/

La Casa del Cinema contro il tessuto sociale del Locarnese

A Locarno e in tutta la regione si sta facendo un gran discutere della Casa del Cinema, progetto controverso il cui credito per l’avvio della costruzione è stato approvato dal Consiglio Comunale cittadino – 6 milioni di franchi, su un totale di 32,2 milioni, cifra che verrà raggiunta coinvolgendo il Cantone, i comuni della regione, gli enti turistici e la fondazione privata Stella Chiara – e contro cui è già in atto un referendum mosso dal Partito Comunista e dalla Lega.

Uno degli argomenti importanti impugnato contro la Casa del Cinema è quello del futuro incerto delle numerose associazioni presenti nel palazzo delle ex scuole comunali di Piazza Remo Rossi, entro il quale si vorrebbe realizzare il progetto in analisi. È importante ricordare che molte di queste associazioni spaziano tra i più svariati ambiti della cultura e spesso e volentieri lavorano a stretto contatto con giovani e giovanissmi, pertanto sono da ritenere dei tasselli fondamentali del mosaico che compone il tessuto sociale e culturale del locarnese. Non possiamo infatti pensare che solamente il Festival Internazionale del Film di Locarno – per quanto sia l’evento più importante del Cantone – sia un dispensatore di cultura, soprattutto considerando che è presente unicamente per 10 giorni all’anno.

La possibilità di ancorare il Festival al territorio, permettendo di farlo vivere per tutto l’anno, è un obiettivo da perseguire, ma non sarà la Casa del Cinema a permetterlo, in quanto nel progetto oggetto di referendum, per il Festival verranno semplicemente creati degli spazi per uffici e archivi, entrambe oggi già esistenti in altre sedi.

La grande novità, sbandierata in pompa magna dal Municipio, è quella di aver trovato una sistemazione a quasi tutti gli inquilini delle ex scuole comunali. A non disporre ancora di una nuova sistemazione sarebbero “solamente” il Coro Calicantus, il Teatro dei Fauni, Cambusa Teatro e il Boxe Club. Certamente la situazione è migliorata rispetto a quelle di qualche settimana fa – c’è comunque da chiedersi se senza un referendum saremmo arrivati almeno a questo – ma non è il caso di lasciarsi andare a facili entusiasmi.

Una lettura più attenta mostra infatti come la situazione delle associazioni non sia ancora propriamente rosea. Delle 17 realtà attive nello stabile di Piazza Remo Rossi ve ne sono 5 a cui il Municipio non poteva non trovare sistemazione, in quanto legati a un lavoro pubblico: gli uffici dell’ente regionale di sviluppo di Locarnese e Vallemaggia (con il gruppo del progetto del Parco nazionale), l’operatore sociale, l’ufficio di conciliazione in materia di locazione, la giudicatura di pace del circolo di Locarno e la sezione Samaritani Locarno e dintorni. L’interesse del Municipio di Locarno in merito al tessuto sociale e aggregativo della regione va quindi osservata sul lavoro svolto con le restanti 12 associazioni, di cui 4 ancora senza una sede sostitutiva.

A parte il fatto che delle soluzioni con queste realtà andavano trovate prima di avviare un qualsiasi progetto (indipendentemente dalla bontà o meno dello stesso) – la fretta messa dai 10 milioni della Fondazione Stella Chiara, la quale ha posto un vincolo temporale per l’inizio dei lavori, ha però portato a questo risultato – non si può restare indifferenti di fronte al dato eloquente e inopinabile che vede un terzo delle associazioni senza sistemazione.

Di fronte a una percentuale così alta di senza tetto (si può girare attorno alla torta, ma questo sono) – 33,3% – non si può certo battere le mani al Municipio. Sicuramente se avessimo un terzo della popolazione senza abitazione, senza lavoro, o altro ancora, nessuno si sognerebbe di elogiare i governanti di turno, e men che meno questi potrebbero vantarsi di tali percentuali. Forse stiamo parlando di una situazione meno importante, ma questo dipende dalla sensibilità soggettiva mostrata nei confronti di una realtà culturale, sociale e aggregativa. L’esecutivo locarnese sembra non averne a sufficienza, considerando che sta mettendo in difficoltà chi, per 365 giorni l’anno, permette la diffusione di cultura e una sana aggregazione del mondo giovanile, sacrificando tutto questo sull’altare di un progetto attualmente privo di reali contenuti – se non le tre sale cinematografiche, ad appannaggio però di chi le gestirà e non certo del Festival, che le userà 10 giorni l’anno – nel nome di una presunta necessità del Festival, agitata non tanto su solide basi ma più come uno spauracchio per mettere pressione sull’opinione pubblica.

Mattia Tagliaferri, responsabile sezione Locarnese del Partito Comunista

Lascia un commento