Stress, disagio e sovraccarico sono ormai divenuti il pane quotidiano di molti docenti ticinesi, come dimostrano i più recenti rilevamenti: un rapporto dello scorso anno rilevava ad esempio che il 70% degli insegnanti si sente sovraccaricato di lavoro e il 17% si trova sulla soglia del burnout. Non sono però solo le trasformazioni della professione docente ad aver prodotto questa situazione, frutto anche di una condizione occupazionale sempre più precaria e instabile, specialmente per gli insegnanti più giovani. Sui circa 6200 docenti assunti dalle scuole pubbliche, ben 1900 insegnano senza una nomina a tempo indeterminato ma con un incarico rinnovato annualmente. Si tratta di una forma di precariato diffusasi a macchia d’olio negli ultimi anni, contro cui i sindacati si stanno battendo, patrocinando vari insegnanti cui dovrebbe essere riconosciuto il diritto ad un’occupazione stabile e sicura. I problemi iniziano però ben prima, già durante la fase di abilitazione all’insegnamento e nei concorsi per l’assegnazione delle ore di docenza.
Chi controlla il DFA? Perplessità sulle prospettive d’impiego
Da alcuni anni, per i docenti neoabilitati di alcune materie risulta sempre più difficile ottenere delle ore di insegnamento ed essere dunque assunti all’interno della scuola pubblica. A inizio luglio, il sindacato VPOD aveva ad esempio inoltrato al Dipartimento dell’educazione (DECS) del Canton Ticino una lettera in cui esprimeva preoccupazione in merito alla diminuzione delle ore attribuibili ai diplomati, in particolare per le materie di italiano, storia e inglese nella scuola media. Nella nota diffusa ai media, il sindacalista Edoardo Cappelletti richiedeva al DECS “un maggiore sostegno ai docenti neoabilitati”, oltre ad “un migliore coordinamento tra il DECS e il DFA”. Il Dipartimento Formazione e Apprendimento (DFA) della SUPSI è infatti l’ente preposto all’abilitazione all’insegnamento per la scuola ticinese, che dispensa su mandato della Divisione scuola del DECS.

Da tempo non manca di far discutere il grado di coordinamento tra questi due organismi, cruciale per garantire la formazione di un numero di docenti adeguato al fabbisogno della scuola ticinese. Ecco perché anche sul piano parlamentare le reazioni non si sono fatte attendere: sempre a inizio luglio, il Partito Comunista ha depositato un’interpellanza sul tema, per il tramite dei suoi deputati Massimiliano Ay e Lea Ferrari. Secondo i granconsiglieri comunisti, “le prospettive d’impiego nella scuola media sono sempre meno rosee, a causa del ricambio generazionale già avvenuto in alcune materie e della prevista diminuzione – dovuta a ragioni demografiche – del numero di allievi a partire dall’anno scolastico 2025-26”. Stupiva dunque constatare come il DFA non avesse adattato la propria politica di ammissione, aprendo nuovamente dei percorsi di abilitazione per le materie già oggi sotto pressione (come la storia e l’italiano). Ay e Ferrari chiedevano pertanto lumi al governo sul coordinamento tra DECS e DFA in merito alla sua politica d’ammissione, nonché sul suo modello di pratica professionale non retribuita, ritenuto all’origine della precarietà economica dei docenti abilitandi.
Il governo nega, ma le cifre parlano chiaro: gli allievi diminuiranno!
All’inizio del nuovo anno scolastico è giunta la risposta governativa all’interpellanza comunista. Citando alcuni scenari elaborati dall’Ufficio federale di statistica (UST), il Consiglio di Stato ticinese riconosce che nei prossimi anni è atteso una sensibile diminuzione del numero di allievi nella scuola media (nel 2032, essi dovrebbero diminuire di circa 800-900 unità rispetto ad oggi, su un totale di 12’000 studenti circa). Ciò significa che il numero stimato di insegnanti necessari alla scuola media ticinese dovrebbe diminuire di un centinaio di unità. Per far fronte al ricambio generazionale atteso in quel periodo, l’UST prevede un fabbisogno di circa una cinquantina di nuovi insegnanti di scuola media. Nel 2031, il DFA prevede però di formare un centinaio di nuovi docenti, il doppio quindi del fabbisogno previsto, con una crescita del 57% rispetto al 2020! Lo scollamento tra i bisogni della scuola ticinese e il numero di docenti abilitati dal DFA sembra dunque confermato dalle cifre presentate dal governo, che si trincera dietro la formulazione ambigua del contratto di prestazione siglato con il DECS. Secondo quest’ultimo, dal DFA ci si attende “almeno la formazione del personale docente sufficiente ad assicurare il ricambio stimato nelle scuole comunali e cantonali”. Formalmente, DECS e DFA coordinano l’offerta formativa di quest’ultimo, che può però continuare ad abilitare nuovi docenti (sempre più destinati a divenire disoccupati) nascondendosi dietro questo obiettivo minimo al di sopra del quale è libero di agire.
Il Consiglio di Stato ricorda inoltre come l’abilitazione erogata dal DFA sia riconosciuta a livello svizzero: i docenti abilitatisi a Locarno avrebbero dunque la possibilità di concorrere per dei posti d’insegnamento anche nella Svizzera francese e tedesca. Il governo cantonale tralascia però accuratamente di fornire cifre sul numero di docenti che seguono questa via, omettendo di menzionare i notevoli ostacoli linguistici che rendono estremamente difficile una carriera Oltralpe per degli insegnanti italofoni.
Colpiti dai tagli, i docenti neoabilitati e i supplenti si mobilitano
La poca sensibilità della politica ticinese per le necessità dei docenti ad inizio carriera è d’altronde testimoniata anche dalle misure di risparmio loro imposte negli ultimi anni. Nel febbraio di quest’anno, i docenti in abilitazione presso il DFA avevano organizzato un presidio di protesta contro i tagli del preventivo 2024, che non prevedeva il riconoscimento del rincaro sui salari e che anzi – per decisione parlamentare – stabiliva il blocco delle sostituzioni del 20% del personale partente, indebolendo sensibilmente numerosi servizi scolastici e parascolastici.

Il preventivo 2025 presentato pochi giorni fa dal governo cantonale sembra confermare questa tendenza: fra le numerose misure di risparmio che colpiranno la scuola pubblica, spicca la soppressione della abituale procedura di incarico dei supplenti dopo 16 settimane di lavoro. Ciò significa che i docenti che rimpiazzano un collega per una supplenza di lunga durata (ad esempio per una maternità o per problemi di salute) non riceveranno più un salario da insegnante a tutti gli effetti (con una perdita che potrebbe ammontare fino al 40% dello stipendio annuale), né potranno usufruire dei diritti normalmente connessi all’assunzione (congedo per malattia, ecc.). Insomma, i docenti più precari verrebbero precarizzati ulteriormente da questo preventivo!
Da parte dei docenti sembra non esserci però più disponibilità ad ingoiare ulteriori bocconi amari: i sindacati VPOD e OCST hanno già convocato una manifestazione in difesa dei salari e del servizio pubblico per mercoledì 16 ottobre a Bellinzona, in vista della discussione parlamentare sul preventivo 2025. Da parte del PC ci giungono invece assicurazioni circa la volontà di approfondire ulteriormente le condizioni di abilitazione presso il DFA e di continuare a lottare per assicurare maggiori garanzie occupazionali ai docenti neodiplomati.