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“Heritage”: un docufilm politicamente scorretto a ridosso della votazione sulla leva obbligatoria

heritage-la-locandina-del-film-281287_mediumIl documentario “Heritage” del regista svizzero David Induni è stato proiettato a Locarno, in occasione della 66esima edizione del Festival del film con una buona affluenza di pubblico all’Auditorium Fevi. Il tema delle armi e del rapporto degli svizzeri con il tiro ha incuriosito in molti, soprattutto pe

rché – guarda un po’ il caso! – il film usciva proprio a ridosso della votazione del 22 settembre prossimo, quando si dovrà decidere se continuare a obbligare i ragazzi a prestare servizio militare oppure rendere facoltativa la partecipazione alla milizia, magari favorendo un volontariato ben più utile alla collettività.

Il film appare del tutto sbilanciato politicamente: solo Jean Ziegler, il noto sociologo marxista ed ex-deputato di Ginevra è stato intervistato per i “critici” al culto delle armi e al mito del fucile d’assalto come tradizione elvetica. Tutti gli altri personaggi interpellati dal registra, da Ueli Maurer a Christoph Blocher, in un modo o nell’altro, esprimevano un pensiero positivo verso la “tradizione”, cioè trasmettevano un sentimento favorevole al militarismo estremista rossocrociato.

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In questo senso il documentario potrebbe anche apparire un modo subdolo per convincere le persone a votare contro l’abolizione del servizio militare obbligatorio, un tabù ancora per molti svizzeri rimasti fermi al palo di una storia patria e di una educazione civica edulcorata e mitizzata che anni di indottrinamento liberale nella scuola hanno imposto.

D’altrocanto a qualcuno è sembrato che le scene pro-armi fossero talmente assurde da ridicolizzare i fautori del tiro. In ogni caso gli svizzeri vengono visti come gli abitanti di un paese di fanatici, facendoci fare una sonora figuraccia presso il pubblico estero. Dal ragazzino estremista che spiega quando è necessario “sopprimere” un avversario, dalla madre piangente poiché il defunto nonno non era riuscito a insegnare a sparare al nipotino, allo storico che esalta il servizio mercenario al soldo delle potenze estere, a un branco di nostalgici dell’era napoleonica che marcia con le divise d’epoca noncuranti del ridicolo, all’ex-ministro dell’estrema destra che loda l’esperienza militare della Confederazione.

Secondo Andreas Arnold nella sua recensione del film per il portale “TicinoLibero” (leggi) scrive: “il documentario riesce a mostrare una realtà importante in Svizzera e, pur mostrando degli esempi estremi e non citando i numerosi incidenti e crimini commessi con le armi, porta lo spettatore a riflettere sull’assurdità della situazione che diventa ancora più attuale in questo periodo vista la votazione sull’abolizione della leva militare obbligatoria in settembre”. Non tutti però sono convinti che la volontà del realizzatore fosse proprio quella. Il rischio, secondo altri pareri percepiti a fine proiezione, è che la gente pensi che i casi più estremi siano appunto solo dei casi estremi e non la regola, questo darebbe al servizio militare obbligatorio un’immagine tendenzialmente positiva proprio come una sorta di garanzia. Insomma David Induni, forse senza saperlo, avrebbe reso servizio alla Società Svizzera degli Ufficiali e al governo nella sua attuale battaglia politica.

E’ davvero così o si tratta invece di un assist alla causa pacifista? Il regista non si sbilancia nelle intervista finora rilasciate. Forse scordando che il compito di un artista e di un intellettuale è quello di essere “partigiano”, come scriveva Gramsci, non quello di fare il finto neutrale. Mancano i registi di una volta, decisamente, capaci di andare contro il potere oppure, dall’altra parte, di difenderne le scelte, ma con coraggio.

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