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Breslavia

In lingua italiana si dice ancora Breslavia, essendo stata per secoli la tedesco-ceca Breslau, ma in realtà dal ’45 è polacca col nome di Wroclaw e prima era stata Wrotizla, Wrocislaw, Vrestlav, Presslaw, con un alternarsi di governanti in rappresentanza di tutte le teste coronate dell’Europa centrale, asburgiche, polacche, ungheresi, boeme, prussiane, che ne hanno rivendicato la proprietà, data la strategica posizione sulle rive dell’Oder, in tedesco, in ceco e polacco Odra. Cuore della Slesia, regione per altro a lungo autonoma e con un vescovo dall’anno mille, qui si è stampato il primo libro in lingua polacca nel 1475, ma mezzo secolo dopo, nel 1526, la città passa agli Asburgo, annessa ai possedimenti austriaci di Carlo V, nel 1763 diventa prussiana, dopo che nel 1702 l’imperatore Leopoldo I ne ha fondato l’università, Universitas Wratislaviensis, in omaggio a un altro nome, quello della città in latino, ovvero Wratislavia, tuttavia da non confondere con la slovacca Bratislava. Oggi gli istituti universitari sono disseminati in tutta la città, ma la sede centrale si trova ancora nell’immenso collegio gesuitico, prima sede accademica, chiaro l’orientamento e le finalità del sovrano fondatore, un luogo di cultura per alimentare il conflitto tra cattolicesimo e mondo protestante. Il centro cittadino alterna case di stile socialista, tanto degli anni ’50 e ’60, quanto più tarde, che hanno riempito i vuoti delle terribili distruzioni della seconda guerra mondiale, e abitazioni più antiche, in molti casi ricostruite, tutte di fattura tedesca.
Oggi si arriva al modernissimo aeroporto Mikolaj Kopernik, polacco non proprio di queste parti, ma pur sempre geniale scienziato e religioso laureatosi in Italia in diritto canonico, astronomo capace di dare ragione, dopo molti secoli, ad Aristarco di Samo, che aveva capito, con largo anticipo, l’eliocentrismo del sistema in cui si muove la terra. Poco fuori dall’aeroporto vi è una base militare di riconoscibile edificazione socialista, oggi occupata dalla NATO, di cui sventola la bandiera oltre il filo di ferro. I vincitori della Guerra Fredda si sono sostituiti ai vinti.
I tartari passano per la città nel 1241, tagliano la testa ai polacchi e portano in Asia le loro affascinanti e giovanissime figlie, i tedeschi della città invece si salvano e ricostruiscono la città, diventando la maggioranza dei cittadini per sette secoli. Breslavia aderisce tardivamente alla Lega Anseatica, traendone tuttavia la legittimità per l’autonomia del consiglio comunale cittadino da tutti i sovrani alternatisi nel tempo. Il Comune infatti a segno del proprio potere edifica un palazzo di particolare magnificenza, tutt’oggi ammirabile. È esplicito il conflitto tra il Comune e i sovrani cattolici, i quali cercano di piegare al credo romano i cittadini, ma senza troppo successo, nonostante facciano affluire massicciamente tutti gli ordini religiosi papalini, francescani, domenicani, gesuiti, dei quali restano le chiese, generalmente imponenti e lugubri. I protestanti tuttavia saranno la maggioranza fino al 1945. Il passaggio ai prussiani consolida la presenza luterana, ma pone fine a ogni privilegio economico, cancellato dal rigido centralismo militarista del geniale Federico II di Hohenzollern, amante della cultura al punto da invitar alla sua corte Bach e Voltaire. Non è un caso che Federico II avesse scelto insieme a Berlino e Königsberg, proprio Breslavia come città in cui soggiornare, facendone la terza capitale del regno.
Come a Berlino, anche a Breslavia i napoleonici in ritirata dalla disastrosa campagna di Russia con le loro ruberie ridestano il nazionalismo tedesco, un sentimento che meno di un secolo e mezzo dopo devasterà drammaticamente l’Europa. Già dopo il primo conflitto mondiale a Breslavia le istituzioni polacche, dalle scuole alle biblioteche, son date alle fiamme, ben prima dell’avvento dei nazisti al potere. Gli ultimi polacchi, salvo uno sparuto gruppo, lasciano la città alla metà degli anni ’20, nessuno immagina che un ventennio dopo saranno i tedeschi ad abbandonarla quasi completamente per far posto al ritorno dei polacchi. La barbarie nazista costruisce per i comunisti, i sindacalisti, gli ebrei, gli zingari e le zingare, ritratte con passione carnale da Otto Müller, e gli ultimi polacchi della città, dei campi di concentramento in cui il lavoro forzato per le industrie belliche è la regola. Incitata dalle parole di Il’ja Ehrenburg che li invita a uccidere i nemici, l’Armata Rossa libera ai primi di maggio la città e ne passa il controllo amministrativo ai comunisti tedeschi della KPD, che nelle elezioni del ’32 avevano raccolto il 10%, nel ’45 i tedeschi sono infatti ancora duecentomila e solo 15mila i polacchi. In un paio di anni tuttavia la situazione cambia e i polacchi diventano i tre quarti della città, entrata a far parte della Polonia socialista. Coloro che non si riconoscono nel nuovo sistema sociale lasciano la città, sostituiti dagli sfollati polacchi, rimasti senza casa. I polacchi giungono da Lvov, diventata sovietica, i tedeschi lasciano la città per le Germanie, dividendosi in ragione dei loro sentimenti politici. Gli undici Nobel vinti dalla città nel Novecento, otto fino al ’43, gli altri tre dopo, sono andati tutti a tedeschi, forse anche per questo in città ci si ricorda poco di questi breslaviesi illustrati in fisica, chimica, letteratura, medicina ed economia.  Lascito kruscioviano le ciminiere della centrale termoelettrica, che sbuffano in perpetuità, dall’altra parte dell’Odra, ai margini della città vecchia.
Nel 1948, mentre i tram azzurri riprendono a sferragliare per Breslavia come nella celebre canzone di Jerzy Harald, la città ospita il Congresso Mondiale degli Intellettuali per la Pace, presso la Sala del Centenario, avveniristica costruzione in cemento armato voluta dai prussiani per celebrare la vittoria di Lipsia su Napoleone e progettata da Max Berg. In questa occasione Pablo Picasso disegna e lancia la celebre colomba della pace. Anna Seghers raccoglie il racconto di una compagna polacca all’origine del suo testo “La figlia della delegata”, che narra le peripezie vissute da madre e figlia per permettere alla prima di partecipare a un congresso del Profintern, l’Internazionale Sindacale Comunista, a Mosca negli anni ’30, mentre Diego Rivera arriva dal Messico portandole i saluti di molte compagne e di molti compagni, tra cui Frida Kahlo, che rimpiangono il suo ritorno in Germania, avendo la scrittrice tedesca vissuto a Città del Messico tra il 1941 e il 1947. In questa occasione Anna Seghers conosce Salvatore Quasimodo, presente con la delegazione italiana. Ancora oggi lungo la città vecchia sferragliano i tram azzurri. Vecchie donne sole, dai capelli tinti con eccessiva tristezza, consumano silenziose gli ottimi pierogi, i ravioli polacchi, in un self-service illuminato da terribili luci elettriche. Nella Polonia di oggi la modernità liberista genera esclusione sociale e cancella la solidarietà.

Davide Rossi

Davide Rossi, di formazione storico, è insegnante e giornalista. A Milano dirige il Centro Studi “Anna Seghers” ed è membro della Foreign Press Association Milan.

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