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Dal Niger al Gabon: l’Africa in subbuglio. Tra colpi di Stato e interferenze occidentali, prosegue il nuovo riscatto africano

L’estate del 2023 si è rivelata particolarmente calda per l’Africa occidentale, percorsa da una serie di turbolenze geopolitiche dense di conseguenze per l’intero continente. Il colpo di Stato in Niger, la cui giunta militare si è immediatamente avvicinata a quelle al potere da alcuni anni in Burkina Faso e in Mali, è stato seguito da un ulteriore golpe in Gabon. Quali sono le ragioni e le implicazioni di questi avvenimenti sul piano internazionale? A quali interessi rispondono tali repentini cambi di governo? Quali prospettive apre al continente africano l’arrivo al potere di queste giunte militari? In questo articolo, ci proponiamo di fornire alcune chiavi di lettura per rispondere a tali cruciali domande.

Niger: la popolazione esige la partenza delle truppe francesi

Dopo il colpo di Stato di fine luglio, la giunta militare sta cercando di normalizzare la situazione in Niger. Il Consiglio nazionale per la salvaguardia della patria (CNSP), che ha assunto il potere dopo l’estromissione del presidente Mohamed Bazoum, ha nominato un governo ad interim sotto la guida di Ali Lamine Zeine, un economista già ministro delle finanze tra il 2003 ed il 2010. Lo spazio aereo, chiuso da fine luglio, è stato recentemente riaperto al traffico, mentre la giunta ha avviato un dialogo con la Comunità degli Stati dell’Africa dell’Ovest (ECOWAS), cui è stata però ribadita la contrarietà ad un ripristino della situazione precedente al golpe.

A fronte di questa situazione, l’ECOWAS ha alzato il tiro, non limitandosi ad imporre sanzioni, ma minacciando un intervento militare per rimettere al governo il presidente deposto. La comunità dell’Africa occidentale ha richiesto peraltro il sostegno dell’Unione europea, i cui ministri della difesa – riuniti in Spagna a fine agosto – ne hanno accolto una delegazione, espresso pieno sostegno alle misure adottate nei confronti del Niger.

All’interno del paese, prosegue però l’offensiva anticoloniale lanciata dalla giunta militare, che ha revocato il visto diplomatico dell’ambasciatore francese e ha richiesto il ritiro dei 1’500 soldati transalpini di stanza nella capitale Niamey. La popolazione nigerina sostiene con forza queste misure, come dimostra la grande partecipazione alla manifestazione del 26 agosto che ha riunito circa 20mila persone in sostegno al CNSP, a nome del quale si è espresso il colonnello Ibro Amadou, che ha dichiarato: “la battaglia non si fermerà se non quando non ci sarà più alcun militare francese in Niger”. L’appello sembra essere stato colto, come dimostrano le manifestazioni popolari tenutesi ad inizio settembre di fronte alla base “Charles de Gaulle” di Niamey per invocare la partenza delle truppe francesi, ancora rifiutata però dal governo di Parigi.

Alle porte della base francese di Niamey si sono radunate migliaia di persone.

Se l’intervento militare dell’ECOWAS non è ancora scattato, complici con ogni probabilità le reticenze di vari paesi della regione (Algeria in primis), la giunta militare sembra essere dunque determinata a procedere per la propria strada. Una strada la cui destinazione sembra inquietare notevolmente il governo francese, ma non solo: se l’Esagono dipende in modo importante dall’uranio nigerino per la propria industria nucleare (le cui esportazioni sono state ora bloccate), anche gli USA non dormono sonni tranquilli. Il futuro dei 1’100 soldati americani stanziati nel Paese (dove gli USA dispongono della loro seconda più grande base africana) non è infatti assicurato.

Verso un intervento militare? L’UE invia nuove truppe nel golfo di Guinea

Da alcuni giorni si rincorrono le voci relative al ridispiegamento di forze occidentali nella regione, che potrebbero preludere al lancio di un’operazione militare sotto l’egida dell’ECOWAS. La giunta militare nigerina ha denunciato l’arrivo in Senegal, Costa d’Avorio e Benin di mezzi e forze militari francesi, a probabile supporto di un intervento militare di questi paesi contro il Niger. Malgrado le smentite del presidente francese Emmanuel Macron, il commissario dell’ECOWAS per le questioni di sicurezza Abdel-Fatau Musah ha dichiarato quanto segue: “Abbiamo deciso che questo colpo di Stato è uno di troppo per la regione. Questa volta lo fermeremo. Stiamo tracciando una linea nella sabbia. Abbiamo anche deciso un D-Day, ma non riveleremo la data”.

I servizi segreti russi hanno inoltre svelato un piano americano per eliminare i dirigenti della giunta militare in Niger attraverso un’operazione condotta dalle forze speciali dislocate nella regione. Il comando USA ha peraltro iniziato il trasferimento delle truppe di stanza in Niger dalla base di Niamey a quella di Agadez, nel nord del Paese, come “precauzione” a fronte delle proteste svoltesi nella capitale. Se non vi è certezza del lancio effettivo di un intervento militare su larga scala, è però chiaro che la situazione sul terreno rimane tesa e la stessa giunta nigerina ha voluto adottare una serie di precauzioni, accogliendo sul proprio territorio forze militari di Burkina Faso e Mali, a disposizione per tutelare la sovranità del Niger in caso di aggressione esterna.

L’Unione Europea si appresta a rafforzare il proprio dispositivo militare nella regione.

Il ruolo strategico dell’Africa occidentale e la volontà occidentale di mantenervi un controllo saldo e stabile vengono peraltro confermati da altri avvenimenti recenti. La stampa tedesca ha in effetti annunciato pochi giorni fa il probabile lancio di una nuova missione militare europea nella regione: utilizzando come pretesto la lotta al terrorismo jihadista (contro cui tutte le missioni precedenti hanno ottenuto ben poco), l’UE vorrebbe dispiegare già a partire da quest’autunno dei propri soldati in Costa d’Avorio, Ghana, Togo e Benin. Guarda caso, proprio nella fascia di paesi affacciati sul golfo di Guinea che confinano con le tre nazioni in cui dei colpi di Stato hanno portato al potere delle giunte militari di matrice anticoloniale. Insomma, se l’ECOWAS non dovesse decidersi ad intervenire per conto proprio, non è da escludere che la presenza di truppe UE possa fornire un “incoraggiamento” in tal senso (ad esempio tramite la fornitura della copertura aerea), o quantomeno un avvertimento per gli altri paesi della regione a non tentare di seguire la via intrapresa da Mali, Burkina Faso e Niger. Come ci insegna la storia, quando il controllo politico-economico non basta più a tenere in riga i popoli colonizzati, l’imperialismo sa servirsi anche del bastone.

Gabon: un colpo di Stato filo-USA?

D’altra parte, l’atteggiamento ambivalente dei paesi occidentali nei confronti dei colpi di Stato in Africa occidentale è rivelatore dei tentativi di riallineamento che lo stesso imperialismo sta compiendo per mantenere la propria egemonia nella regione. Se il golpe in Niger è stato unanimemente condannato da USA e UE, che hanno adottato sanzioni e che ora vogliono dislocare nuove truppe a ridosso del paese, ben diversa è stata la reazione al colpo di Stato che ha avuto luogo in Gabon a fine agosto. L’alto rappresentante UE per la politica estera Josep Borrell ha ad esempio dichiarato che “i colpi di Stato non sono una soluzione ma non va dimenticato che in Gabon, prima, ci sono state elezioni piene di irregolarità. Ci sono colpi di Stato militari e colpi di Stato istituzionali in cui non c’è bisogno di usare armi. Ma se trucco le elezioni per arrivare al potere, anche questa è una maniera irregolare per arrivare al potere”. Insomma, quando fa comodo all’Occidente, i colpi di Stato non sono poi così ingiustificati. Naturalmente questo non è il caso del Niger, ma sembra essere quello del Gabon, dove gli occidentali sembrano non avere nulla da temere, come ammette lo stesso Borrell: “la situazione è del tutto diversa. Non credo ci siano motivi per pensare a evacuazione”.

Benché secondo alcuni osservatori il colpo di Stato in Gabon abbia inferto “un altro colpo alla Françafrique”, non va sottovalutata la possibilità che esso abbia costituito un “golpe bianco” architettato dall’imperialismo per mantenere la propria stretta sul paese. Come riporta l’Antidiplomatico, il canale russo Rybar ha infatti messo in evidenza gli stretti legami economici (e probabilmente anche politici) con gli USA del leader del colpo di Stato e capo della Guardia Repubblicana, Brice Oligui Nguema. Quest’ultimo, ormai divenuto presidente ad interim, non è d’altronde esterno al sistema di potere di Ali Bongo, il capo di Stato deposto dal golpe, di cui Nguema è cugino. Lo stesso leader dell’opposizione Albert Ondo Ossa ha descritto il golpe come un “affare di famiglia”, una “rivoluzione di palazzo” con l’obiettivo di mantenere al potere il clan dominante.

Non è ancora del tutto chiaro l’orientamento della giunta guidata da Brice Oligui Nguema.

Ciò non ha impedito alla popolazione gabonese di festeggiare la deposizione di Bongo, da tempo criticato per aver diffuso la corruzione nel paese e per aver mantenuto una posizione troppo accondiscendente nei confronti di Parigi. Viste le reazioni occidentali, che non hanno adottato sanzioni, né evacuato i propri cittadini dal Paese, vi è però da chiedersi se quanto avvenuto in Gabon possa essere paragonato agli avvenimenti di Mali, Burkina Faso e Niger. Multinazionali americane come il gruppo energetico Assala hanno d’altronde confermato di non essere state toccate dal golpe e di poter continuare ad operare senza problemi. Il nuovo ministro del petrolio, Marcel Abeke, è d’altronde un ex dirigente della compagnia mineraria francese Eramet.

Ma perché un generale filo-americano avrebbe rovesciato un presidente filo-francese? Secondo l’Antidiplomatico, “il governo statunitense ritiene che le autorità francesi non siano più in grado di proteggere efficacemente gli interessi dell’Occidente collettivo, compresi gli Stati Uniti, sul territorio sotto il loro controllo. Pertanto, Washington ha deciso di prendere in mano la situazione e di prendere l’iniziativa dai francesi”. Per un paese come il Gabon, ricco di risorse minerarie (oro, diamanti, manganese, uranio, ecc.) ma soprattutto di petrolio (che rappresenta quasi il 40% del PIL nazionale), ciò significa che la potenza guida dell’imperialismo euro-americano sia disposta a prendere le redini della situazione per impedire uno slittamento verso posizioni anticoloniali come quelle diffuse nel Sahel.

Una tendenza di lungo periodo chiara da tempo

Per chi segue l’attualità internazionale (come il nostro portale), questi avvenimenti non stupiscono in modo particolare. Già lo scorso anno segnalavamo come la nuova ondata di colpi di Stato apriva la prospettiva di una seconda decolonizzazione del continente africano, portando al progressivo collasso del neocolonialismo francese basato sul controllo politico, militare ed economico di svariati paesi dell’Africa occidentale. Sta invece accadendo ciò che i comunisti – che in questa fetta di mondo sono una forza non secondaria – avevano indicato e auspicato. In un’intervista da noi pubblicata due anni fa, il secondo vicesegretario del Partito Comunista Sudafricano (SACP) Chris Matlhako sottolineava come “si dovrebbe coltivare una relazione unica simile a quella dell’America Latina tra i militari e la grande maggioranza del popolo dei paesi del continente ancora sotto il giogo del neocolonialismo, un nesso civico-militare che agisca in nome e nell’interesse della maggioranza del popolo e nel perseguimento degli obiettivi differiti di liberazione nazionale”. Proprio quello che sembra accadere nel Sahel, dove delle giunte militari sostenute da un forte consenso popolare riescono a sovvertire sistemi di potere che negli ultimi decenni hanno mantenuto un forte vincolo neocoloniale con le vecchie (e le nuove) potenze dominanti. Ciò permette di capire come mai in alcuni Paesi della regione, come Ruanda, Camerun e Guinea-Bissau, i governi abbiano proceduto nelle ultime settimane ad ampie purghe ai vertici dei propri eserciti, temendo con ogni probabilità di essere vittima di eventi come quelli visti nel Sahel.

La portata di questi eventi è stata ben sintetizzata da Giacomo Marchetti su Contropiano: “In un contesto in cui la democrazia è solo una formula superficiale e le elezioni sono spesso una partita truccata; dove i movimenti per un cambiamento di orientamento sono stati duramente repressi nel sangue; ed in cui l’”aiuto occidentale” contro le bande dell’estremismo islamico non ha sortito nessun effetto, si è concretamente prodotta una rottura degli assetti politici attraverso golpe militari che hanno trovato un notevole sostegno popolare. Eventi che hanno segnato l’inizio di processi di transizione in cui la presenza militare dell’ex colonizzatore – la Francia, ma non solo – è apparsa subito come una delle contraddizioni principali ed una mutilazione della propria sovranità. Le difficoltà di Francia – della intera UE – e Stati Uniti nel gestire questa crisi sono lo specchio del piano inclinato che ha imboccato l’Occidente in Africa. La partita che si sta giocando in Niger, quindi, va oltre la sua proiezione regionale ed oltre il solito equilibrio tra grandi potenze”. Una partita, aggiungiamo noi, che riguarda la costruzione di un ordine mondiale multipolare, cui l’imperialismo tenta con ogni modo di opporsi e nel quale l’Africa giocherà però un ruolo sempre più cruciale.