La questione palestinese in un mondo che cambia

La sensazione che si ha ascoltando il dibattito italiano è che il dramma palestinese sia dimenticato. Le quotidiane stragi dell’esercito israeliano trovano uno spazio sempre più ridotto sui giornali, questa settimana Human Rights Watch ha affermato che il blocco totale imposto da Israele alla Striscia di Gaza è uno strumento di sterminio. Se la stessa condanna fosse stata pronunciata contro la Russia sarebbe diventata centrale nel dibattito politico italiano, in questo caso è passata sotto silenzio.

Il rischio è che le ultime mosse di Trump, accompagnate da un raffreddamento dei rapporti con Netanyahu, rischino di essere fraintese. Così come molti opinionisti pensavano, sbagliandosi, che Biden rappresentasse un ostacolo alle politiche di Netanyahu, oggi sono convinti che Trump sia divenuto un pacifista. Per capire cosa sta succedendo occorre capire la strategia dell’Amministrazione statunitense. Negli ultimi 30 anni la politica gli Stati Uniti si è basata su interventi militari circoscritti in alcune regioni, l’obiettivo strategico era creare zone di destabilizzazione. Gli USA non erano interessati ad avere un governo stabile e amico in Iraq o Afghanistan ma semplicemente a creare caos impedendo a quegli stati di essere interlocutori affidabili, in quest’ottica il terrorismo che poteva colpire in Caucaso, nello Xinjiang o in Siria era un valido alleato.

Filo spinato e segregazione: la “stabilità” che vuole Trump per la Palestina.

Trump ribalta questo approccio il suo obiettivo è creare stabilità ma questa stabilità deve essere orientata a difesa degli interessi di Washington. Come si cala questa posizione nelle concreta realtà mediorientale? Il viaggio del Presidente statunitense nei paesi del Golfo ci aiuta a capire qualcosa. I segnali che arrivano indicano che Trump potrebbe essere favorevole alla nascita di uno Stato palestinese ma questa non è una buona notizia. Il futuro stato sarebbe ‘residuale’, le illegali colonie israeliane rimarrebbero escluse, così come non è chiara la sorte che toccherebbe a Gaza. Questo scenario ricorda da vicino le parole che Ariel Sharon rivolse a Massimo D’Alema (allora Ministro degli Esteri italiano) che quest’ultimo ha riportato nel suo libro (Grande è la confusione sotto il cielo) e che è interessante citare: ‘incontrai Ariel Sharon durante la campagna elettorale che alla fine lo vide vincitore. Ricordo che mi disse: «Noi siamo disponibili ad avere aree amministrate dai palestinesi all’interno dei confini di Israele e sotto il controllo militare israeliano. Lì i palestinesi potranno vivere e amministrarsi da soli». Io risposi: «Una sorta di bantustan». Sharon sorrise e replicò: «Se vogliono possono chiamarlo Stato»’.

Si avrebbe nelle idee dell’Amministrazione statunitense una Palestina controllata da Israele ed egemonizzata dai sauditi, questo sarebbe propedeutico al riconoscimento di Israele e Arabia Saudita. Coerentemente a queste premesse Trump si è recato a Riad dove ha incontrato anche il qaedista Al Jolani nuovo leader della Siria. In Siria hanno vinto i terroristi, che noi abbiamo eufemisticamente chiamato ‘ribelli moderati’, e subito dopo l’Occidente ha cancellato le sanzioni. Il terrorismo è stato ed è parte fondamentale della politica statunitense.

Trump incontra il terrorista siriano al-Jolani, ex al-Qaeda, sulla cui testa fino a dicembre 2024 pendeva una taglia americana di 10 milioni di dollari.

Il sostegno al campo sunnita è complementare all’attacco all’Iran e all’asse della Resistenza, che ha avuto anche passaggi drammatici come i bombardamenti sul suolo iraniano e gli attacchi al Libano. In questo momento Trump si sente forte ed è convinto di potere fare digerire a Teheran un accordo che limiti fortemente il suo ruolo e quello dell’asse della Resistenza. Tutto questo nelle idee di Washington può (o forse deve) avvenire senza Netanyahu ma questo non cambia il sostegno che gli USA continueranno a fornire a Israele. La riuscita di questo piano creerebbe una regione normalizzata e non solo chiuderebbe la questione palestinese a vantaggio della stato sionista ma garantirebbe di rivitalizzare i rapporti con i sauditi, centrali nella determinazione del prezzo del petrolio.

È questa l’unica possibilità di pace? Sicuramente no! Se riavvolgiamo il nastro della storia possiamo ricordare che la riapertura di un canale diplomatico fra Iran e Arabia Saudita fu possibile grazie alla Cina, la Cina ha un ruolo riconosciuto da tutte la parti in causa. L’Iran è uno stato sempre più legato a Pechino (e anche a Mosca) attraverso lo SCO e i Brics, dall’altra parte l’Arabia Saudita ha bisogno di collaborare con la Cina per permettere lo sviluppo delle piccole emedie imprese, obiettivo centrale nella sua Vision 2030. Questa regione del mondo spesso ha anticipato gli accadimenti. Un ruolo più assertivo di Cina e Russia nella costruzione di un mondo multipolare avrà una ricaduta anche nel medio oriente, solo in questo quadro la questione palestinese troverà una vera soluzione.

Marco Pondrelli

Marco Pondrelli è laureato in Scienze Politiche ed è esperto di geopolitica. Dal 2018 dirige il sito di informazione www.marx21.it.