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L’avventura militare della Francia in Mali nasconde il saccheggio delle riserve di uranio!

Il presidente francese, esponente del Partito Socialista, François Hollande, ha chiesto il 25 settembre 2012 all’ONU di affidargli un mandato internazionale per invadere il Mali. Nei giorni scorsi Parigi ha dato avvio alla guerra nella sua ex-colonia. Il nord del paese africano sarebbe infatti occupato da ribelli, dei “terroristi” secondo il gergo dell’Eliseo, e ciò secondo Hollande sarebbe naturalmente “inammissibile”. Peccato che la Francia non trovi inammissibile il terrorismo in Siria e ne sostenga i golpisti, e peccato che sempre la Francia non avesse trovato “inammissibile” l’occupazione del nord della Costa d’Avorio da parte di un movimento di ribelli sanguinari dal 2002 al 2011. La differenza fra il Mali e la Costa d’Avorio è che i ribelli ivoriani erano alleati di Alasse Ouattara, agente di Parigi in loco ed ex-funzionario del Fondo Monetario Internazionale (FMI). Insomma: altro che democrazia e diritti umani, sempre più usati a geometria variabile: siamo sempre di fronte all’ipocrisia e all’arroganza della Francia colonialista nonostante sia in mano alla socialdemocrazia! D’altronde fu la socialdemocrazia a votare i crediti di guerra e favorire così la prima guerra inter-imperialista mondiale… la storia quindi si ripete, questa volta creando uno scenario rischioso per l’intero continenente africano.

Lo zampino francese dalla Libia al Mali

La crisi nel Mali è dovuta alle ribellioni in mano a gruppi religiosi separatisti che sono riusciti a prendere il controllo di una parte del territorio nazionale. Si tratta di una conseguenza della guerra della NATO, voluta soprattutto dalla Francia, contro la Jamahiria Araba di Libia Popolare e Socialista di Muammar Gheddafi, lo scorso anno, che ben lungi dal portare la democrazia liberale in quel paese, l’ha fatto sprofondare in una guerra civile, peraltro auspicata dall’Occidente secondo la massima del “dividi et impera”. La distruzione della Libia ha comportato non solo il rafforzamento delle bande armate islamiste, peraltro foraggiate proprio dall’Occidente nell’ottica di indebolire Gheddafi, ma anche – a seguito dell’implosione dell’esercito libico – alla proliferazione di ogni tipo di armamento nell’intera regione del Sahel senza alcun tipo di controllo. E’ noto, infatti, che fra i ribelli del Mali che ora la Francia vuole combattere, vi sono dei veterani della guerra in Libia del 2011, che allora erano pagati e armati proprio da Parigi.

Ma chi sono i ribelli?

Nel gennaio 2012 il nord del Mali cade sotto controllo dei ribelli islamisti, che un anno prima erano stati foraggiati dalla Francia. Essi commettono crimini nel nome della “sharia” e si spingono avanti nei conflitti armati con l’obiettivo di unire tutti i gruppi integralisti sparsi nell’area dopo la “fine” ufficiale dell’invasione della Libia. L’obiettivo dichiarato è trasformare l’intero Nord Africa in una nuova Afghanistan. Questo giustificherebbe la presenza militare occidentale e la strategia della “guerra permanente”, necessaria per poter continuare il saccheggio delle risorse naturali di cui l’Occidente ha bisogno per poter mantenere il suo livello di consumismo. Insomma: in Mali stiamo vedendo all’opera, con lo stesso identico scenario, dei pompieri che sono nel contempo piromani.

E cosa dice la sinistra?

Escludendo il Partito Socialista Francese (PS), naturalmente ubbidiente dietro al suo Presidente e quindi accanito sostenitore della guerra e della missione neo-colonialista, possiamo solo andare a cercare qualche voce dissidente nel “Front de Gauche” (FdG), la coalizione che unisce comunisti, ecologisti e socialisti di sinistra, il cui leader Jean-Luc Mélenchon si è espresso contro la missione militare senza se e senza ma. Tuttavia il FdG non è unanime: al suo interno il Partito della Sinistra (PG), scissione a sinistra del PS, contesta il fatto che la decisione di entrare in guerra sia stata decisa da Hollande senza consultare il parlamento e senza attendere il nulla osta del Consiglio di sicurezza dell’ONU. Ma il PG non chiede la fine delle operazione belliche: “ormai sono iniziate” affermano vergognosamente l’ala massimalista della socialdemocrazia! Il PG chiede però che le operazioni servano solo a impedire che i terroristi conquistino altre città del Mali, mentre chiede che i militari francesi si astengano (bontà loro!) dal riprendere il controllo della parte Nord del paese. Una posizione imperialista “soft”, giustifcata da un presunto “pragmatismo”. Non molto diversa la posizione del Partito Comunista Francese (PCF), il cui opportunismo sotto la guida di Pierre Laurant non ha fatto che aumentare a dismisura. Gli eurocomunisti chiedono il dibattito parlamentare e invitano a inserire la guerra all’interno dei parametri dell’ONU, dando priorità a una missione dell’Unione Africana e non ritiene che la Francia “ex-potenza coloniale non può apparire come volenterosa di proseguire le pratiche dominatrici”. Una posizione molto debole quella del PCF che ha suscitato l’ira dei militanti anti-imperialisti e pacifisti: è noto infatti che nel PCF ci sono numerose sezioni in aperto contrasto con la direzione del Partito, e anche il Movimento dei Giovani Comunisti (MJCF) ha espresso posizioni più articolate rispetto a Laurent, che in politica estera ha dimostrato grande pressappochismo. In particolare si segnala della sezione comunista del 15° dipartimento di Parigi che in una nota diramata anche all’estero chiede non solo la fine della guerra, ma il ritiro immediato dei soldati francesi all’estero, l’inizio di colloqui di pace con tutti i belligeranti (tutti!, qui sta la differenza con Pierre Laurent che chiude la porta ai “terroristi”) e rivendica l’uscita della Francia dalla NATO, una proposta che la direzione del PCF non fa ormai più, talmente ammaliata dall’europeismo. Di diverso avviso rispetto ai dirigenti del PG e del PCF, il Partito Comunista Operaio di Francia (PCOF), di orientamento “enverista” e anch’esso membro del FdG, il quale in un comunicato ha la presenza di questi gruppi islamisti in Mali è dovuto “all’esistenza di profondi problemi sociali, economici e politici che i regimi al potere in Mali non hanno risolto quando non li hanno direttamente aggravati con la loro gestione del paese. Questo significa che una soluzione militari, a fortiori un intervento militare straniero, non risolverà le cause dei problemi, anzi!”. Il PCOF si schiera con le forze patriottiche, democratiche e anti-imperialiste del Mali che hanno rifiutato che il governo francese metta il naso negli affari interni al loro Paese e invita Hollande a finirla, una volta per tutte, con la politica coloniale della cosiddetta “françafrique”. Durissimo contro Hollande anche il Nuovo Partito Anticapitalista (NPA) che dichiara non solo illegittima la missione militare, ma che denuncia come burattino dell’imperialismo anche il governo del Mali.

Si muove anche il Belgio

E nel frattempo anche il governo belga, immancabilmente nelle mani della socialdemocrazia guerrafondaia, decide di spiegare le sue forze in Africa inviando mezzi e soldati a sostegno del regime del Mali contro gli islamisti. L’unica forza politica che in Belgio vi si oppone è il Partito del Lavoro (PTB), una formazione post-maoista in enorme ascesa negli ultimi mesi: per il PTB “la pace, la stabilità e lo sviluppo non possono avere possibilità di riuscita se non attraverso iniziative estremamente prudenti, sostenute da una larga maggioranza e principalmente africana”. L’intervento della Francia, sostiene il responsabile esteri del partito, Bert De Belder, “non è evidentemente disinteressata: il Mali possiede miniere d’oro e di uranio, utilizzato per l’energia nucleare francese”.

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