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Libertà è partecipazione: aboliamo il servizio militare obbligatorio

“Abolendo il servizio militare obbligatorio, chi mai accetterà di vestire i panni del soldato protettore della nostra nazione? E come potremo rimediare alle mancate entrate annue della tassa di esenzione versata appunto da chi non presta il servizio obbligatorio? E l’importante ruolo che riveste l’esercito per la nostra coesione nazionale che fine farà?”

Sembrano essere questi i maggiori timori di una parte delle autorità politiche come pure quelli di diversi cittadini elvetici a poche settimane dal voto popolare sull’iniziativa “Sì all’abolizione del servizio militare obbligatorio”.

Eppure, se solo si mettesse in pratica in modo responsabile il titolo della canzone del Signor G, “Libertà è partecipazione”, questi timori verrebbero ben presto spazzati via. Così, in modo semplice, senza necessariamente scomodare tanti intellettuali e pacifisti presenti e passati.

Basta avere nella mente e nel cuore un forte senso di responsabilità educativa verso i nostri giovani, verso la società intera e il gioco è fatto. Infatti, la libertà individuale diventa veramente collettiva se si è pronti a costruire una società basata su valori veri, evitando così di fissare troppi obblighi nella nostra Costituzione.

Ho servito l’esercito svizzero fino al grado di primotenente. Erano ancora i tempi della guerra fredda (quando si pensava che i Sovietici avrebbero potuto attaccarci … o forse gli Americani …). Quanta gente ho conosciuto, ognuno con la propria storia. Molti vivevano male l’imposizione di doversi trovare rinchiusi in una caserma restando sull’attenti inquadrati in formazione senza poter muovere un dito al passaggio del superiore di turno impossibilitati pure a rintuzzare gli attacchi delle zanzare (ancora non erano tigre); cambiandosi dieci volte al giorno la tenuta nel giro di pochi minuti sempre su e giù per le scale della caserma; sparando un sacco di pallottole su bersagli microscopici o antropomorfi per poi dedicarsi alla ricerca dei bossoli da recuperare; facendo la guardia giorno e notte con l’arma carica per impedire ad un fantomatico nemico l’ingresso all’interno del presidio da difendere; e poi aspettando, aspettando tanto, ma tanto tempo, quasi come impersonassero tutti Giovanni Drogo, il protagonista del romanzo di Buzzati, “Il deserto dei Tartari”. Quando ero una recluta anch’io ho vissuto questa imposizione. Poi l’imposizione è diventata scelta dal momento che ho accettato di avanzare di grado. Tutto ciò soprattutto per aver dato retta durante i congedi domenicali ai consigli di persone graduate più anziane, ben posizionate in politica e nel mondo del lavoro. Scelta nel mio caso rivelatasi errata. Durante la scuola ufficiali ero addirittura tentato di andarmene, ma ormai ero invischiato nell’ingranaggio (vedi altra performance del Signor G).

Dopo essermi laureato, mi hanno proposto il comando di una compagnia di reclute ticinesi, non tanto perché fossi Superman o Rambo, quanto piuttosto perché mancava un ufficiale superiore al mio grado. Ho così tentato di rendere il servizio dei miei sottoposti più umano e sensato. Un periodo difficile con i miei superiori, ma ricco di esperienze umane con la truppa.

Eppure … col senno di poi quante altre esperienze avrei voluto vivere al posto di prestare servizio militare! Avrei potuto leggere di più, viaggiare, fare volontariato, insomma, vivere più intensamente i miei anni ruggenti, senza avere a che fare con ordini, armi e appelli.

Visto che dagli sbagli bisognerebbe imparare qualcosa, il prossimo 22 settembre voterò sì all’iniziativa. Voglio credere nella nostra gioventù, aiutandola a fare una scelta veramente libera e responsabile. Ma per essere tale, questa scelta va appoggiata dalle nostre istituzioni, riversando i bilanci miliardari della spesa militare nel miglioramento del sistema educativo della nostra società civile e nell’aiuto concreto alle fasce più deboli e sensibili della nostra società, creando ad esempio delle scuole per volontari che desiderano prestare un periodo di servizio come educatori nei centri giovanili, animatori nelle case per anziani o assistenti nelle case di cura, nell’accoglienza dei profughi e in progetti all’estero. Servizi di cui il mondo del XXI secolo ha veramente bisogno.

In questo modo, molti giovani avranno la possibilità di dedicare una parte del loro tempo servendo liberamente il paese e nel contempo gettando le basi per una coesione (nazionale ed internazionale) più vera rispetto a quella vissuta sotto le armi.

Sfruttiamo dunque l’opportunità che ci viene data da questa iniziativa per fare veramente quadrato attorno ai nostri giovani che in fondo ci chiedono di avere solo un po’ più di fiducia in loro.

Andrea Pizzardi

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