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Famiglia, immigrazione, Memoria

Grandi problemi
Grandi problemi

La famiglia è un fatto antropologico. Così ha detto il cardinal Bagnasco e ha assolutamente ragione. Ma forse non si è reso conto di quello che ha detto. Avrebbe dovuto dire che la famiglia, dal suo punto di vista, è un fatto teologico e così avrebbe potuto difendere la sua idea di famiglia. Invece ha detto che la famiglia è un fatto antropologico, ovvero è una delle modalità di convivenza umana liberamente scelta dagli uomini nel corso della loro storia.

Non occorre fare approfonditi studi di antropologia per sapere che la convivenza e la riproduzione tra gli esseri umani hanno avuto modalità molto differenti nei secoli. Nella maggior parte della storia dell’umanità si è vissuto insieme in una comunità di donne e uomini che crescevano i bambini insieme con uguale senso di responsabilità, senza preoccuparsi di chi fossero figli, qualche pagina di Lévi-Strauss e di Clastres potrebbe aiutare. Uomini e donne di un gruppo vivevano insieme, insieme crescevano i piccoli. Solo il passaggio alla sedentarietà e alla proprietà privata – fatto del tutto recente rispetto alla storia umana – ha generato la nascita della famiglia come la intendiamo noi, che non è altro che una forma dell’esercizio della proprietà privata sulle persone e sulle cose. Leggersi “L’origine della famiglia, della proprietà privata e dello Stato” di Engels, per chi si dice marxista, potrebbe essere una buona lettura. L’avvento del familismo privatistico legato alla proprietà non ha tuttavia conquistato l’intera umanità. Ancora oggi, in alcune parti del mondo, esistono comunità umane che vivono, fanno l’amore, provvedono alla loro sopravvivenza, senza compiere distinzioni familistiche, non esistono tra loro mariti e mogli e i figli sono il patrimonio comune di tutta la comunità e la concreta speranza nel futuro.

Senza addentrarci nelle foreste tropicali vale la pena ricordare che nei kibbutz in Palestina negli anni ‘40, quelli formati da ebrei che erano risolutamente contrari alla nascita dello stato di Israele, si è praticata una vita comunitaria in cui i bambini crescevano insieme senza legami privatistici coi genitori biologici, i quali formavano la comunità degli adulti del kibbutz. Sarebbe utile e importante leggere il commovente “I figli del sogno” di Bruno Bettelheim, un autentico capolavoro. Aggiungo, per chi non lo sapesse, che in quei kibbutz si festeggiavano tutte le ricorrenze religiose ebraiche e nei saloni comuni campeggiavano generalmente due grandi ritratti, quella di Karl Marx, nipote di Mordechai Halevi ben Schmuel Postelberg, rabbino di Treviri, e di Iosif Stalin, guida di quell’Armata Rossa che aveva spalancato le porte dei campi di concentramento, a partire da Aushwitz, il 27 gennaio 1945.

Tutto questo ci aiuterebbe a capire meglio sia che cosa è la famiglia, sia a commemorare con più attenzione la giornata della Memoria, visto che zingari, comunisti, sindacalisti, soldati e civili sovietici, omosessuali, sacerdoti protestanti antinazisti, antifascisti di tutta Europa, testimoni di geova sono stati risucchiati dall’abominevole sterminio insieme agli ebrei. Intanto oggi l’Europa, vecchia e timorosa, desiderosa di difendere la sua ricchezza, vorrebbe fermare milioni di giovani che, come i poveri proletari europei obbligati un secolo fa a partire per la miseria in cui vivevano, cercano qui l’acqua corrente, un tetto e un letto che lo sfruttamento capitalista, promosso dall’Occidente, genera nelle loro terre, nelle loro patrie, nelle loro nazioni.

Famiglia, immigrazione, Memoria. Per capire occorrerebbe studiare, invece viviamo in un tempo in cui chi grida e chi insulta più forte ha maggiore ascolto. Un triste tempo che porta con sé inquietanti segnali per il futuro.

Davide Rossi

Davide Rossi, di formazione storico, è insegnante e giornalista. A Milano dirige il Centro Studi “Anna Seghers” ed è membro della Foreign Press Association Milan.

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