Il “Fattore Malvinas” potrebbe far scoppiare la terza guerra mondiale? Tutto dipende da quanto reggeranno gli USA

Roberto Sidoli, Daniele Burgio e Massimo Leoni sono tre prolifici intellettuali marxisti italiani con un passato del Partito dei Comunisti Italiani che fu diretto da Oliviero Diliberto. Da alcuni anni producono interessanti studi in ambito sia filosofico sia di politica internazionale. Le loro visioni articolate e dettagliate delle dinamiche geopolitiche e socio-economiche si concentrano ultimamente sui fattori che potrebbero influenzare una potenziale guerra atomica: secondo loro il possibile catalizzatore di eventi catastrofici sarebbe il “fattore Malvinas”.

Studiare la storia per capire il presente e ipotizzare un futuro realistico

La loro ultima opera, ancora inedita, si intitola appunto “La terza guerra mondiale? Il fattore Malvinas” ed offrirà un’analisi approfondita sulla possibilità di un’escalation bellica di tipo nucleare, prendendo in considerazione il periodo che va dal 1945 al 2023. L’Associazione politico-culturale Marx21 ha anticipato alcuni contenuti dello studio, che qui riprendiamo. Secondo gli autori, l’esperienza maturata durante gli ultimi decenni rende improbabile l’insorgere di una guerra atomica a causa di un errore umano. Tale improbabilità è attribuita ai sofisticati sistemi di controllo sviluppati nel corso degli anni e ai meccanismi di comunicazione d’emergenza, come i “telefoni rossi”, predisposti per situazioni gravissime fra i leader dei vari paesi, anche quando questi ultimi sono in conflitto fra loro. Proprio di recente, in effetti, i presidenti Joe Biden e Xi Jinping hanno riaperto la linea telefonica diretta fra Washington e Pechino per le situazioni d’urgenza.

Gli USA hanno ancora la superiorità militare?

Un elemento centrale dell’analisi di Sidoli, Burgio e Leoni riguarda il progresso tecnologico nella costruzione di missili intercontinentali ipersonici da parte di Russia e Cina. Questi missili, in grado di variare la rotta e di rilasciare testate atomiche in volo, rappresentano una nuova dinamica nel panorama geopolitico. Gli autori sostengono che, considerando questa evoluzione e la complessa situazione politico-militare, gli Stati Uniti non raggiungeranno una superiorità bellico-atomica sufficiente a suscitare speranze di vittoria in un potenziale conflitto nucleare nei prossimi dieci anni, almeno per gli elementi più intransigenti della politica americana.

Il “fattore Malvinas” può portarci nel baratro

L’analisi di Sidoli, Burgio e Leoni introduce come concetto chiave il “fattore Malvinas” come possibile catalizzatore di una terza guerra mondiale. Questo fattore presupporrebbe una grave crisi economico-sociale negli Stati Uniti, associata all’inefficacia delle istituzioni statali, compresa la Federal Reserve, nel contrastarla. La conseguenza sarebbe l’ascesa dell’ala più oltranzista e reazionaria dell’imperialismo americana, che potrebbe optare per un attacco nucleare preventivo con la logica del “non abbiamo più niente da perdere”. Si esclude l’ipotesi di un presidente irrazionale, ma si sottolinea il rischio di una scelta estrema guidata da una crisi interna, con un parallelo storico nella strategia argentina durante la guerra delle isole Malvinas (che nel linguaggio imperialista vengono chiamate “Falkland”) nel 1982.

Quanto manca alla Terza guerra mondiale?

Le tesi principali del testo dei tre autori marxisti italiani sono cinque. La prima tesi evidenzia che, con una volontà di dominio planetario, gli Stati Uniti potrebbero considerare un attacco nucleare preventivo contro Cina e Russia se avessero una schiacciante superiorità atomica. La seconda tesi sostiene che, in assenza di tale superiorità e in condizioni interne normali, l’élite statunitense eviterebbe un conflitto nucleare. La terza tesi suggerisce che, in presenza di una crisi economica-sociale imminente, l’ala più estrema dell’élite statunitense potrebbe optare per il “fattore Malvinas” come estrema soluzione. La quarta tesi prevede che gli Stati Uniti affronteranno una supercrisi economico-sociale entro il 2030, con la rete di protezione statale logorata e inefficace. La quinta tesi propone che un possibile Piano Marshall cinese, supportato dai BRICS, potrebbe prevenire l’emergere del “fattore Malvinas” e evitare un’apocalisse atomica.