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Prepariamoci all’attacco frontale alle condizioni di lavoro nell’industria

Gli operai della Trasfor durante lo sciopero
Gli operai della Trasfor durante lo sciopero

Poco più di un anno fà, la Trasfor di Molinazzo di Monteggio ha lanciato l’ondata di attacchi nei confronti degli operai elettromeccanici, metalmeccanici, elettronici e tessili. Tutto d’un tratto, l’indebolimento dell’euro ed in generale la questione cambio, diventa un fattore essenziale della stabilità finanziaria di una ditta. Lo spauracchio della crisi è subito sbandierato, si tratta ancora una volta di per poter attaccare i lavoratori, chiedendo il sacrificio di lavorare due ore in più a gratis o di essere pagati in euro.

Il direttore dell’Aiti (Associazione industriali ticinesi) chiede la “simmetria de sacrifici”. Triste espressione, già usata da Marina Masoni ai bei tempi degli sgravi fiscali per i ricchi. In questo caso si intende che, viste le perdite sugli utili delle imprese – ossia che hanno guadagnato meno miliardi che l’anno scorso – a causa dell’indebolimento dell’Euro, devono essere i lavoratori ad offrire tempo di lavoro gratuitamente all’azienda.

Chi, a suo tempo, ha pensato che questo stratagemma sarebbe stato solo un episodio isolato deve ormai ricredersi. Sono ormai, solo in Ticino, una ventina le aziende che hanno già adottato l’aumento delle ore o misure di ritorsione anche peggiori. Una Black List è stata stilata da Unia (http://www.unia.ch/Black-list.5992.0.html) nella quale sono inserite ditte simbolo come AGIE Charmilles e Rìrì, colossi come la Consitex che impiega quasi un migliaio di operaie e lo stabilimento del gruppo Mikron.

Dietro lo spauracchio Franco forte, si cela sempre l’ombra nera della delocalizzazione. Il recente esempio da manuale di Novartis che è riuscita à farsi concedere 3 ore settimanali supplementari a gratis, la delibera di permessi edilizi su ampi terreni a Nyon e dei favorevolissimi alleggerimenti fiscali, deve essere d’insegnamento per i dirigenti sindacali locali. Nel capitalismo, gli azionisti delle grandi industrie sono unici a poter decidere sulla possibilità di eliminare centinaia se non migliaia di posti di lavoro delocalizzando. Tuttavia le grandi industrie svizzere, quando minacciando di delocalizzare, non fanno altro che ricattare la politica, che oggigiorno è più che d’accordo, per ottenere ulteriori privilegi e libertà. Si tratta di un teatrino per poter giustificare qualsiasi furto al salario diretto e indiretto e ai diritti dei lavoratori, dove sindacati e autorità mettono in scena delle “pressioni” contro la delocalizzazione.

Sul fronte politico la notizia più positiva è l’ammissione di colpa del presidente UDC Toni Brunner che getta definitivamente la maschera. Dovrà ricredersi chi sostiene che l’UDC fa gli interessi del popolo svizzero. A metà mese di luglio del 2011, il presidente del partito di estrema-destra ha affermato “le imprese devo avere la libertà di agire per salvare i posti di lavoro che potrebbero partire all’estero”. Di quali interessi si tratta se si è pronti a concedere ulteriore libertà a chi già è libero di sfruttare migliaia di lavoratori? La domanda retorica serve a dimostrare come l’UDC rappresenti gli interessi degli azionisti delle grandi industrie. Toni Burnner e camerati non si sognerebbero mai di usare la stessa arroganza e violenza che usano contro gli stranieri, all’indirizzo di chi minaccia di delocalizzare, eppure si tratta di un vero e proprio attacco ai diritti fondamentali del popolo svizzero, quello di avere un lavoro.

In realtà tutta la “l’alta politica” cantonale e nazionale si schiera con la borghesia. Dal centro-sinistra all’estrema-destra quando si tratta di decidere come si dovrebbe organizzare la produzione nazionale e garantire i posti di lavoro, sono sempre in prima linea per svendere le condizioni di lavoro. I comunisti invece sostengono che la politica deve dedicarsi a difendere e migliorare l’apparato produttivo nazionale quale fonte di sostentamento per il popolo, soprattutto andando a recuperare la ricchezza rubata dai capitalisti.

In questo scenario i sindacati si trovano, come spesso succede, imbrigliati in un passato sindacale da dimenticare. L’abitudine di cedere ai ricatti, soprattutto quando la posta messa in gioco dai padroni sono i posti di lavoro, è ben radicata e difficile da cambiare. Urge quindi riaprire una discussione, sia sui luoghi di lavoro, sia a sinistra, sulla centralità del conflitto capitale-lavoro e la maniera in cui bisogna contrastare l’avanzata aggressiva del padronato. In fondo si tratta semplicemente di riscoprire che la società è composta da classi in lotta l’una contro l’altra e che nel capitalismo i proletari e i padroni sono le classi antagoniste.

La crisi economica che colpisce l’Europa, non da speranza per una risoluzione “pacifica” del conflitto con il padronato. Continuare a sottostare alle pace del lavoro, credendo che i padroni svizzeri faranno beneficenza è un illusione pura. L’unico modo per smuovere un padronato sempre più goloso, è quello del conflitto, dello sciopero, della lotta di classe.

Per farsi rispettare i lavoratori e le lavoratrici hanno a disposizione la possibilità di denunciare pubblicamente le loro condizioni di lavoro, di astenersi dal lavoro causando il blocco della produzione, occupare la sede di produzione, scendere in manifestazione, occupare stabili pubblici pacificamente, ecc, ma questo può avvenire solo quando esiste un movimento fortemente unito e organizzato. Attualmente il movimento operaio svizzero è piuttosto dormiente o essenzialmente rivolto alla lotta istituzionale, sta quindi a quelle compagne e quei compagni impegnati e dediti alla causa del movimento operaio, implementare la lotta per permettere la difesa dei diritti dei lavoratori delle lavoratori.

La questione cambio è quindi un ennesima campagna riuscitissima del padronato, che negli ultimi mesi ha potuto sfruttare ulteriormente migliaia di lavoratori, senza sganciare un centesimo supplementare, anzi riducendo i salari. La lotta di classe la stanno conducendo bene e la stanno sinceramente vincendo, ora tocca a chi lavora svegliarsi e iniziare a farsi sentire, partendo da ogni singola fabbrica, da ogni luogo di lavoro.

Leonardo Schmid, membro del Comitato Cantonale del Partito Comunista

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