Voto catastrofico sull’assicurazione disoccupazione

Lo scriveva pochi mesi fa su “L’inchiostro rosso” il segretario del Partito Comunista: dopo la vittoria contro i tagli alla LPP non ci si doveva aspettare di vincere facilmente la battaglia contro la revisione della LADI; bastava essere sul territorio, fra la gente, per capire che la percezione era diversa. Invece i vertici dell’Unione Sindacale Svizzera (USS), così come quelli del SYNA  (il cartello sindacale cattolico) e dello stesso Partito Socialista (PSS) sembravano cantassero vittoria in anticipo. Il presidente nazionale della socialdemocrazia pareva pronosticare quasi la presa del potere, tanto era entusiasta. Peraltro Levrat è noto per essere spesso incapace di leggere i fatti concreti della politica e le sue strategie (basta vedere come, recentemente, si sia fatto abbindolare dai liberali-radicali in merito alla rotazione dei dipartimenti in Consiglio federale!). E a livello ticinese il PS cantonale aveva declinato l’invito del Partito Comunista di fondare un comitato ticinese militante per sostenere il NO alla riforma dell’assicurazione disoccupazione già in dicembre: “è prematuro” aveva risposto Manuele Bertoli con una e-mail a Massimiliano Ay. Il PS poi ha creato ex-novo un proprio comitato d’apparato con l’USS, quando i comunisti, sezioni ribelli dei socialisti svizzeri, sezioni sindacali dissidenti di UNIA, nonché le associazione dei disoccupati ne avevano già fondato uno operativo a livello federale dall’estate scorsa. I socialisti, quindi responsabili anche qui di aver frantumato le forze della sinistra, nel nome di chissà quale pragmatismo.

Una campagna mal impostata

Interessante appare l’analisi dell’ex-dirigente sindacale Giuseppe Sergi su quella che, secondo lui, è stata una campagna impostata negativamente: “a contribuire alle sconfitta del referendum è sicuramente stata l’impostazione data alla campagna”. Essa “è stata sostanzialmente incentrata su due aspetti: quello dell’inaccettabilità sociale della riforma (l’idea che andava troppo in là dal punto di vista sociale, pur ammettendo la necessità di rimettere ordine nei conti dell’assicurazione disoccupazione) e quello della ingiustizia fiscale promossa dalla revisione che fa pagare contributi insufficienti a coloro che conseguono redditi estremamente alti. Questo ultimo tema, in particolare in Svizzera tedesca, ha di fatto trasformato una discussione sulla disoccupazione in un dibattito di politica fiscale, votato all’insuccesso. La questione fondamentale di questa revisione, la spinta verso la “rimessa al lavoro” dei salariati, e soprattutto di quelli giovani, è stata di fatto evacuata dalla propaganda ufficiale a favore del No. Così come del tutto assente è stata l’idea che, attraverso questa revisione si desse un ulteriore contributo allo sviluppo del dumping salariale e sociale in questo paese”.

Astensionismo operaio

Un primo dato che salta all’occhio è il basso tasso di partecipazione al voto: intorno al 35%. Checché ne possano dire le direzioni sindacali, siamo certi che la maggioranza dei lavoratori è rimasta a casa, non si è posta il problema o magari non sono stati nemmeno stati coinvolti dalla propaganda stanca dei sindacati. Qualcuno potrebbe pensare a questo punto di imporre a tutti il voto come un obbligo. Non sarebbe la soluzione: la popolazione è disaffezionata da questi appuntamenti istituzionali i cui risultati sono spesso facilmente aggirabili dalla classe politica. I sindacati e i socialisti non hanno ancora capito che senza favorire una mobilitazione diretta dei salariati non potranno ottenere un granché solo a furia di referendum. La democrazia diretta svizzera (con i suoi meccanismi particolari e la sua divisione federalista) è un prodotto della borghesia, che se lo concede è perché sa di non doverlo temere! Non si può limitare l’azione politica e sindacale su questi strumenti, ma occorre pensare a come costruire dei reali rapporti di forza sui posti di lavoro e nelle piazze.

E adesso?

Si tratta di una sconfitta grave per tutti i salariati che con questa crisi potrebbero facilmente scoprire cosa significa finire in disoccupazione. Ma questa votazione riguarda da vicino anche i sindacati, basta pensare all’importanza che rivestono le casse disoccupazione nel budget delle varie organizzazioni sindacali indirettamente legate tramite questo sistema all’amministrazione pubblica.

di Massimo Tuena (Segretario PdCI in Svizzera)

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