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L’insuperabile hockey sovietico raccontato nello strepitoso “Armata Rossa” di Gabe Polsky presentato al 19° Milano Film Festival

Gabe Polsky non è californiano, come lui stesso chiarisce in uno spassoso frammento alla fine del film, è di Chicago, ma è un bravissimo regista, il suo documentario dedicato al più grande giocatore di hockey di tutti i tempi, il sovietico Vjačeslav Fetisov, oggi ministro dello sport della Russia e amico di Vladimir Putin, è davvero toccante ed emozionante. Certo, a tratti serpeggia lo schema trito e bolso della Guerra Fredda, secondo cui i vincitori occidentali erano i buoni e i comunisti di tutto il mondo i cattivi, ma in fondo proprio questo schema viene ridicolizzato fin dai primi fotogrammi, i quali si aprono con Ronald Reagan che invita i suoi concittadini a vigilare contro il pericolo rosso.

Il film scava, indaga e racconta non solo la vita e le vicende sportive di Fetisov, ma anche dei suoi compagni di squadra nel CSKA Mosca e tutti insieme titolari nella nazionale che a Sarajevo vince l’oro nelle Olimpiadi invernali del 1984.

fetisovCon Fetisov giocavano Alexej Kasatonov, oggi vicepresidente della CSKA Mosca, Vladimir Krutov, Igor Larionov, Sergei Makarov, il portiere Vladislav Tretjak, oggi deputato e presidente della lega di hockey russa. Questi giocatori hanno rappresentato, per unanime considerazione di tutti gli esperti, la più grande squadra scesa sul ghiaccio in ogni tempo.

Cresciuti nell’amore per la patria sovietica, nell’idea del gioco collettivo, capaci di una coralità che contro il gioco di forza ha imposto nell’hockey la bellezza dei passaggi e delle azioni manovrate, nel crepuscolo gorbacioviano decidono di andare a giocare nella National Hockey League, il campionato binazionale canadese-statunitense, il più importante campionato del mondo. All’inizio giocano in squadre diverse e perdono, poi un allenatore intelligente come il canadese Scotty Bowman decide di metterli insieme nei Detroit Red Wings e di lasciarli liberi di giocare come vogliono, non impone loro nulla, né schemi, né vincoli. E i sovietici tornano a vincere.

Il film indugia sulla grande umanità dell’allenatore sovietico Anatolij Tarasov e sulla spietata e ottusa rigidità del suo successore Victor Tichonov, ma in realtà è il primo a rappresentare i valori socialisti, il secondo è un triste epigono del peggior breznevismo, ovvero di quella cultura responsabile del declino del campo socialista mondiale.

Alla fine tuttavia emergono con tutta la passione e il sentimento della verità di una vita di gioie e di sofferenze, anche per sportivi famosi e affermati, due messaggi potentissimi. Il primo è che la cultura socialista insegna a lavorare insieme e a essere solidali, a condividere e preoccuparsi degli altri. Il secondo, davvero inaspettato, soprattutto per un documentario di origini statunitensi, è un’analisi sincera e precisa degli ultimi vent’anni della Russia, ovvero una dura e irrevocabile condanna della squallida e vergognosa stagione eltsiniana, che ha impoverito i cittadini e promosso disvalori come l’individualismo e l’egoismo e un riconoscimento al governo di Vladimir Putin per essere stato ed essere tutt’oggi capace di impegnarsi per il benessere dei cittadini e promuovere valori di solidarietà e di condivisione che affondano le loro radici nel collettivismo sovietico.

La 19° edizione del Milano Film Festival ha regalato come sempre molti lungometraggi e cortometraggi di grande spessore, confermandosi una certezza tra gli appuntamenti del cinema di qualità mondiale, si potrebbero raccontare molti film, ma su tutti primeggia e merita di essere ricordato lo straordinario “Armata Rossa” di Gabe Polsky.

Davide Rossi

Davide Rossi, di formazione storico, è insegnante e giornalista. A Milano dirige il Centro Studi “Anna Seghers” ed è membro della Foreign Press Association Milan.

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