Elezione popolare del Consiglio federale: sì dai comunisti, no dal centrosinistra

Il prossimo 9 giugno il popolo svizzero sarà chiamato alle urne per decidere sull’iniziativa popolare che chiede di modificare l’elezione del Consiglio federale, cioè del governo. Attualmente il governo elvetico è eletto dai deputati sulla base della regola del consenso: tutti i maggiori partiti del Paese vi sono infatti rappresentanti in un esecutivo che altrove verrebbe probabilmente qualificato di “unità nazionale” cioè dove tutti sono al governo (e nel contempo all’opposizione) in un clima consociativo. Ora, invece, tutto ciò potrebbe venire a cadere: l’iniziativa promossa dall’Unione Democratica di Centro (UDC), il partito populista legato al magnate Christoph Blocher, chiede infatti che sia il popolo svizzero a eleggere direttamente i propri ministri sulla base di un modello maggioritario.

Un’idea di …sinistra!

L’idea di per sé non è nuova e non proviene tradizionalmente dai banchi della destra: da anni se ne discute fra gli addetti ai lavori e spesso tale proposta è stata formulata per via parlamentare, invano, dal deputato del Partito Svizzero del Lavoro Josef Zysiadis, fino al 2007 unico esponente comunista nel legislativo elvetico. Peraltro ciò è coerente con la storia dei comunisti in Svizzera, i quali hanno sempre sostenuto la necessità di rafforzare ed estendere gli elementi di democrazia diretta già presenti nell’ordinamento rossoscrociato.

Nasce il …PUSS

Tutti i maggiori partiti svizzeri sono però contrari alla nuova proposta. Inutile dire che ne va dei loro interessi partitocratrici di gestione del Paese dove ci si mette d’accordo e ci si divide a vicenda la torta. Sembra quasi che la Svizzera sia retta da un regime a partito unico: il Partito Unico del Sistema Svizzera (PUSS), con al suo interno leggere varianti ideologiche (una più conservatrice, una più liberale e una un po’ più sociale), ma in cui, in fondo, tutti sono concordi ad esaltare il neo-corporativismo elvetico e a impegnarsi per non mutarlo di una virgola. Un sistema che prevede il neo-corporativismo nella società, il consociativismo nelle istituzioni politiche elettive e la “pace del lavoro” (cioè di fatto il divieto di sciopero sindacale e di serrata padronale) in ambito economico. In Ticino, oltre agli scontati sostegni di UDC e Lega dei Ticinesi, l’unica formazione politica cantonale che si apertamente schierata per il Sì è il Partito Comunista. A onor del vero anche singoli esponenti socialisti, come il politologo Nenad Stojanovic, hanno fatto questa scelta, ma si tratta di nette minoranze.

No all’immobilismo

Un sistema, quello consociativo, che proprio non piace ai comunisti, l’unica forza di sinistra a votare favorevolmente alla riforma. Già nel 2009 in occasione di un loro Congresso Cantonale era stata approvata una risoluzione in cui si diceva: “Di fronte alle crescenti crisi internazionali che si riverberano nel quadro europeo e quindi anche svizzero, il Partito Comunista (…) è chiamato a promuovere, a partire dal Ticino, il superamento dell’organizzazione consociativa di gestione del potere tipicamente svizzera: creare dunque situazioni di scompiglio dello status quo borghese, in cui partitocrazia e collegialità rendono la società immobile è l’invito che questo Congresso lancia agli organi dirigenti del Partito. (…) Le crescenti tensioni sociali, politiche ed economiche imporranno de facto il superamento dell’attuale schema politico che vede dalle amministrazioni locali all’esecutivo nazionale il formarsi di strutture di governo che accolgono elementi provenienti dall’intero (o quasi) schieramento politico. Si pone cosi la necessità di iniziare la costruzione di una effettiva alternativa all’attuale sistema. Tale compito non può che essere assolto da un vasto raggruppamento che raccolga intelligenze e sensibilità diverse e che si riconosca specificatamente nell’alternativa al quadro attuale”. L’iniziativa dell’UDC non scardina questo sistema, ma perlomeno lo indebolisce è il giudizio dei marxisti ticinesi. Ma cosa risponde Massimiliano Ay, segretario del Partito Comunista, a chi loda il sistema di compromesso elvetico e ritiene l’iniaziativa dell’UDC solo un modo per rafforzare tendenze “berlusconiane”? “Oggi viviamo in una società retta da un neo-corporativismo istituzionale basato su un sistema sociale di compromesso interclassista che garantisce il potere dei partiti storici e che è essenziale per castrare ogni lotta e ogni trasformazione riformatrice. Vi sono certamente punti deboli nell’iniziativa come il rischio di ingenti flussi di denaro a favore di certi pseudo-capi-popolo, tuttavia questi problemi di fatto esistono già oggi e non scompariranno mai finché il libero mercato reggerà tutto. Compito di chi, come noi, concepisce la sinistra come un movimento di trasformazione dello status quo borghese è quello di sfruttare le contraddizioni del sistema di governabilità e spingere su soluzioni di rottura, ad esempio evitando che i ministri socialisti siano eletti dalla destra che naturalmente opterà per candidati talmente moderati che di socialista non hanno nulla”. Su Facebook gli fa eco una voce del mondo culturale: Jean Olaniszyn del Centro “Il Rivellino” di Locarno spiega: “è il popolo che deve eleggere i suoi rappresentanti e rompere il sistema che garantisce il potere, attraverso i partiti storici, a club ben definiti con l’elezione di burattini da loro scelti. L’attuale compromesso elvetico sa tanto di inciucio!”.

La mediocrità al potere?

Il vantaggio dell’attuale sistema – scrivono i comunisti – per i Consiglieri federali “è che l’opposizione in parlamento – già scarsa a causa del sistema consociativo – viene ulteriormente mitigata perché gli uni hanno eletto il ministro degli altri e tutti stanno al governo assieme. La forma attuale d’elezione ha dei limiti sostanziali: non portano sempre al governo le persone con le competenze migliori ma i più ‘filoni’, i più moderati e i più conformisti; rendono il gioco d’opposizione più debole dando un potere fortissimo alle lobby trasversali che possono influenzare le votazioni (soprattutto nei partiti di centro-destra ma in parte anche in PS/Verdi)”. Per questo l’invito a dare al popolo la possibilità di decidere i propri ministri attuando anche qui i precetti della democrazia diretta che peraltro già è attiva per eleggere i governi cantonali. Insomma c’è anche un motivo di sinistra per dire sì all’iniziativa anche se questa è etichettata di destra.

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