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Il muro di razzismo infrange i colori di Milano

Milano, un autobus. Salgono due controllori e immediatamente si dirigono verso quattro donne musulmane, verificano i loro biglietti, poi scendono alla fermata successiva, non curandosi degli altri passeggeri.

Se si crede che Milano non sia una città razzista, ci si potrebbe convincere che ciò sia solo un caso, ma poi ci si scontra con altri episodi simili.

Sulla metropolitana: c’è solo un posto libero accanto ad un africano, mi accorgo che molti sono in piedi, ma che nessuno si siede vicino a lui. È stato ancora più fastidioso notare che non appena si è liberato un altro posto, molti hanno cercato di occuparlo.

Ma non è finita.

Lorenteggio, un’anziana dell’Europa orientale, china su se stessa all’angolo del marciapiede chiede l’elemosina tenendo un berretto in attesa delle offerte. Passano alcuni ragazzi che per scherno raccolgono le monete e gliele gettano addosso, con parole sgradevoli e cattive.

Appare evidente che una parte della popolazione vive gli stranieri con disagio, fastidio e ostilità. Non percepisce la ricchezza umana, culturale, di suoni, di profumi, di colori che le donne e gli uomini del resto del mondo hanno portato in questa città. Eppure io, e non solo, trovo bello ascoltare parole, accenti e canzoni di terre lontane, musiche zigane e seguire rapita il profumo dei piatti speziati di altre tradizioni.

C’è purtroppo chi questa pluralità non l’apprezza e intravede in ciò solo un pericolo, una minaccia per la sicurezza e il carattere identitario della città, che ormai da tempo ha cambiato forma e struttura, anche perché l’identità non è mai un monolite immutabile, ma il frutto di generazioni che cambiano, migrano, si riconoscono in ideali e valori differenti.

 

Jessica Di Pietrantonio, studentessa ticinese a Milano, militante del Sindacato Indipendente degli Studenti e Apprendisti (SISA)

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