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Aggregazioni comunali: accentramento del potere al servizio del neo-liberismo?

Non c’è da stupirsi se la gente quando vota per le fusioni, grazie ai raggiri di parole nelle informazioni di voto,  ignora che: non c’è valore decisionale, a discrezione si fanno fusioni coatte, se un voto non è positivo si fa ripetere, la legge è anticostituzionale e permette di disfare tutto a piacimento. Ma perché questa corsa alle fusioni e a quale scopo?

Le fusioni arrivano dall’alto, si ispirano a scuole di pensiero che lavorano dietro le quinte (per es. Avenir Suisse) e perseguono disegni per ottimizzare lo sfruttamento del territorio nell’interesse dell’economia continentale europea (urbanizzazioni, suddivisione in macro regioni). Non nascono dal basso, dalla sovranità popolare, usata come slogan populista, ma non rispettata nella sostanza. Infatti sono legate a sottili giochi di potere, atti a rafforzare i partiti dominanti (spartizione dei centri?) e il sistema delle deleghe, cosa contraria allo sviluppo della partecipazione diretta. Gli Indignados spagnoli de la Puerta del Sol affermano che “la democrazia appartiene al popolo, ciò significa che il governo è composto da ciascuno di noi”.  La fragilità della democrazia è evidente. Le astuzie del potere molto meno. Con la modifica delle leggi, sempre più discrezionali (in Italia abbiamo le leggi “ad personam”), si applicano i cambiamenti in piccole dosi  trasformando il comune in vera e propria SA, società per azioni nelle mani dei nuovi manager, da svendere e acquisire. Il metro è il moltiplicatore, è il Dio soldo: in pratica il voto torna ad essere per censo come ai vecchi tempi. Nell’azienda Comune il cittadino scade a utente, che consuma prodotti offerti anche se non richiesti, sopporta effetti che non causa ma gli cadono addosso, come dicono spesso i politici “inevitabilmente”.

Senza più vere assemblee decisionali appropriate, vicine al territorio e al popolo, ma con inutili commissioni di quartiere, alla cementificazione e alla speculazione edilizia non ci si oppone ormai più come comuni con poteri decisionali, ma come associazioni docili funzionali al nuovo sistema. Ogni riflessione sugli sperperi, sui bisogni primari essenziali o sul lavoro sarà destinata a restare artificioso dibattito inutile, giacché il Comune non è più assemblea politica ma impresa. Le fusioni avvengono a cascata per annullare la resistenza, con ampia propaganda a spese dei contribuenti (i difensori dei comuni si devono assumere spese per ricorsi d’interesse collettivo, petizioni, informazioni ecc. come avvenuto per es. a Cadro), con l’appoggio acritico dei media (che bontà loro concedono lo spazio dei lettori, mentre sulla stampa nessun discorso veramente libero sembra resistere), assecondando gli interessi di un mercato ingordo e senza etica. Il voto consultivo, dalla parola ingannevole come usano gli “spin doctor” (esperti nella manipolazione della comunicazione) nel preparare la propaganda, prefigura una falsa pilotata democrazia: si dà l’illusione del dibattito e dell’espressione di un voto, ma le decisioni sono in altre poche salde mani.

Un imprenditore estero ha affermato che in Svizzera c’è troppa democrazia. In una missiva il Consiglio di Stato conferma la necessità di costituire i famosi centri urbani e le “leadership” possibilmente senza ostacoli. Perché si dovrebbe ostacolare una riforma così benefica? In realtà la Svizzera è al vertice fra i paesi innovatori nel mondo e la sua democrazia è un fattore determinante. Con le fusioni si concentrano i servizi (la Posta pareva essere un servizio efficiente ma si è dovuta razionalizzare) e si prendono di mira i beni pubblici. Si sciolgono le “aziende comunali”, come quelle dell’acqua potabile che in genere sono efficienti e gestite in modo sano.  L’acqua costa meno a Cadro che a Lugano, perché la tassa base è sociale, mentre nel comune urbano si gioca in grande sui costi fissi, si fan pagare i vasi dei fiori che sporgono sul suolo pubblico, si multa chi foraggia i colombi, si regolamenta l’altezza degli alberi … ma si dà ampio sfogo alla cementificazione e alla costruzione di “oggetti di lusso” colonizzando il bene pubblico del territorio. In tempi di crisi e di bancarotta di banche e nazioni, c’è da dubitare che le bolle nostrane assecondate dalle fusioni, nascondano in realtà una corsa al denaro e ai beni pubblici un poco sospetta. E’ più ragionevole lasciar gestire localmente le aziende di provata utilità pubblica (per es. l’Azienda elettrica di Airolo / Calcaccia) ma il Cantone vuole centralizzare benché siano evidenti le tendenze a gestire male (vedi AET) usando il denaro in modo improprio, facendo assurdamente pubblicità e snaturando le funzioni di servizio pubblico di queste aziende, che agiscono nel mercato pronte per la completa “liberalizzazione” nel caso anche dell’acqua (vedi AIL). La politica delle aggregazioni facilita come si vede la via alle privatizzazioni, ciò che ad esempio i socialisti non vorrebbero. D’altra parte c’è  chi loda l’impegno di cooperazione nei paesi del sud per promuovere la costituzione di piccoli comuni locali. Perché allora anche i socialisti appoggiano le fusioni e sono favorevoli anche a quelle coatte? Fanno eccezione i socialisti di Cadro, che hanno difeso una comunità sana a tradizione sociale costruita in oltre 80 anni di governo del Comune. Questo è in fondo il senso che hanno i Comuni: costituire capillarmente la bio-diversità politica nel Cantone e far emergere i veri bisogni. All’inizio del secolo anche Cadro promosse una ferrovia: la LCD (Lugano Cadro Dino) e le azioni della sua società furono persino acquistata dalle famiglie locali. E’ un esempio di collaborazione intercomunale, tuttora fondamento costituzionale. Le fusioni sono ben altro discorso spiega Eros Ratti in “La collaborazione intercomunale nel Ticino di ieri e per il domani” (testo a disposizione). Con esse si instaura un regime di competizione fra i comuni (come desidera il Consiglio di Stato) dove il piccolo è mangiato dal grosso. Sparisce la solidarietà intercomunale o meglio il flusso naturale delle risorse. Similmente ai conglomerati economici si consolida un liberismo dei potenti. Questa piccola analisi della situazione ci porta a concludere che curiosamente il modello della Svizzera si addice meglio alla collaborazione e alla cooperazione, specie di questi tempi. Nel Canton Vaud l’iniziativa autonoma dei comuni è traducibile in forme di collaborazione stabilite per legge: associazioni, federazioni, agglomerati  formati democraticamente da più comuni, e quando si concordano dal basso le fusioni, esse avvengono solo con voto decisionale unanime di tutti i comuni coinvolti, quindi senza coazioni né alcun intervento del Cantone.

Il nome comune è forse diventato scomodo dopo il fallimento di un certo comunismo reale?

 

Gian Marino Martinaglia

1 Comment


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    Patrizio ha detto:

    Cose più che evidenti, basta avere un po’ di buonsenso senza dover essere per forza essere un politico per capire tutto l’andazzo delle aggregazioni in Ticino. Altro capitolo cono chiaramente le aggregazioni dei comuni di montagna dove vi è un forte calo di popolazione; per il resto il centrismo non porta altro che più potere a chi già lo detiene a scapito della comunità……..

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