Israele forse sta vincendo tatticamente, ma dal punto di vista strategico ne uscirà certamente sconfitta: sta subendo infatti perdite militari ed economiche importanti e le contraddizioni interne allo stesso sistema sionista crescono di giorno in giorno, senza contare la pessima reputazione che si è ormai costruita agli occhi non solo delle masse popolari dei paesi emergenti, ma anche in Occidente. Le élite occidentali, interessate a mantenere in piedi l’Entità sionista, ora si devono quindi riorganizzare: il genocidio iniziato nel 1948 con la fondazione di Israele e che da oltre due anni si sta compiendo in maniera sempre più spietata e manifesta ai danni del popolo palestinese è sempre stato tollerato dall’UE, dagli USA e dalla NATO, ma ora sta diventando un fattore di instabilità che deve cessare. Per farlo, senza al contempo intaccare il potere sionista in quanto tale, che resta necessario geopoliticamente nel conflitto fra l’imperialismo e il multipolarismo, bisogna che cada il solo governo di Benjamin Netanyahu così da far credere all’opinione pubblica internazionale che il problema sia solo lui (e il suo partito di estrema destra) ma non il sionismo in sé.
Ecco perché la guerrafondaia Kaja Kallas, alta rappresentante dell’UE (e sionista), ha di punto in bianco iniziato a dire di voler revisionare l’accordo di associazione UE-Israele e, con due anni di ritardo, inizia pure a mostrare pietà per i palestinesi: sono ovviamente lacrime di coccodrillo! Ed ecco perché anche l’ultra-sionista Donald Trump potrebbe far riconoscere lo Stato di Palestina dagli USA. Ovviamente si tratta di parziali vittorie dovute alla pressione popolare e studentesca che non si è stancata di manifestare e di occupare le università occidentali, ma non rappresenta ancora un trionfo e quindi non bisogna smobilitare; soprattutto non bisogna credere nella buona fede di certi finti amici, certi “leader” autoproclamati che inizieranno ad emergere pubblicamente sventolando bandiere palestinesi ma solo per deviare il movimento! Solo degli ingenui possono illudersi che, quasi all’unisono, degli indefessi filo-sionisti inizino, di punto in bianco, a cambiare narrazione: dal Corriere della Sera che pubblica in prima pagina vignette che giustamente accusano di “strage” il governo di Netanyahu, a partiti notoriamente filo-sionisti (come il PD italiano) che iniziano cautamente a smarcarsi.
La sinistra europeista (pensiamo come esempio alla LINKE tedesca), che per timore di essere accusata di “antisemitismo” è stata a dir poco ambigua a schierarsi con la lotta partigiana palestinese, ora di colpo trova il “coraggio” di scendere in piazza promuovendo in modo “anonimo” manifestazioni “spontanee” e “silenziose” in cui però parlerà il giornalista liberal di turno (Serra a Roma ha lanciato una moda!), il quale strumentalizzerà la piazza palestinese per condannare, ad esempio, il presunto “imperialismo russo”, per difendere il regime ucraino (che peraltro è filo-sionista) e che arriverà a invitare i manifestanti a non definire “genocidio” quello promosso da Israele o a rinunciare a rivendicare “Palestina libera dal Giordano al mare”. Questo è un metodo subdolo di usare l’autorevolezza di cui si dispone non per far avanzare una lotta come chiedono le masse che sono scese in piazza, ma per deviarla! Il tentativo è indebolire il movimento rendendolo un fenomeno esclusivamente etico e umanitario: lo si castra così nel suo potenziale politico e lo si normalizza ideologicamente. Questo è ciò che serve per legittimare l’Israele post-Netanyahu anche a sinistra! Non è un caso e non è un errore: si tratta di una strategia premeditata che si verifica in tutta Europa di fronte al rischio di una sconfitta strategica del sionismo e all’avanzare del multipolarismo!
Le marce silenziose ai comunisti piacciono poco: non solo sono una prassi estranea alla tradizione del movimento operaio, ma soprattutto perché contro Israele si deve urlare! Non è il silenzioso funerale dei palestinesi: è una lotta partigiana di liberazione nazionale che durerà ancora! Partecipare alle manifestazioni di massa in cui è il popolo in buona fede a muoversi, anche se sono contraddittorie nei contenuti delle loro piattaforme, può essere giusto per rafforzare la causa, purché non ci si lasci guidare però dalle quinte colonne che loderanno l’UE e la soluzione “due popoli, due Stati”. Idealizzare infatti l’UE (o il governo francese o quello polacco) perché, dopo averlo usato per sterminare un popolo ora – bontà sua! – ha deciso di sbarazzarsi di Netanyahu per mettere al suo posto un sionista più vendibile che ricostruisca l’immagine di Israele tenendo in piedi però il sistema sionista, è un grave errore. E il riconoscimento dello Stato di Palestina, che è ovviamente un giusto e necessario primo passo (che in Svizzera per primi i comunisti hanno rivendicato anni fa, non oggi che Israele ha raso al suolo Gaza!), non risolverà il problema di fondo finché esisterà il sionismo e il progetto neo-coloniale di Israele. Recentemente il compagno Moni Ovadia, ebreo e marxista, ha dichiarato infatti che la soluzione “due popoli due Stati è una truffa” per mettere sotto tutela il popolo palestinese, consolidare l’Entità sionista e ingannare le anime belle progressiste così da smobilitarle. Esattamente ciò che il Partito Comunista della Svizzera aveva previsto nel 2021 durante il suo 21° Congresso.
Quindi ci vuole cautela: continuiamo a mobilitarci in massa, ma isolando quei sionisti mascherati che vogliono prendere il controllo del movimento! La parola d’ordine resta una sola: Palestina libera, dal fiume al mare!