“Berlinguer, la grande ambizione”, la desolante delusione di una sconfitta politica

“Berlinguer, la grande ambizione” di Andrea Segre è un film onesto e sincero nei confronti del grande dirigente comunista, nonostante offra una porzione molto ristretta della sua biografia. Ad essere considerato è il solo lustro che corre dall’autunno 1973, ovvero dalla visita in Bulgaria e dall’incidente presuntamente orchestrato ai suoi danni al fine di eliminarlo e contrastare l’eurocomunismo (con un piccolo errore storico, visto che esso sarà invece un’invenzione teorica più tarda), alla tragica scomparsa di Aldo Moro nella primavera del 1978.

Molti sono i modi in cui può e potrebbe essere raccontato Berlinguer: pensiamo al sorridente ancorché indiretto “Berlinguer ti voglio bene” del 1977 di Giuseppe Bertolucci, che con commossa e bonaria emozione descrive i suoi anni da segretario del Partito Comunista Italiano, travolgenti per consenso popolare e per la crescita, non solo elettorale, del ruolo dei comunisti nella società italiana.

Tuttavia, proprio per l’onestà che contraddistingue tutta la pellicola – la precisione puntuale e davvero ammirevole della ricostruzione dei luoghi e delle ambientazioni, senza trascurare l’immagine del padre premuroso e del dirigente politico amato e disponibile al confronto con gli iscritti e i militanti, includendo anche meritori momenti corali e di partecipazione popolare – quello di Segre è un film totalmente triste, drammatico e tragico e per queste ragioni alla fine anche un poco cupo e lugubre, soprattutto per la perennemente disturbante colonna sonora e per la scelta di una fotografia dalle tonalità sempre scuro – grigiastre.

Il terrorismo, le stragi, la violenza politica tra i giovani, tutto restituisce di quegli anni, più dell’entusiasmo della partecipazione, la cupezza dello scontro in atto.

Tuttavia la vera e incontrovertibile tragedia risiede nella totale sconfitta politica, scaturita dall’indisponibilità dei democristiani di accettare il progetto berlingueriano di partecipazione al governo della nazione.

Il segretario del PCI si sforza infatti di offrire alla Democrazia Cristiana e agli Stati Uniti, ai presidenti Ford e Carter, l’opportunità di un dialogo in ragione di una totale trasformazione del Partito Comunista Italiano e degli obiettivi da questo perseguiti appunto in un insieme di rivendicazioni moderate, compatibili con la collocazione internazionale dell’Italia. Un cammino estenuante che voleva, nel solco della Costituzione Italiana nata dalla Resistenza, se non proprio portare le masse lavoratrici al potere, almeno avviare  riforme strutturali capaci di migliorare le condizioni di vita di operai, impiegati e contadini, con l’intenzione di una implementazione delle politiche sociali.

Berlinguer e il PCI purtroppo non ottengono invece nulla di tutto questo, se non l’accoglimento di poche proposte, come quella della nascita del Servizio Sanitario Nazionale, che poteva essere conquistata con il semplice lavoro parlamentare al pari dello Statuto dei Lavoratori e del nuovo Diritto di Famiglia.

In questo senso tutto il film è attraversato da questa dimensione triste e drammatica, da un’incapacità, da un’impossibilità di avviare un cambiamento concreto e radicale.

I dirigenti del movimento comunista mondiale sono sempre tratteggiati a tinte fosche, eppure il richiamo brezneviano all’internazionalismo non andrebbe letto, come invece gli autori intendono, quale una nefasta richiesta di sudditanza agli interessi sovietici, ma piuttosto come un invito a rammemorarsi della contraddizione primaria, di ieri e in fondo di oggi, ovvero lo scontro con l’imperialismo statunitense, il quale subordina, in Occidente da sempre, qualsiasi scelta ai suoi interessi egemonici, imponendo il rigetto di qualsiasi scelta politica che li contrasti.

Nel film sarà Armando Cossutta, nel momento in cui Berlinguer lo sostituisce con il modesto Cervetti nei rapporti con Mosca, a ricordarglielo seppur vanamente.

Una pellicola dunque che rende omaggio al grande sassarese, uomo onesto e probo, marxista che ha tentato una via moderata rivelatasi un’amara sconfitta politica e una cocente e desolante delusione.

Davide Rossi

Davide Rossi, di formazione storico, è insegnante e giornalista. A Milano dirige il Centro Studi “Anna Seghers” ed è membro della Foreign Press Association Milan.