano, “colpevole” di opporsi all’imperialismo statunitense. Il dirigente comunista teme che l’obiettivo di questi rapporti siano quello di “creare le condizioni per una soluzione violenta a favore del capitalismo monopolistico statunitense ed europeo”. Questo rapporto – ha continuato –  rappresenta “il consolidamento di una politica integrale contro la sovranità e il diritto di autodeterminazione del popolo venezuelano”.

Nel rapporto redatto nel giugno scorso dall’ex-leader socialdemocratica cilena, si menzionano infatti – ma senza portare alcuna prova – presunte violazioni di diritti economici e politici in Venezuela, autoritarismo, repressione, addirittura esecuzioni extragiudiziarie, persecuzione ideologica e censura dei media, oltre che una crisi umanitaria di cui si accusa come responsabile unico il governo del presidente Nicolas Maduro e del suo Partito Socialista Unito del Venezuela (PSUV). Il metodo di indagine adottato dalla Bachelet va poi detto essere perlomeno parziale: le uniche fonti sono 558 interviste, di cui 460 realizzate però con cittadini venezuelani all’estero. Oltre l’80% degli intervistati insomma nemmeno vive in Venezuela. Il resto degli intervistati è apertamente militante di partiti borghesi e di estrema destra, cioè è stata ascoltata unicamente una campana, quella dell’opposizione. Una vergogna per un documento dell’ONU, che mina paurosamente la credibilità di questa istituzione chiamata a ricercare dialogo e mediazione.

Quando Bachelet era giunta il mese scorso in Venezuela aveva trovato una reazione molto fredda da parte dei comunisti che avevano esplicitamente invitato Maduro e non riporre fiducia nella socialdemocratica cilena accusandola di essere subalterna ideologicamente all’imperialismo. L’Alto Commissariato era infatti definito dal PCV come “uno strumento a favore della politica egemonica degli USA nel mondo“. Eusse ha quindi fatto appello al popolo venezuelano e ai popoli dell’America Latina e dei Caraibi, affinché respingano tale manipolazione e anzi “smontare la menzogna e approfondire, rafforzare il processo di cambiamento con la partecipazione protagonista della classe operaia e i contadini». 

Secondo i comunisti venezuelani i problemi che il Paese sta attraversando sono un prodotto della crisi del capitalismo. Il governo venezuelano infatti, benché socialista, non ha ancora cambiato i rapporti di produzione e il paese resta ancora oggi essenzialmente capitalista. L’ultima riunione plenaria del Comitato Centrale del PCV a fine giugno aveva espresso dure critiche nei confronti del PSUV, valutando che l’accordo unitario fra socialisti e comunisti del febbraio 2018 non veniva “rispettato nella sua interezza” da parte del partito governativo, e non caso chiamava la popolazione a contrastare non solo l’oligarchia e l’imperialismo euroatlantico, ma pure le correnti moderate all’interno del processo di liberazione nazionale.

Il Segretario generale del PCV, Oscar Figuera, ha infine tuonato contro “il riformismo disfattista che, sotto apparenze socialiste, applica una politica liberale a favore del capitale”: i problemi sono relativi ad alcune privatizzazioni di aziende statali e a misure di austerità sociale ai danni degli operai. In ogni caso il PCV ha chiarito che non si tratta di una rottura con il “Grande Polo Patriottico” – la coalizione che riunisce tutti i partiti e i movimenti favorevoli alla Rivoluzione Bolivariana iniziata da Hugo Chavez – ma di un “avvertimento” al governo e alla direzione del PSUV da parte della seconda forza politica dell’alleanza, appunto i marxisti-leninisti.