Diliberto, segretario dei Comunisti Italiani, a colloquio con Assad
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L’inganno degli “ispettori internazionali”

La storia delle cosiddette ispezioni internazionali è molto istruttiva. Tutti ricordiamo come gli „ispettori internazionali“ durante la guerra decisa dalla NATO con l’obiettivo dello smembramento della Federazione Jugoslava dettero un esempio da manuale di come si possa ingannare l’opinione pubblica. Non solo si prestarono spudoratamente a omologare come stragi di civili imputate ai serbi diversi fatti d’arme dove i serbi erano innocenti o addirittura vittime (primo bombardamento al mercato di Sarajevo, secondo bombardamento al mercato di Sarajevo, Racak, Srebrenica)  ma si spinsero sino a comunicare alla NATO le coordinate GPS degli obiettivi militari serbi da colpire.

La tattica seguita durante i preparativi della guerra in Iraq fu ancor più raffinata. Gli agenti dei servizi segreti dei paesi occidentali che operarono in Iraq nelle vesti di ”osservatori internazionali”, dopo aver setacciato il paese in lungo e in largo, non avendo trovato traccia alcuna delle armi di distruzione di massa con le quali “la libera stampa” continuava incessantemente a terrorizzare l’opinione pubblica mondiale, decisero di abbandonare improvvisamente il paese dichiarando davanti alle telecamere di essere costretti a farlo, perché le autorità irachene non collaboravano e anzi ostacolavano i loro movimenti. Interrogato dieci anni dopo sulle ragioni che lo avevano spinto a mentire in maniera tanto plateale, il signor Butler, capo degli osservatori internazionali, dichiarò candidamente: “non potevo deludere i miei superiori”.

E che dire oggi dell’operazione di inganno cui si prestano gli osservatori internazionali in Siria? Abbiamo atteso, giorno dopo giorno, il loro verdetto. Eravamo soggettivamente convinti, sulla base di ragionamenti induttivi, che mai e poi mai il governo siriano sarebbe stato tanto sciocco da far coincidere con l’arrivo degli osservatori internazionali l’uso di quelle armi chimiche che, sin dall’inizio del conflitto, esso si era solennemente impegnato a impiegare soltanto contro le truppe straniere se queste avessero tentato di invadere il paese. Ma la nostra non era – come si suol dire – una “certezza matematica”. Per questo attendevamo con ansia il “verdetto” degli osservatori. Ma i giorni passavano e gli “osservatori” tacevano. Già questo loro prolungato silenzio era motivo di dubbio e preoccupazione. A quali enormi pressioni politiche venivano essi sottoposti? Nessuno è in grado dirlo. Ed ecco finalmente con una decina di giorni di ritardo la “notizia bomba”: gli osservatori internazionali dichiarano di aver trovato traccia di sostanze chimiche proibite nei dintorni di Damasco! Che prodezza, che temerarietà! Gli osservatori internazionali confermano dunque, nientepopodimeno… un fatto di cui siamo a conoscenza e che entrambi i partiti in lotta erano concordi sin dall’inizio di denunciare! Una simile “incredibile” notizia è stata accompagnata dalla solita stampa di regime con l’ineffabile commento “…agli osservatori internazionali non era stato assegnato il compito di stabilire la responsabilità dell’uso delle armi chimiche”.

Kafka era solo un dilettante. Una simile assurdità può solo essere spiegata nel senso che i veri responsabili dell’uso delle armi chimiche non possono e non devono venir denunciati.

Saranno governi “democratici” e le agenzie di stampa imboccate dal Mossad, a trarre, dalle scarne dichiarazioni dei miopi osservatori internazionali, le necessarie conseguenze. Giorno dopo giorno, aumentando il proprio “volume di fuoco” le fonti d’informazione hanno lavorato l’opinione pubblica e i “non addetti ai lavori”, cioè la maggioranza della popolazione è convinta che a usare i gas sia stato Assad.

Lontane e indistinte sono le dichiarazioni di Carla Del Ponte, risalenti ad alcuni mesi or sono e subito dimenticate: “tutto fa credere che siano stati i “ribelli” ad usare le armi chimiche”. Quella stessa Carla Del Ponte che compariva tre volte al dì sui teleschermi per condannare la brutalità e le colpe dei serbi e di Milošević dal pulpito di un tribunale NATO con sede all’Aja, viene invece ora sistematicamente oscurata e ignorata dagli zelanti giornalisti dell’impero…

Giuseppe Zambon, editore Zambon Verlag

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