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Rom e Sinti a Milano: restiamo liberi

“Restiamo liberi. In memoria dei nostri anziani, dei nostri parenti, dei nostri fratelli e delle nostre sorelle vittime dei campi di sterminio nazisti e dei campi di concentramento italiani, noi, testimoni della persecuzione e dello sterminio culturale di rom e sinti oggi in tempo di pace, lasciamo ai nostri figli il dovere di continuare a combattere per esistere, per i loro diritti e per un futuro libero, perché la bellezza del popolo romanì non svanisca”. Queste le parole del monumento dedicato alla memoria del Porrajmos – lo sterminio dei rom e sinti -, voluto dai sopravissuti e dai loro nipoti di Milano. Il 27 gennaio 1945 infatti l’Armata Rossa libera il campo di concentramento di Auschwitz, iniziando a porre fine alla barbarie nazista. Resta la memoria di milioni di donne e uomini imprigionati, deportati e trucidati perché soldati sovietici, comunisti tedeschi e degli altri paesi occupati dai nazifascisti, sindacalisti, ebrei, testimoni di geova, omosessuali, rom e sinti, un popolo, quello gitano, che mai ha fatto una guerra e che per questa ragione meriterebbe il Nobel per la pace, come da anni, senza fortuna, molti propongono.

Una casa, nel campo
Una casa, nel campo

I rom e i sinti di Milano sono in larghissima maggioranza cittadini italiani, con passaporto italiano, la loro presenza in città non solo data da oltre sette secoli, come in tutta Italia, ma è formata da quelle donne e da quegli uomini che hanno lasciato, a volte per scelta, a volte perché deportati in Lombardia e Piemonte, i territori del confine orientale e dell’Istria quando la seconda guerra mondiale ne ha devastato il territorio. Da tre generazioni sono milanesi, nati negli ospedali della città, di cui condividono nebbie e sogni, orizzonti bassi e guglie del Duomo. Da quasi venti anni vivono in campi assegnati in modo ufficiale dal sindaco berlusconiano Albertini, campi piccoli in cui hanno edificato case basse, ma piacevoli e ben curate, incredibile che oggi molti suoi assessori della giunta Pisapia vogliano smantellare i campi, offrendo in alternativa container e soluzioni ben peggiori. Il tutto per applicare una direttiva europea che in realtà prende di mira i mega-campi realizzati oltre il raccordo anulare di Roma dal sindaco Veltroni, un progetto pessimo che ha portato a situazioni sovraffollate con tutti i conseguenti problemi, per poi dar spazio ai furti di fondi pubblici da parte dei politici sotto processo ora per “Mafia Capitale”. A Milano invece se i campi hanno problemi di collegamento alla città o con la rete idrica e fognaria è soltanto perché il Comune non ha mantenuto gli impegni che ha sottoscritto e che in ogni caso è chiamato a garantire a tutti i suoi cittadini.

I rom e i sinti di Milano subiscono da parte delle forze dell’ordine angherie, accuse infondate, schedature, fotografie segnaletiche scattate a tutti, anche ai bambini di pochissimi anni, senza che ve ne sia un motivo. Un’umiliazione che viola i diritti costituzionali garantiti a ciascun cittadino e a ciascuna cittadina e che si aggiunge alla difficoltà a trovare un lavoro, infatti, sebbene italiani, devono quasi sempre dirsi di origine straniera per poter riuscire a ottenerlo. Sempre lavori umili, faticosi, poco e malpagati. A riscattare la Repubblica Italiana nata dalla Resistenza antifascista e fondata sul lavoro, sui diritti e contraria a ogni discriminazione ci pensa il CPIA, il Centro Provinciale Istruzione Adulti di Milano che, per volontà del dirigente scolastico Pietro Cavagna, si sta impegnando per garantire a questi ragazzi il diploma della scuola dell’obbligo, il primo passo per una cittadinanza attiva e partecipe.

Dijana Pavlovic, portavoce della Consulta Rom e Sinti del Comune di Milano, si adopera con inesauribile entusiasmo per il rispetto dei diritti di questa comunità, scontrandosi spesso con il conformismo, la grettezza, l’ignoranza che attanaglia molti amministratori pubblici. Dijana Pavlovic è tra le promotrici della legge di iniziativa popolare per il riconoscimento dei rom e dei sinti come minoranza, una proposta che li equiparerebbe a sloveni, catalani e albanesi presenti sul territorio della Repubblica Italiana, con l’obbligo di tutelarne la lingua, la cultura e i diritti. Un cammino arduo, ma giusto e importante.

Davide Rossi

Davide Rossi, di formazione storico, è insegnante e giornalista. A Milano dirige il Centro Studi “Anna Seghers” ed è membro della Foreign Press Association Milan.

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