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Parola di Julija Tymošenko: massacrare gli ucraini di origini russe!

Il mio giudizio sulla scelte politiche di Julija Tymošenko è sempre stato pessimo, al servizio dei poteri forti interni e internazionali, ostile nella sostanza al popolo ucraino, funzionale agli interessi della NATO. Ora vi è la telefonata, smentita in parte da lei e in toto dal suo interlocutore, nella quale la Tymošenko si propone di ammazzare gli ucraini di origini russe, che lei quantifica in otto milioni su cinquanta.

A prescindere dal fatto che lei stessa abbia riconosciuto come autentica, almeno in parte, la telefonata, la voce pare essere indubitabilmente la sua. L’affermazione di voler morti milioni di suoi concittadini si commenterebbe da sola, per quanto i numeri da lei espressi sollevino alcuni dubbi. Ma vi è molto di più. Qualcosa di tragico, terribile e al contempo esilarante.

Quando ho ascoltato la registrazione, poi la ho ascoltata una seconda volta, poi ho chiesto a un amico russofono per essere sicuro. Avevo ragione. La Tymošenko vuole i russi morti e lo afferma sbraitando in … russo! Non in ucraino!

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L’autore: Davide Rossi

Per altro, sempre l’amico russofono, mi conferma, ancora una volta, che l’80% della popolazione ucraina parla russo (quaranta milioni, non otto, con buona pace della Tymošenko), tranne quel 20% di cittadini dell’Ucraina occidentale che parlano il galiziano, divenuto ora, da un ventennio, con opportune modifiche, l’ucraino.

La Galizia, la ragione di Lvov/Leopoli, ha fatto per secoli parte di Polonia e Lituania, poi per lungo tempo dell’impero Austrungarico, di nuovo polacca dal ’19, sovietica dal ’39 al ’41, poi nazista, divenuta infine sovietico-ucraina nel 1944, ma senza essere davvero mai integrata nella nuova realtà statuale. Con il 1991 i galiziani e la loro lingua e tutti i conservatori ucraini, dai moderati agli estremisti di destra, in questo caso tutti russofoni, o meglio aspiranti ex – russofoni, si sono dichiarati i “veri” ucraini, compiendo una titanica fatica di inventarsi una nuova lingua, l’ucraino-galiziano appunto, quella strana lingua che, ad esempio, per non chiamare la “piazza” “plosciad”, come i russi, la definisce “maydan”, prendendo a prestito una parola araba “midan”, sebbene ricordarlo, come ho fatto io l’anno scorso per le strade di Kiev, rischi di urtare il loro sentimento patriottico, almeno dei nazionalisti.

Gli ucraini parlano russo da più di mille anni, dai tempi del regno della Rus, questo il nome dello stato. La Rus si è convertita al cristianesimo nel 1015 grazie al re condottiero, focoso amante e santo cattolico e ortodosso Vladimir. Ovvero parlano russo dai tempi della Russia moderna, nata allora e da sempre inglobante l’Ucraina. L’aggiunta “di Kiev” nell’espressione “Rus di Kiev”  non è mai stata utilizzata per secoli dai protagonisti stessi o dagli storici, è un omaggio della storiografia russo-sovietica dello scorso secolo, accolta con benevolenza dalla storiografia mondiale, ma forse, alla luce delle strumentalizzazioni odierne, è da rivedere. Tuttavia nella prima epoca della Rus vi sono almeno cinque città di uguale importanza: Novgorod, Pskov, Vielikij Rostov, Jaroslav (tutte site a nord dell’odierna Mosca) e Kiev, la più meridionale. Kiev è stata la sede del potere centrale per solo un secolo e mezzo, in ragione della sua vicinanza geografica all’impero bizantino, riferimento commerciale, economico e religioso. In seguito il potere prenderà la via di Vladimir e quindi di Mosca.

Succede così, per quanto possa sembrare assurdo e ridicolo, che Julija Tymošenko invochi la morte di una considerevole porzione di suoi concittadini nella lingua che l’accumuna non solo a quegli otto milioni ragionevolmente a lei più ostili politicamente, ma pure a molti altri. La Tymošenko urla: “morte ai russi” nella lingua che è la storia dell’Ucraina. Quel russo che è parte presente e futura di quella terra, destino inestricabile a cui neppure lei, senza rendersi conto di cadere al contempo nell’ignobile invocando morte e nel ridicolo facendolo in russo,  è capace di sottrarsi.

Davide Rossi

Davide Rossi, di formazione storico, è insegnante e giornalista. A Milano dirige il Centro Studi “Anna Seghers” ed è membro della Foreign Press Association Milan.

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