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Cooperazione allo sviluppo? Ci andiamo noi civilisti!

In queste settimane il tema della migrazione è stato particolarmente dibattuto, a causa della situazione eccezionale cui sono confrontati i paesi balcanici e dei potenziali effetti che questa potrebbe provocare anche in Svizzera. Al di là delle spropositate reazioni degli ambienti nazionalisti (i quali arrivano a parlare di “invasione incombente” e di “respingere i migranti senza pietà”), occorre però notare come anche dalle altre formazioni borghesi non giungano proposte costruttive in grado di modificare sostanzialmente lo stato di cose attuali (ci si trincera dietro ad una concezione molto politically correct della politica migratoria – “severa ma giusta” – che è in realtà priva di qualsiasi strumento concreto ed efficace per fronteggiare la situazione).

Ciononostante, la Confederazione ha ancora molte frecce al suo arco: da un lato, va fatto notare come la barca non sia ancora piena e come il nostro paese sia ancora in grado di ospitare un gran numero di rifugiati, qualora l’emergenza presente nei Balcani dovesse iniziare ad interessare i nostri confini. Le strutture pubbliche hanno infatti ancora una certa disponibilità (come testimonia lo stesso Ueli Maurer, il quale ha fatto presente che ben 50’000 posti siano pronti all’uso nei centri della protezione civile) e vari singoli privati (famiglie, associazioni, ecc.) – la cui generosità non deve comunque sopperire ai vuoti lasciati dalla politica e dall’ente pubblico – stanno dimostrando di poter (e voler) dare un contributo. D’altra parte, per quanto l’assistenza in Svizzera debba venir mantenuta ed estesa, questa non deve e non può essere il punto centrale della nostra risposta alla questione migratoria: essa deve infatti basarsi principalmente su una politica di cooperazione in loco e di aiuto umanitario che possa contribuire a ristabilire un grado minimo di sicurezza sociale, sanitaria ed alimentare nei paesi d’origine (o limitrofi) dei migranti (unico vero strumento dissuasivo per evitare lo svilupparsi di ampi e incontrollabili flussi migratori).

In tal senso gli sforzi finanziari della Confederazione a sostegno di progetti umanitari vanno sostenuti e rafforzati, tuttavia occorre riorientare in maniera strutturale e mirata l’operato della Direzione dello sviluppo e della cooperazione (DEZA). Questa si è infatti resa protagonista negli ultimi anni di varie pratiche che come comunisti non possiamo tollerare: sostenendo iniziative “umanitarie” in vari paesi dell’area ex-sovietica (tra cui anche l’Ucraina), in Africa e Sud America, la DEZA ha infatti agevolato l’insediamento e/o il consolidamento di un sistema neo-coloniale che pregiudica qualsiasi sforzo di emancipazione politico-economica delle zone interessate.

A ciò si aggiunge la necessità di concepire delle forme alternative di assistenza alle popolazioni in difficoltà: una di queste potrebbe essere data dai (già esistenti) programmi di servizio civile all’estero. Per coloro che scelgono questa alternativa al servizio militare esiste infatti la possibilità di svolgere un impiego nell’ambito di progetti di aiuto umanitario ma soprattutto di cooperazione allo sviluppo, collaborando in varie regioni del mondo con associazioni attive su questo fronte. Purtroppo l’accesso a questa interessante opportunità è piuttosto difficoltoso, a causa in particolare dei rigidi criteri posti dall’Organo d’esecuzione del servizio civile: in primo luogo, occorrerebbe abolire la norma che vieta di impiegare civilisti in iniziative che “formino idee politiche”, dal momento che questa è un freno alla mediazione interculturale e vieta di operare in organizzazioni sindacali internazionali. Inoltre per poter svolgere un impiego all’estero, il civilista deve “possedere un titolo di formazione professionale, aver svolto almeno due anni di studio universitario o un’esperienza pluriennale qualificata nel settore” (questo grado di esperienze specifiche porta a prendere in considerazione unicamente giovani che si avvicinano ai 30 anni di età, pregiudicando tutti gli altri). Tutto ciò è estremamente limitante per i giovani interessati come me a questo tipo d’impiego, tanto più che i posti disponibili sono piuttosto scarsi.

Da parte mia e del Partito Comunista mi auguro perciò che le Camere federali valutino quanto prima un’allentamento delle restrizioni poste ai progetti di impiego all’estero e che avviino una collaborazione tra l’Organo d’esecuzione del servizio civile e la DEZA, la quale dovrebbe farsi portavoce di una visione alternativa di cooperazione internazionale: questa dovrebbe permettere di creare della collaborazioni paritarie di tipo “win-win” con i paesi emergenti, che possano fungere anche da “prove generali” per dei rapporti economici vantaggiosi per entrambi.

Zeno Casella, candidato al Consiglio Nazionale per il Partito Comunista

Zeno Casella

Zeno Casella, classe 1996, è consigliere comunale a Capriasca per il Partito Comunista. Tra il 2015 e il 2020, è stato coordinatore del Sindacato Indipendente degli Studenti e Apprendisti (SISA).

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