Tommaso Maestrelli, partigiano e allenatore della Lazio tricolore del 1974

Lo scudetto del Cagliari del 1970 ha qualcosa di meraviglioso, per la Sardegna e per un gioco in cui almeno mezzo secolo fa potevano vincere anche i piccoli, tuttavia quello della Lazio del 1974 è ancora più incredibile, un gruppo di ragazzi scanzonati e, inutile nasconderlo, in maggioranza pericolosamente prossimi alla destra neofascista, viene raccolto da un uomo e un allenatore che li porta a rendere orgogliosi di loro l’altra metà del cielo capitolino, quello biancoceleste, composto allora da donne e uomini di tutte le estrazioni sociali e tutti i sentimenti politici, basti rileggere le pagine del quotidiano comunista “Paese Sera”, su cui scrive Gianni Rodari, il quale saluta festosamente i campioni di un’Italia senza automobili la domenica per l’austerità, in perenne crisi politica ed economica, attraversata dalla permanente mobilitazione studentesca, delle feroci contrapposizioni politiche, con nuovi diritti conquistati con le lotte operaie, dallo Statuto dei Lavoratori al nuovo diritto di famiglia, fino alle pagine oscure dello stragismo eversivo e del terrorismo. La Lazio per altro vince lo scudetto proprio domenica 12 maggio 1974, il giorno in cui gli italiani decretano nel primo referendum della storia repubblicana la vittoria del divorzio ed Enrico Berlinguer quel giorno ovviamente non può essere come tante altre volte allo stadio, sempre a vedere la Lazio, perché il servizio d’ordine del PCI che si occupa della sua sicurezza è tutto composto da tifosi biancocelesti.

È un calcio d’altri tempi, di maglie per le partite il presidente Umberto Lenzini ne ha ordinate a inizio campionato tre serie, ogni domenica sera devono essere consegnate al magazziniere e poi vengono lavate e stese al sole presso il campo di allenamento di Tor di Quinto. Lenzini è nato negli Stati Uniti, figlio di immigrati del povero Appennino modenese di inizio Novecento e si appassiona per due giocatori di terza serie che nell’estate del 1969 compera dall’Internapoli, modesta compagine del quartiere napoletano del Vomero, sono un libero e un centravanti, come lui figli di immigrati, entrambi cresciuti nel Regno Unito, Pino Wilson, che diventerà il capitano della squadra e lo sregolato e sgraziato Giorgio Chinaglia, capace con le sue centoquaranta reti in sette campionati di scrivere la storia dei laziali.

Per raccontare quella squadra bisogna tuttavia partire dall’allenatore, toscano per nascita e barese per adozione, Tommaso Maestrelli, un convinto antifascista, partigiano in Jugoslavia dopo l’8 settembre 1943, incorporatosi nella Divisione Partigiana “Garibaldi” agli ordini di Josif Broz Tito. La storia di tanti calciatori e poi allenatori nella Resistenza italiana e poi europea andrebbe indagata e approfondita, ad oggi lo è stata troppo poco, un filone storico che ci restituirebbe tante belle storie di partecipazione ed eroismo per l’ideale della giustizia sociale e dell’uguaglianza.

Maestrelli, mezzala di classe del Bari per un decennio e poi allenatore nel capoluogo pugliese delle formazioni giovanili e della prima squadra, trascorre di fatto un quarto di secolo nella città di san Nicola, passa poi alla panchina del Foggia, dove fa bene e nell’estate del 1971 viene chiamato da Lenzini a riportare in serie A i laziali malamente retrocessi l’anno prima, l’impresa è assolta e nel campionato 1972 – 73 i neopromossi restano in corsa fino agli ultimi minuti del campionato per la vittoria finale, infilata all’ultimo dalla solita Juventus, anche sul Milan di Chiarugi e Rivera, arrivato per la terza volta consecutiva secondo, fresco vincitore della Coppa Coppe a Salonicco, ma malamente naufragato nell’ultima partita di campionato a Verona.

La squadra della Lazio nel 1974.

Maestrelli sceglie come portiere Felice Pulici, il gigante buono che ha faticato per anni nel modesto Novara, davanti a lui il libero e capitano Pino Wilson, Giancarlo Oddi marcatore centrale, terzini con ampia facoltà di svariare sulle face laterali Sergio Petrelli a destra e Luigi Martini a sinistra, mediano Franco Nanni, con a fianco Re Cecconi estrosa mezzala votata alla copertura, regista Mario Frustalupi, zero presenze in nazionale, ma per vent’anni il più grande regista del calcio italiano, anche se quasi nessuno se ne accorge, per otto stagioni tiene la Sampdoria ai massimi livelli, poi a ventotto anni finisce all’Inter, gli fa vincere uno scudetto, quello del 1971, che manca agli ambrosiani dai tempi d’Herrera, per altro in sorpasso su uno splendido Milan di Rocco. L’anno dopo Frustalupi porta i nerazzurri in finale di Coppa Campioni, costretti a inginocchiarsi solo davanti all’inarrivabile Ajax di Cruijff marcato dal diciannovenne Oriali, i vicecampioni d’Europa lo scaricano – perché considerato “vecchio” – alla Lazio e lui diventa l’inventore delle geometrie dei biancocelesti campioni d’Italia, viene poi malamente ceduto al Cesena e porta i romagnoli in Coppa Uefa, all’alba dei trentacinque anni lo rifilano alla Pistoiese e lui – faticando tre anni – la porta per la prima e unica volta in serie A. Frustalupi è comunista, legge libri e quotidiani, è il solo con cui Maestrelli parla di politica, in perfetta sintonia. Concludendo con la formazione laziale, in attacco l’incontenibile e spesso iracondo Giorgio Chinaglia a segno ventiquattro volte in campionato, capocannoniere superando di una rete Boninsegna, a cui ne aggiunge quattro in coppa Italia e sei in Uefa, alle ali, libere d’incrociarsi, a destra l’incisivo e offensivo Renzo Garlaschelli che sigla dieci reti in campionato e altre quattro tra Coppa Italia e Coppa Uefa, e a sinistra, tendenzialmente arretrato, il funambolico diciannovenne Vincenzo D’Amico, capace di finte e dribbling stupefacenti, a cui l’allenatore Maestrelli ha tolto la patente, promettendogli di restituirgliela solo dopo la fine del campionato, così come a Oddi e a Chinaglia vieterà di comperarsi la moto.

La partitella infrasettimanale, in cui Maestrelli fischia la fine solo quando il gruppo Chinaglia – Wilson è vittorioso su quello avverso che si stringe intorno a Martini e Re Cecconi, vede coinvolti titolari, riserve, ragazzi delle giovanili, ma anche il mediocrissimo e raccomandatissimo attaccante Giancarlo Leone, figlio del presidente della Repubblica, il democristiano di destra Giovanni Leone e il capitano della nazionale di tennis azzurra e grandissimo tennista Nicola Pietrangeli, già giocatore nelle giovanili della Lazio e suo tifoso.

Gli eccessi di alcuni giocatori, Chinaglia dopo il derby con la Roma del 31 marzo 1974 e il suo borioso dileggio dei tifosi è costretto a mandare la moglie dai di lei genitori e a trasferirsi a casa dell’allenatore Maestrelli, notorio poi come spesso, pur essendo amici, facciano a botte, altrettanto famigerata la loro passione per il tiro ai lampioni e alle luci delle camere d’albergo con le pistole, quindi la fuga di Chinaglia a New York per giocare con Pelé nel Cosmos, la morte tragica di Re Cecconi, la cessione sbagliata di Oddi e Frustalupi, quest’ultimo certo anche esausto di un ambiente tanto culturalmente lontano da lui, ma soprattutto la grave malattia che in soli due anni si porta via Tommaso Maestrelli, spentosi nel dicembre 1976, chiude quella stagione biancoceleste, la quale gli allora troppo giovani Bruno Giordano in attacco e Lionello Manfredonia in difesa non riusciranno a raddrizzare.

Tuttavia quella domenica 12 maggio 1974, mentre Paolo VI in San Pietro invoca la pace e il quinto e ultimo governo presieduto dal democristiano Mariano Rumor volge ai suoi ultimi giorni, resta indelebile perché le strade e il cielo della città capitolina, da sempre prevalentemente giallorosse, si sono tinte di un imprevedibile e luminoso biancoceleste.

Davide Rossi

Davide Rossi, di formazione storico, è insegnante e giornalista. A Milano dirige il Centro Studi “Anna Seghers” ed è membro della Foreign Press Association Milan.