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Il calcio malato e le ridicole polemiche antirusse

La FIFA, la Federazione Internazionale delle Federazioni del Calcio, dal 1955 al 1974 è stata governata con spocchia razzista dagli inglesi Arthur Drewry e poi da Stanley Rous, due che fino all’ultimo han provato ad organizzare i mondiali senza squadre africane e asiatiche. Solo nel 1970, infatti, questi continenti vedono riconosciuto il loro diritto a partecipare: si smette così di avere un torneo solo euro-latinoamericano, in cui la Corea Popolare nel 1966 e i goleador africani prestanti a Francia e Portogallo, il marocchino Fontaine nel ’58 e il mozambicano Eusebio nel ’66 diventano capocannonieri del torneo. Dal 1974 il potere passa al brasiliano João Havelange che regge l’organizzazione fino al 1998, avendo come primo collaboratore per tutto questo tempo Joseph Blatter, che poi lo sostituisce come presidente.

Che la corruzione, i favori, gli interessi, sempre privati, a partire da quelli dell’Adidas e delle grandi multinazionali sportive, siano stati all’ordine del giorno di questa quarantennale gestione del calcio mondiale è una certezza nota a tutti e da tutti conosciuta da tempo. È abbastanza ridicolo che gli statunitensi lo scoprano solo oggi e per di più strumentalmente, solo per fomentare l’ennesima polemica contro la Russia, assolutamente pronta e titolata a ospitare i mondiali del 2018, una assegnazione che lascia molti meno dubbi di quella ottenuta dagli Stati Uniti nel 1994. Il calcio nel mondo è una macchina economica e non un gioco e un passatempo. Una riflessione sul debordare degli interessi sul gioco giocato andrebbe fatta, così come andrebbero cercate soluzioni, evitando tuttavia strumentali e ridicole polemiche antirusse.

In verità poi è tutto il sistema del calcio mondiale che è compromesso, la FIFA e le nazionali per le ingerenze politiche, tutti i campionati a tutti i livelli di tutto il mondo per l’ingerenza delle scommesse on line. È risaputo che in tutto il pianeta molti presidenti anche di piccole e modeste squadre di calcio di piccoli centri, “suggeriscono” i risultati delle partite ai loro giocatori, spiegando loro che aggiustare il risultato con – ad esempio – una sconfitta per 3 a 1 è il solo modo per garantire il pagamento degli stipendi, un ricatto imposto a giocatori delle serie minori che guadagnano in molti casi meno dello stipendio di un garzone di bottega. Ciò accade perché i presidenti sono i primi a investire ingenti somme nelle scommesse, ovviamente in paesi lontani, asiatici, africani, e pilotando il risultato delle partire traggono quelle vittorie che permettono loro di pagar gli stipendi.

Piccole miserie di un calcio malato, ma difficilmente riformabile, se non con un totale azzeramento di tutto il sistema. Il solo modo sarebbe una sistema informatizzato planetario che permettesse agli organi di controllo del calcio di verificare in tempo reale se in Uzbekistan o in Tanzania si scommette un milione di euro su una partita di due paeselli di periferia di una qualunque nazione europea, con duecento tifosi in tribuna, si dovrebbero allora sospendere il risultato dell’incontro e bloccare il pagamento delle scommesse, ma tutto questo richiederebbe determinazione e tempestività, troppo per un sistema affaristico – commerciale delle dimensioni del calcio moderno.

Davide Rossi

Davide Rossi, di formazione storico, è insegnante e giornalista. A Milano dirige il Centro Studi “Anna Seghers” ed è membro della Foreign Press Association Milan.

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