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Epurato il premier Davutoglu. Ankara fa arrabbiare Washington.

Da qualche tempo ormai all’interno dell’AKP – il partito governativo turco di tendenza islamista – si sta combattendo una lotta di potere all’ultimo sangue. Le parti in causa sono la corrente islamica più istituzionale, facente capo all’attuale presidente della Repubblica Recep Erdogan, e la corrente più eversiva, guidata dal magnate turco-americano Fetullah Gülen, promotore della setta “F”.

Gli Stati Uniti in questa guerra fratricida si sono ormai apertamente schierati con la corrente di Gülen per eliminare Erdogan, ormai considerato inaffidabile per i progetti neo-coloniali di Washington nella regione mediorientale. Gülen è infatti il vero uomo di collegamento del governo e dell’economia statunitense in Turchia: sotto il suo controllo c’erano l’ex-presidente della Repubblica Abdullah Gül e il primo ministro dimissionario Ahmet Davutoglu, entrambi già ministri degli esteri.

Al di là di questioni teologiche del tutto marginali, le due correnti sono infatti divise anche sul fronte degli interessi economici e quindi delle prospettive politiche. Gülen spinge per una riforma costituzionale in cui non solo sparisca il laicismo kemalista, ma in cui si apra le porte alla balcanizzazione della Turchia con uno statuto autonomo per il Kurdistan. Erdogan per contro, nell’ottica di salvarsi, sta cercando sponde con i settori patriottici della società e dell’esercito e infatti sostiene apertamente le operazioni militari contro i separatisti curdi sul confine con la Siria.

Can_Dündar_prix_RSF_Strasbourg_17_novembre_2015E cosa fa la sinistra turca in questa nuova situazione? Tre sono le strategie principali che possiamo notare: mentre i comunisti del KP diretti da Kemal Okuyan considerano le due fazioni parte di una medesima borghesia da combattere costruendo mobilitazione operaia e studentesca, i socialdemocratici del CHP guidati da Kemal Kilicdaroglu e la redazione del quotidiano “Cumhüriyet” ritengono prioritario liberarsi di Erdogan: schierandosi di fatto con la corrente Gülen, essi sperano così di aprirsi le porte della tanto agognata Unione Europea (UE). Ecco quindi come leggere la repressione giuridica ai danni del giornalista socialdemocratico Can Dündar, fautore di questa strategia filo-atlantica e pro-Gülenista. Dündar è noto, peraltro, per essere legato all’organizzazione “Reporters Sans Frontieres” i cui malaffari abbiamo già potuto documentare in questo articolo (link).

Tutt’altra strategia adottano invece i rivoluzionari del partito VATAN guidato da Dogu Perinçek e la redazione del quotidiano “Aydinlik”: essi considerano, infatti, come contraddizione primaria la presenza in Turchia di correnti legate all’atlantismo (cioè la setta Gülen) e il conseguente rischio di balcanizzazione etnica del Paese: occorre dunque secondo loro approfittare delle contraddizioni interne al partito governativo e sfruttare tatticamente le aperture “patriottiche” di Erdogan per indebolire il fronte imperialista.

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