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Erdogan avrà davvero il coraggio di portare la Turchia fuori dalla NATO?

Nell’ambito di un incontro con il deputato nazionalista russo Vladimir Zhirinovsky, il Presidente turco Recep Tayyip Erdogan che ultimamente sta intensificando le relazioni turche con paesi come la Cina, l’iran, il Venezuela e l’Angola, avrebbe assicurato che il suo Paese sarebbe preparato all’eventualità di abbandonare la NATO.  A dirlo ai media è lo stesso politico russo che ha incontrato due volte Erdogan. Zhirinovsky ha poi ricordato che la Turchia è stata una delle prime nazioni ad essere ammesse nella NATO nel 1952 “perché il suo territorio era adatto per azioni contro la Russia”. Lo conferma anche il portale serbo Fort-Russ vino a questi ambienti (vedi).

La lotta interna alla classe dirigente e all’esercito turco fra la corrente filo-NATO e i settori patriottici era latente da tempo e i processi politici Balyoz ed Ergenkon iniziati nel 2006 e di cui avevemo parlato in un articolo del 2016 (vedi) ne erano una prova che quasi nessun analista europeo aveva però colto. Quando Erdogan però abbandonò i suoi precedenti alleati islamisti della setta di Fethullah Gülen con l’epurazione nel 2016 del premier Ahmet Davutoglu (vedi) divenne chiaro che si stava consumano una frattura con Washington, tanto che il giornale kemalista di sinistra Aydinlik predisse un colpo di stato filo-americano per sbarazzarsi di un Erdogan che ormai stava cambiando campo geopolitico. Il golpe avvenne pochi mesi dopo, ma fallì (vedi): la maggior parte dell’esercito e anche parte dell’opposizione si schierò contro gli USA e la NATO. 

Soprattutto ora che Erdogan ha eliminato una parte importante dei generali filo-americani che avevano tentato di rovesciarlo nel 2016, sembra non volerne più sapere di essere un satellite americano nella regione. Insomma: la Turchia potrebbe essere in procinto di riprendere la lotta per la propria sovranità e di portare a termine i progetti rimasti incompiuti della rivoluzione anti-coloniale di Mustafa Kemal Atatürk

L’acquisto recente da parte di Ankara del sistema di difesa missilistico russo S-400 piuttosto che gli armamenti della NATO rappresentano senza dubbio una crisi profonda nei rapporti fra la Turchia e i suoi partner atlantici, ma ancora non significa che i turchi saranno espulsi dall’Alleanza militare.

Perdere la Turchia sarebbe infatti un colpo durissimo per l’imperialismo nordamericano, ecco perché le forze rivoluzionarie turche stanno ora spingendo un Erdogan sempre ambiguo a perseguire questa direzione con coraggio, ricercando l’unità di tutti i patrioti da destra e sinistra. Le forze filo-curde unite alla socialdemocrazia liberale tentano di frenare questo processo, così da tenere il Paese vincolato al campo atlantico: USA e Israele infatti sono concordi nel balcanizzare Turchia, Siria, Irak ed Iran per creare un “Kurdistan” così come hanno fatto con il Kosovo. 

Insomma: mentre il conservatore Erdogan strizza l’occhio al Vladimir Putin e ai vertici del Partito Comunista Cinese, i separatisti curdi e la sinistra liberal europea che li sostiene si piega ai diktat di Washington.

Di certo è che – come confermano i responsabili del centro studi geostrategici del partito marxista turco Vatan Partisi – la Turchia uscirà – anche se gradualmente – dal campo atlantico e si integrerà nell’area euroasiatica. E’ solo una quesitone di tempo, anche perché, mentre la politica turca resta ancora ostaggio dell’Occidente, la sua economia è già oggi orientata verso i paesi emergenti dell’Eurasia.