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Una commedia triste contro l’alternativa di classe

Domenica 12 marzo 2023 è andato in onda un altro dibattito elettorale in vista delle elezioni cantonali ticinesi, al quale ha partecipato anche la compagna Lea Ferrari. Sono molteplici i dati abbastanza sconcertanti che risaltano sia da alcune domande rivolte a lei espressamente sia dal tono generale della discussione generale.

Il primo, forse il più palese anche per via della formulazione stessa del quesito, riguarda la questione della guerra in Ucraina. Non senza malizia, la giornalista pensa di chiedere se per la compagna Ferrari “Donbass e Crimea dovrebbero tornare all’Ucraina”. Una domanda totalmente fuori tema e che, come ricorda il compagno segretario Ay, sarebbe al massimo da sottoporre al Partito comunista ucraino. Tale Partito è tuttavia bandito nel paese dal 2015 (nel 2012 contava il 13% delle preferenze) e i suoi militanti, ridotti alla clandestinità, hanno subito spesso abusi, sequestri e torture da parte delle autorità di Kiev; è il caso per esempio dei fratelli Kononovich, compagni per cui abbiamo svolto una campagna di solidarietà contro il regime detentivo illegale e violento a cui erano e sono ancora parzialmente sottoposti. Siamo insomma un po’ lontani da quell’immagine di utopia liberal-democratica che ci viene propinata incessantemente nei media da ormai più di un anno. Ad ogni modo è legittimo chiedersi se la RSI abbia intenzione di porre domande della medesima risma a qualche candidato liberale o conservatore; magari un “ritiene che le truppe israelo-americane debbano ritirarsi dal territorio nazionale siriano che occupano illegalmente da anni, assieme ai suoi pozzi petroliferi?” oppure un “pensa che Taiwan debba ricongiungersi alla madrepatria continentale?”. È la commedia dell’assurdo. Ma a prescindere dall’inadeguatezza dalla domanda per il contesto ticinese, dal momento che è stata (volutamente) scollegata dalla battaglia per la neutralità che il Partito Comunista conduce, e per la persona a cui è stata posta (la compagna Ferrrari inizialmente risponde “non sono un’esperta di politica internazionale”, ma, sottolinea il compagno segretario Ay, nemmeno un ambasciatore in questo momento sarebbe in grado di dare una risposta) ciò che lascia interdetti è la formulazione scelta. Non ci s’interroga più sull’idea di inviare o meno armi, imporre sanzioni o difendere la neutralità con un dibattito serio; la domanda diventa invece fortemente provocatoria: “Donbass e Crimea sono ucraini?”, eliminando tutte le contingenze storiche di otto anni di guerra civile e della realtà materiale di chi vive in quei territori, con l’intento di far passare chiunque non condivida il discorso bellicista europeo come un servo della Russia, dunque complice di uno schieramento della guerra stessa che invece lotta per far cessare. Non è peraltro la prima volta che si vuol far passare dei pacifisti come dei traditori della patria e nemici dello Stato: noi comunisti, figlie e figli della Terza Internazionale, nata dalla carcassa della Seconda Internazionale social-traditrice e social-sciovinista, che aveva in maggioranza accettato e promosso la guerra imperialista in Europa, ricordiamo la Storia (checché ne strilli qualche giornalaio revisionista, che anziché affrontarci con qualche argomento critico preferisce trattarci come bambocci; in questo caso scrive uno storico in erba). La compagna Ferrari in ogni caso non cade nella trappola tesale con parodiata imparzialità e risponde invece con le parole d’ordine del partito comunista: sì alla neutralità Svizzera per costruire la pace, fermare il massacro e l’austerità imposta ai popoli d’Europa.

L’infelice commedia tuttavia prosegue e ruota attorno ad alcuni grandi temi. Uno di questi, rivolto espressamente alla compagna Ferrari, è quello della sovranità alimentare, grande vittoria del Partito Comunista; gli altri invece sono sottoposti al trio di ospiti e ruotano attorno alla questione delle pensioni dei dipendenti statali, per le quali bisogna compensare i fondi mancanti, e una riflessione sulle prestazioni mediche, in cui si chiede se queste debbano rimanere erogabili anche a coloro che non pagano i premi. Due sono i fattori surreali ed interindipendenti che accomunano queste domande; si tratta da un lato del tono provocatorio con cui sono poste, di una malcelata parzialità canzonatoria, e dall’altro della tendenza oltranzista e tutta liberale di voler individualizzare ogni istanza e responsabilità sociale che possiede invece una dimensione collettiva, proprio perché dipendente da più attori o da tutti i cittadini. La giornalista (o il luminare che ha scritto quelle domande per lei) pensa anzitutto di chiedere alla compagna Ferrari che cosa fa nel quotidiano per mettere in pratica la sovranità alimentare per cui ha lottato: “fa l’orto, pesca, acquista dai contadini…?”. Come se mancare ad ottemperare ad una qualsiasi delle idee proposte dimostri una fantomatica ipocrisia da parte comunista. È ovvio che delle piccole azioni quotidiane individuali hanno dei risvolti positivi sulla realtà, ma è assolutamente irricevibile l’attitudine con la quale ci si è posti durante la trasmissione: non un’idea, un’ipotesi o una domanda s’un possibile piano futuro per concretizzare la sovranità alimentare con una qualche proposta di legge o progetto politico in grado d’incidere su vasta scala nella società ticinese. Nulla di tutto ciò; in compenso invece abbiamo una misera arringa dell’individualismo militante e dell’attivismo puramente performativo borghese, in cui la responsabilità sociale è sempre e solo del singolo e mai di un insieme più vasto (specialmente quando si comincia a guardare verso l’alto della piramide sociale) sul quale agire con piani d’azione e regolamenti.

Le domande successive non fanno difetto a questa mentalità liberista: compensare le pensioni? “Chi deve passare alla cassa? I contribuenti?”; curare anche chi non ha i soldi per pagare le prestazioni mediche? “E se sono dei furbetti?”. Tutto come a dire: ‘carità con i soldi degli altri?’. Non esiste un tema che sia posto in maniera anche solo lontanamente imparziale e che soprattutto non pretenda delle risposte in bianco e nero, giacché costruito sempre sulla fallacia argomentativa slippery slope (s’insinua che A porti a B e infine a C, dunque A uguale a C, ma usando dei legami logici fallaci appunto): non male per un servizio che dovrebbe essere pubblico!

La compagna Ferrari comincia rispondendo che la Svizzera non sono gli Stati Uniti, dove chi non ha un soldo viene lasciato morire per strada, e specialmente che chi non paga i premi nella stragrande maggioranza dei casi lo fa perché è povero; e la povertà non è una colpa, ma la risultante di un sistema economico che si regge in piedi grazie alla disuguaglianza sociale che crea dando, da un lato, salari da fame a chi lavora e produce e, dall’altro, favorendo l’accumulo della ricchezza collettiva nelle mani di pochi facoltosi. Anche gli altri ospiti sono stati unanimi sulla questione.

La stessa unità d’opinione tra gli ospiti si è riprodotta sulla questione delle pensioni. All’insistenza della giornalista se fossero “i contribuenti” (di cui ci si ricorda sempre e solo quando ci sono delle proposte su temi sociali, ma mai, per esempio, quando bisogna acquistare qualche cacciabombardiere, rigorosamente americano) a dover pagare per i dipendenti pubblici, la compagna Ferrari risponde “sì, se la vuole mettere come Morisoli e Pamini”, smascherando la plateale parzialità liberista che ha infestato tutta la trasmissione. Giorgio Fonio conclude per altro con un ragionamento interessante e che decostruisce la mendace filantropia borghese per i “contribuenti”: i dipendenti statali di cui si sta parlando hanno innanzitutto svolto un servizio per la collettività e per tutta la loro vita hanno pagato anche loro i contributi; sono passati come tutti noi “alla cassa”. Essi peraltro sono coloro che ora ci perdono di più, dal momento che pur avendo fatto tutto ciò che dovevano, dovranno passare nuovamente “alla cassa” per potersi assicurare una pensione per la vecchiaia, dal momento che contribuenti sono pure loro. In breve, se si vuole fare un discorso puramente egoistico e privo di una qualunque traccia di empatia, lo si faccia perlomeno senza prendere in giro la cittadinanza che segue il programma. Un discorso autenticamente egoistico porterebbe in ogni caso a delle conclusioni altruistiche: oggi sono i dipendenti statali in difficoltà, ma domani potresti essere tu ad aver bisogno d’aiuto; aiutare il prossimo è dunque anche aiutare sé stessi, giacché fonda le basi di fiducia per un rapporto mutualistico che non può che durare. Qualcuno lo riassumeva in “fare agli altri ciò che vuoi sia fatto a te”.

Una trasmissione che è stata insomma dal primo all’ultimo minuto surreale, condita d’oltranzismo bellicista senza cognizione di causa e di paternali iperindividualistiche del peggior liberalismo borghese. Non sembrava nemmeno di ascoltare la RSI; la lingua fosse stata l’inglese, sarebbe potuta serenamente passare come una trasmissione del mondo anglosassone. E tuttavia questa permette comunque di fare delle riflessioni utili, una volta decostruito il lessico liberal-atlantista egemone del programma, come ha fatto egregiamente la compagna Ferrari e come ha tentato di fare il sottoscritto in questo articolo: difendere la neutralità svizzera per promuovere la pace a livello internazionale e rafforzare la nostra indipendenza nazionale e politica dal blocco imperialista euro-atlantico; combattere le derive liberiste ed individualiste nei problemi della collettività e lottare invece in favore del lavoro e del servizio pubblico attraverso un rinvigorimento dello Stato sociale.

Alessandro Bellanca

Alessandro Bellanca, classe 1999, è iscritto al Partito comunista. Studia Storia e Lettere all’università di Friburgo.