Il film “Sangue” del grande Pippo Delbono è molto diverso dalle sue opere precedenti, perché indaga il dolore, principalmente quello della scomparsa della madre, più che i consueti temi di denuncia sociale. Dentro il dolore per la madre si muove una riflessione più ampia sulla morte, per terremoto, per terrorismo, per malattia, forse anche delle idee, almeno, tra gli interrogativi posti dal regista. Non si esprimono giudizi storici, né assoluzioni, si esalta la pietà, la pietas, come dimensione umana che lenisce il dolore.
Di questo di discuteva, tra amici italiani, fuori dalla proiezione stampa terminata alle 10.30 alla sala Kursall del Festival di Locarno. Eravamo in cinque, tra noi alcuni comunisti. Altri giornalisti italiani di orientamento culturale socialdemocratico hanno gratuitamente stabilito una del tutto impropria associazione tra la nostra difesa cinematografica del film, legato al tema del dolore, interpretandola come una volontà di esprimere un giudizio storico assolutorio nei confronti del terrorismo.
È evidente che il diverbio si è acceso, essendo nostra precisa volontà non confondere i livelli e attenerci all’opera di Delbono, ritenendo che in nessun modo debba essere oggetto di una strumentale polemica politica, la quale ha per altro l’obiettivo di confondere la storia, mestando nel torbido e gettando in un unico calderone movimento progressista, idee di uguaglianza e derive terroristiche, con il ricercato risultato di difendere la sempre più indifendibile e ingiusta società occidentale contemporanea e i suoi mediocri governi che riducono i diritti e peggiorano le condizioni dei lavoratori.