Le passioni politiche attraversano il duplice decennio degli anni ’70 e ’80 del XX secolo e ben quattro edizioni olimpiche finiscono per essere boicottate: Montreal 1976, Mosca 1980, Los Angeles 1984 e Seoul 1988. Poi la fine della Guerra Fredda e il temporaneo successo dell’imperialismo statunitense, che certo non ha chiuso la storia, come dimostra questo XXI secolo, riportano una certa universalità sportiva, frantumata ben prima delle vicende ucraine del 2022 dal costante attacco alla delegazione russa, privata di inno e bandiera da alcuni anni e dalle campagne anticinesi che hanno visto alcune nazioni non inviare dirigenti accompagnatori alle Olimpiadi invernali cinesi del 2022.
Montreal 1976
Nel 1976 la nazionale di rugby neozelandese se ne infischia dell’apartheid e vola in Sudafrica per affrontare alcune formazioni bianche di quello stato razzista. Le nazioni africane chiedono che venga impedito alla Nuova Zelanda di partecipare alle olimpiadi canadesi di Montreal, così come l’accesso dal 1960 è impedito ai sudafricani, ma Canada e Nuova Zelanda sono accomunati dallo stesso capo di stato, la regina d’Inghilterra, dunque il Comitato Olimpico Internazionale finge di non capire la gravità della situazione e si nasconde dietro la risibile scusa che il rugby non sia una disciplina olimpica, decidendo di ammettere 84 atleti neozelandesi che conquisteranno due ori, nei 1500 metri maschili e nell’hockey su prato, un argento nei 5000 metri e il bronzo nell’otto di canotaggio.

Così il 17 luglio 1976, allo stadio olimpico dall’avveniristico tetto retrattile, le nazioni marxiste dell’Africa (Algeria, Repubblica Popolare del Congo, Etiopia, Ghana, Madagascar, Libia, Tanzania, Somalia, Zambia) convincono molte altre (Alto Volta, Repubblica Centrafricana, Ciad, Gabon, Gambia, Kenya, Lesotho, Malawi, Mali, Niger, Nigeria, Sudan, Swaziland, Togo e Uganda) a non presentarsi. L’Egitto, la Tunisia, il Marocco e il Camerun gareggiano solo nei primi tre giorni e poi aderiscono al boicottaggio. Molte le nazioni solidali anche fuori dall’Africa: in Sudamerica la Guyana che non si presenta, al pari delle asiatiche Siria e Iraq, anch’esse di orientamento marxista, così come le ugualmente marxiste Vietnam, Cambogia e Laos. Taiwan, protestando per il fatto di non poter usare il termine “cinese”, boicotta anch’esso i giochi. Lo stesso fa la Cina Popolare (occupata a chiudere la triste stagione della Rivoluzione Culturale) che di riflesso lamenta il troppo spazio ancora concesso a Taipei, oltre alla discriminazione delle richieste africane. Ovviamente al boicottaggio di Pechino si associa l’alleato albanese e pure lo Zaire, che partecipa, ultima tra le africane, al generale atto di protesta politica, in ragione anche dell’aiuto che presta a cinesi e statunitensi contro angolani e mozambicani, da poco indipendenti e avviati al socialismo, ma di ispirazione sovietica. Ultima nazione boicottatrice è l’Afganistan, più per motivi propri legati al travaglio della prima repubblica piuttosto che di carattere internazionale. Restano tra gli africani solo senegalesi e ivoriani, una trentina di atleti per salvare uno dei cinque cerchi olimpici.
Mosca 1980
Nel 1979 gli Stati Uniti e il presidente Carter prendono al volo l’occasione del sostegno sovietico al governo rivoluzionario di Kabul per fomentare il terrorismo islamico e lanciare il boicottaggio delle olimpiadi moscovite dell’estate 1980. Molte nazioni rinunciano all’inno e alla bandiera, così come agli sportivi provenienti da organizzazioni militari afferenti alla NATO, ma si presentano in riva alla Moscova. Altre seguono il boicottaggio, tra esse anche alcune dalle dittature più sanguinarie del tempo, ovviamente tutte rette e ispirate dai fucili e dai cannoni a stelle e strisce: Antille Olandesi, Arabia Saudita, Argentina, Bahamas, Bahrein, Bangladesh, Barbados, Belize, Bermuda, Bolivia, Canada, Ciad, Cile, Taipei, Corea del Sud, Costa d’Avorio, Egitto, El Salvador, Emirati Arabi Uniti, Figi, Filippine, Gabon, Gambia, Germania Ovest, Ghana, Giappone, Haiti, Honduras, Indonesia, Isole Cayman, Isole Vergini, Israele, Kenya, Liberia, Liechtenstein, Malawi, Malaysia, Marocco, Mauritius, Monaco, Niger, Norvegia, Pakistan, Panama, Papua Nuova Guinea, Paraguay, Qatar, Repubblica Centrafricana, Singapore, Sudan, Suriname, Swaziland, Thailandia, Togo, Tunisia, Turchia, Uruguay, Zaire.
Boicottano pure: la Cina Popolare e l’ex alleato albanese, per evidenti divergenze socialiste coi sovietici; la Repubblica Islamica dell’Iran, impegnata nel consolidamento della Rivoluzione del 1979, oltreché in costante polemica ideologica con i sovietici; quindi la Somalia, nazione socialista ma in aperto dissenso con Breznev che appoggia i marxisti etiopi. In ogni caso le olimpiadi sovietiche saranno un successo organizzativo e una grande festa popolare.

Los Angeles 1984
Nel 1984 ancora una volta la Repubblica Islamica dell’Iran dichiara subito il suo boicottaggio verso le olimpiadi in terra imperialista, con l’imam Komeini che invita gli statunitensi a restituire Gerusalemme ai palestinesi. Altro boicottaggio scontato è quello dell’Albania di Enver Hoxha, che difende oramai sola e incapace di stabilire delle alleanze internazionali la sua visione del marxismo-leninismo. Konstantin Černenko, segretario generale del Partito Comunista dell’Unione Sovietica, denuncia la violazione dei diritti umani compiuti in America Centrale dagli statunitensi, da El Salvador al Nicaragua, nonché il persistere del sostegno a stelle e strisce verso tante dittature, dal Cile alle Filippine, e lancia il boicottaggio delle olimpiadi di Los Angeles, subito condiviso dalle nazioni socialiste: Afghanistan, Angola, Bulgaria, il Burkina Faso guidato da Thomas Sankara, Cecoslovacchia, Corea Popolare, Cuba, Etiopia, DDR, Laos, la Libia di Gheddafi, Mongolia, Polonia, Ungheria, Vietnam, Yemen del Sud. La feroce campagna antisovietica avrebbe peraltro messo in pericolo l’incolumità degli atleti delle nazioni socialiste, che perciò danno vita nel corso dell’estate ai Giochi dell’Amicizia, che vedono invitate e partecipanti nazioni di tutto il mondo: presenti al completo persino tutte le nazioni europee. Gli eventi e le gare di questi giochi si svolgono in ben nove nazioni: Bulgaria, Cuba, Cecoslovacchia, DDR, Ungheria, Corea Popolare, Polonia, Unione Sovietica e Mongolia, nella cui capitale Ulan Bator si svolgono le gare di lotta e di sambo (l’arte marziale inventata da Viktor Spiridonov e Vasilij Oščepkov negli anni ’20).

Seoul 1988
Nel 1988 nessuno avrebbe immaginato che il socialismo di matrice sovietica sarebbe velocemente franato sotto l’incapacità dello sviluppo delle forze produttive, che negli stessi mesi ed anni stavano invece progredendo vorticosamente, secondo i migliori insegnamenti marxisti, nella Cina Popolare sotto la straordinaria spinta propulsiva innescata da Deng Xiaoping. Quando la Corea Popolare in segno di distensione offre alla Corea del Sud la possibilità di organizzare insieme le olimpiadi del 1988, Seoul risponde negativamente e dunque Pyongyang lancia il boicottaggio dei giochi. La seguono le nazioni che più le sono vicine: Cuba e il suo presidente Fidel Castro che pronuncia parole di vicinanza verso i marxisti coreani, il Nicaragua sandinista, la Repubblica Democratica Popolare di Etiopia, la Repubblica Socialista d’Albania, la Repubblica Democratica Malgascia, le Seychelles guidate dal Fronte Progressista Popolare.
Il 2 ottobre 1988 l’italiano Gelindo Bordin vince la maratona e i fuochi d’artificio sanciscono la chiusura dei XXIV giochi olimpici, i quali hanno visto trionfare Unione Sovietica e DDR, le sole due nazioni capaci di vincere oltre cento medaglie, di cui 55 d’oro per i sovietici e 37 per i tedesco-orientali. Il vento porta per le strade di Seoul le prime foglie marroni, rosse e gialle, segno che l’autunno non tarderà a manifestarsi nella sua pienezza. Ma non è solo il cambio di una stagione, è proprio, anche se nessuno ancora lo sa, la fine di un’epoca: vecchie nazioni spariranno, nuove nazioni sorgeranno, consolidate regole verranno stracciate, nuove proveranno a imporsi o a essere imposte. Il mondo prenderà a correre, inebriato dalla globalizzazione occidentale e dai cannoni della NATO che la tutelano, bombe cadranno a Belgrado e in mille altri posti, a segno della fragilità della “pax americana”. Occorrerà oltre un quarto di secolo prima di poter intravedere l’avvento di un’alternativa allo strapotere della finanza speculativa: l’alternativa multipolare è oggi realtà e con essa il ritorno, prepotente, della politica nello sport.