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Tifoserie violente: chiudere gli stadi non servirà a nulla!

 

Marin Mikelin

Dopo gli scontri, che hanno caratterizzato i dopo partita degli ultimi due incontri hockeystici in Ticino, il leghista Massimiliano Robbiani non ha avuto niente di meglio da fare se non procedere con un’interrogazione al Consiglio di Stato, con la quale “chiede se il governo non ritenga opportuno di fare svolgere a porte chiuse gli incontri a rischio”.

Vorrei ora sapere, sempre che non si tratti di una rispolverata di una vecchia idea tanto per far parlare si se, in che modo Robbiani voglia classificare le partite a rischio da quelle ‘pacifiche’? Cosa farà quando i tifosi violenti si sposteranno dai ‘campi chiusi’ a quelli ‘aperti’? Se è intenzionato a rendere l’hockey, e magari anche il calcio, una realtà unicamente televisiva? E quando hockey e calcio saranno senza tifo, vorrà vietare gli accessi anche alle partite della pallacanestro oppure unihockey e magari anche all’ippica?

Come spero Robbiani sappia, chi si lancia in scontri, come quelli occorsi ieri all’esterno della Resega, non è interessato alla partita, non va allo stadio con l’intenzione di sostenere la propria squadra oppure passare una serata di relax dalla settimana lavorativa, approfittando magari della trasferta per visitare anche un nuovo cantone/una nuova città, ma va allo stadio con l’unica intenzione di creare problemi e provocare scontri. Ben poco importa a certi soggetti se posso entrare o no a vedere l’incontro tanto gli scontri avvegono in strada, prima o dopo l’evento sportivo. Quindi ben venga il divieto d’ingresso, almeno risparmierebbero sul costo del biglietto. A questo punto si vuole forse schedare tutti i tifosi in Svizzera e vietargli di uscire di casa? Accidenti, dimenticavo che questo non è possibile… .

Con ciò vorrei intimare certa gente ad evitare di uscire con dei commenti non costruttivi, fini all’immagine o ad un improvvisa vena di popolarità, ma di creare un argomentazione costruttiva, all’interno della quale iniziare finalmente a gestire in modo diretto e con soluzioni veloci ed efficaci il problema della violenza che sempre più spesso accompagna gli eventi sportivi nazionali.

Ricordo anche, prima che qualcun altro salti fuori con idee bizzarre, che i tifosi ticinesi non sono da confondere con gli hooligans che gettano nel fango l’immagine dello sport internazionale e che giocare le partite a curve vuote, o peggio a porte chiuse, non farebbe altro che portare il malcontento tra i sostenitori pacifici, che Ticino sono la grande maggioranza dei frequentatori degli stadi.

L’aumento di episodi di violenza a margine delle manifestazioni sportive non è altro se non l’ennesimo segno di un disagio sociale che imperversa nelle fasce più giovani. Questi eventi dovrebbero essere un campanello d’allarme che smuova lo Stato verso un piano d’azione per migliorare le prospettive dei giovani d’oggi, in modo che lo stadio non diventi la valvola di sfogo di persone frustrate da un futuro senza prospettive o da un passato senza successi.

Continuare a lavorare sulla prevenzione è, come in molti altri campi, l’unica soluzione a lungo termine applicabile a questa situazione, senza cadere nel proibizionismo e nelle finte soluzioni che non faranno altro se non contribuire all’accrescere del problema.

È poi evidente, dal ripetersi di questi eventi, che il dispositivo di polizia mobilitato agli ‘incontri ad alto rischio’ non è sempre in grado di garantire un’ottimale suddivisione delle tifoserie all’uscita dalle piste: si vedano gli ultimi due derby disputati alla Valascia. Bisogna poi tristemente constatare le ennesime azioni violente degli agenti verso persone innocenti, le quali cercavano solo di raggiungere le proprie vetture per rientrare a casa. Sarà mai così difficile, per del personale formato appositamente attraverso il denaro dei cittadini e salariato sempre da essi, distinguere un malintenzionato (solitamente mascherato e/o armato) da un gruppo di semplici spettatori? Oppure anche i nostri garanti della sicurezza sono soggetti alla frustrazione che attanaglia la società sfogandola poi sul lavoro?

 

Marin Mikelin, membro del comitato cantonale del Partito comunista

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